mercoledì 20 novembre 2013
​Due kamikaze si sono lanciati contro la sede: 23 le vittime. Teheran: «È stato Israele». Un gruppo jihadista rivendica.
Kammourieh: «Il Libano casella postale di un nuovo ordine»
Dietro quella bomba a Beirut tanti interessi coalizzati contro la pace di Giorgio Ferrari
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I kamikaze hanno puntato diritto sull’ambasciata iraniana a Beirut ma gli obiettivi, precisi, stavano molti chilometri più in là: Ginevra – i colloqui dei «5+1» tra Occidente e Teheran – e Damasco – la partita sunniti-sciiti sul terreno di Assad. Non può essere un caso: proprio alla vigilia di un vertice che potrebbe segnare una svolta storica con la firma di un accordo sul nucleare iraniano, un attentato ha devastato la rappresentanza della Repubblica islamica nella capitale libanese. Si è trattato di due ordigni – più di cento chili di esplosivo –: un primo kamikaze, a bordo di una moto, si è lanciato contro il portone della rappresentanza diplomatica; il secondo si è fatto esplodere, con un’autobomba, qualche decina di metri più in là. La deflagrazione, potentissima, ha finito per danneggiare pesantemente l’ambasciata, altri sei edifici nel compound della missione diplomatica, e anche una moschea della zona. I morti sono 23: civili, guardie di sicurezza, un addetto culturale della rappresentanza (che stava entrando nella sede quando c’è stata l’esplosione) e un imam. I feriti sono più di 150, soprattutto membri dello staff diplomatico.Le autorità iraniane non hanno perso tempo a individuare le responsabilità: «Accusiamo l’entità sionista di essere dietro questo attentato terroristico», ha fatto sapere pochi minuti dopo l’attacco l’ambasciatore in Libano Ghazanfar Rocknabadi, lasciando sotto traccia il riferimento all’ostilità di Israele al riavvicinamento tra la Repubblica islamica e Stati Uniti nei negoziati di Ginevra. Quindi, in copia da Teheran: «È un crimine disumano e astioso compiuto dai sionisti e dai loro mercenari», ha fatto sapere il portavoce del ministero degli Esteri.Poche ore dopo è arrivata la rivendicazione ufficiale. Un gruppo jihadista vicino ad al-Qaeda, le “Brigate Abdullah Azzam”, si è attribuito con un messaggio su Twitter «la duplice operazione di martirio che è stata portata a termine da due eroi sunniti libanesi». Ecco: sunniti. La sottolineatura fornisce un altro elemento di lettura di quando accaduto. Perché sembra evidente che le bombe, oltre a minare il faticoso processo di normalizzazione tra l’Iran (sciita) e l’Occidente, hanno finito per colpire anche i delicati equilibri regionali, pericolosamente condizionati dal conflitto siriano.

Guarda caso, l’ambasciata si trova in un’area che è considerata la roccaforte del movimento sciita Hezbollah. Guarda caso, Hezbollah da mesi combatte al fianco del presidente Bashar al-Assad. Guarda caso, Damasco – allineandosi ancora una volta all’alleato iraniano – non ha mancato di fornire fornire la sua versione dei fatti, accusando senza indugi dell’attentato – «che puzza di petrodollari» – Israele e l’Arabia Saudita e gli altri Paesi del Golfo – gli stessi che sin dall’inizio del conflitto manovrano per arrivare alla cacciata di Assad. «L’attentato rappresenta un messaggio per per i Paesi che hanno scelto la strada dei negoziati, non condivisa da Israele. Arabia Saudita e alcuni Paesi del Golfo», ha detto il ministro siriano dell’Informazione Omran al-Zoubi. Il Libano, che si è trovato alle prese con l’ennesima strage, non ha potuto fare altre che condannare «il vile attentato» denunciando, ancora una volta, nelle parole del premier Najib Miqati, il «tentativo di usare il Paese come una cassetta della posta per inviare messaggi». Da tutte le principali cancellerie occidentali, invece, sono arrivate dure prese di posizioni per quanto accaduto. La Francia ha condannato «con la massima fermezza» l’attentato e ribadito «il suo sostegno al governo libanese per preservare l’unità nazionale». Forte condanna anche dalla Gran Bretagna. Per l’Italia, il ministro degli Esteri Emma Bonino ha espresso le condoglianza a nome del governo al collega iraniano Mohammad Javad Zarif.

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