martedì 18 novembre 2008
In un anno registrato un incremento dell'80%. Resta il problema delle visite «mordi e fuggi», che penalizzano albergatori e commercianti. Fiducia per le prospettive dell'artigianato locale.
COMMENTA E CONDIVIDI
Andrzej Czarnechi non se lo aspettava proprio. Arrivato dalla Polonia con altri turisti, è stato accolto a Betlemme dal sindaco con tanto di banda, gonfaloni e premio (un pernottamento gratuito in città). Era il milionesimo pellegrino arrivato quest’anno: una cifra record che sfida, con i suoi sei zeri, tutte le difficoltà di una Terra santa e tribolata. Nonostante le tensioni e la crisi mai risolta tra palestinesi e israeliani, i turisti di tutto il mondo sono tornati in massa a visitare i luoghi di Gesù. Un pellegrinaggio che restituisce speranza ai Territori e rappresenta una boccata d’ossigeno per tutta la popolazione locale.Quella di domenica è stata una giornata di festa per tutti, perché qui la gente vive sostanzialmente di turismo. Negli ultimi anni Betlemme ha temuto il peggio: la seconda Intifada ha scoraggiato i turisti; il muro che circonda e isola completamente la città ha fatto il resto. L’artigianato locale e tutto l’indotto hanno sofferto tantissimo: sempre meno le persone che entravano a visitare la Basilica della Natività; sempre maggiori le difficoltà per uscire da Betlemme (municipalità amministrata dall’Autorità nazionale palestinese) per andare a Gerusalemme o nelle altre città cisgiordane. Quest’anno le cose sono andate decisamente meglio. Negli ultimi mesi particolarmente, complice un periodo di relativa calma nel conflitto. «I dati sono più che incoraggianti – spiega padre Severino, del ricovero Casa Nova di Betlemme gestito dai francescani –: la gente si sente più sicura, e nel 2008 abbiamo avuto un incremento dell’80% rispetto al 2007, il che significa che se prima c’erano mediamente 40 stanze occupate, ora ce ne sono 70-80». A cambiare non solo solo le cifre relative alle visite, ma anche le coordinate geografiche. «Abbiamo avuto un aumento esponenziale di turisti dalla Russia – racconta –, anche perché non serve più il visto per entrare in Israele. E poi un numero impressionante di pellegrini dal Brasile». I problemi, piuttosto, riguardano la “tipologia” degli arrivi a Betlemme: “arrivi e partenze” per la verità, perché si tratta sempre più di un turismo mordi-e-fuggi. E a soffrirne sono soprattutto gli albergatori. Padre Severino conferma che la situazione non è minimamente paragonabile a quella del 2000-2004, quando in città non si vedeva praticamente nessuno: «Adesso si registra spesso il tutto esaurito. Ma va segnalato che gli alberghi a Betlemme si riempiono solo quando non c’è più posto a Gerusalemme». E questo non per caso. Lo spiega Sara Faustinelli, volontaria del Vis che collabora con il Centro artistico salesiano di Betlemme, la scuola professionale che, con un corso biennale, prepara e qualifica i giovani artigiani che producono gli oggetti sacri e i souvenir in vendita nei negozi della Terra Santa. In pratica il cuore economico della città.  «Betlemme – racconta Sara – viene ormai proposta dalle agenzie di viaggio, spesso israeliane, come una tappa di passaggio nel “pacchetto Terra Santa”. In più, molto spesso l’assicurazione proposta non copre i Territori. In sostanza, le visite qui si risolvono in una sola giornata, in genere “pilotata” dalle guide turistiche locali che tendono ad accompagnare i gruppi di pellegrini sempre negli stessi due o tre negozi con cui hanno preso accordi. Tutto ciò comporta evidenti danni all’economia locale, basata quasi per intero sul turismo».A questo si aggiunge il problema dei controlli ai check point. Dove si registrano però miglioramenti: «I tempi di attesa si sono ridotti – continua Sara –: quantomeno i turisti non sono più costretti a scendere e risalire sugli autobus tutti quanti. Si formano code, ma accettabili». I ragazzi del Centro, dai 15 ai 23 anni, metà cristiani, metà musulmani, si dicono ottimisti. L’aumento del numero di turisti è un grosso aiuto per loro e per le loro famiglie. Una volta formati, potranno guadagnare anche 100-150 shekel al giorno (circa 20-25 euro) lavorando nelle fabbriche locali. E costruirsi una vita.Sara definisce il Centro una «scuola salvagente», perché i ragazzi ottengono una formazione completa che permette loro di proporsi come personale qualificato in un settore che sta riprendendo vigore. «Ed evitano così di essere reclutati come manovalanza a basso costo – conclude –. Se non peggio». Dove per “peggio” si intende una sola cosa: il fondamentalismo che, in questa terra, si nutre proprio di povertà.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: