venerdì 10 novembre 2017
A dicembre la consegna del premio a Oslo: «Ma ora servono 50 ratifiche»
Beatrice Fihn

Beatrice Fihn

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Non sono solo «disumane». Le armi nucleari sono «obsolete », «vecchie», «superate». Un «rimasuglio» scomodo e pericoloso di un’altra era, da riporre definitivamente in soffitta. E la neo-Nobel per la Pace, Beatrice Fihn, è determinata a convincere il mondo a farlo. Un sognatrice? Niente affatto. Trentasette anni, due lauree – in Relazioni internazionali e Legge –, la presidente svedese dell’International campaign to abolish nuclear weapons (Ican) si definisce una persona con i piedi ben piantati per terra. È consapevole delle difficoltà di bandire l’atomica, fin da quando ha cominciato a interessarsi della questione. All’epoca, Fihn era stagista presso la sede della Lega internazionale delle donne per la pace e la libertà. In quell’occasione, la futura “pasionaria” anti-nucleare ha ascoltato le discussioni tra Russia, Stati Uniti e Cina sull’argomento. Le ha trovate – racconta – affascinanti quanto sconclusionate, poiché «le armi nucleari non hanno nessun senso. Sono inutili e dannose». Da qui, è nata la lotta per eliminarle. Attraverso l’imposizione di un divieto giuridicamente vincolante che agisca da “pungolo” su firmatari e no, sul modello del Trattato contro le mine antiuomo. «Washington, Mosca, Pechino non lo sottoscrissero ma furono spinte a modificare i propri comportamenti », ha ribadito ieri Fihn al termine del confronto con Jody Williams – architetto del bando alle mine – nell’incontro “Venti anni di Nobel per la Pace alla società civile internazionale per il disarmo”, organizzato da Rete Disarmo, tra i partner italiani di Ican.

Dopo un lavoro decennale di preparazione, il bando all’atomica è stato finalmente siglato il 7 luglio. L’Assemblea Onu l’ha approvato con 122 voti a favore, il no dell’Olanda e l’astensione di Singapore. Quali sono ora i prossimi passi politici da parte degli Stati e della società civile affinché non resti “sulla carta”?
Al momento, siamo impegnati ad ottenere le cinquanta ratifiche necessarie a far entrare in vigore il Trattato (finora solo tre Paesi: Guyana, Thailandia e Santa l’hanno fatto, ndr ). A tal fine, lavoriamo con le nazioni che, fin dall’inizio, hanno sostenuto questo percorso. Cerchiamo di confrontarci, però, anche anche con i Paesi che finora si sono tenuti lontani dall’iniziativa o hanno cercato di boicottarla. Vogliamo e dobbiamo convincerli a cambiare idea.

È davvero possibile spingere le potenze nucleare a rinunciare?
Lo potremo fare se lavoreremo per cambiare il pensiero dell’opinione pubblica al riguardo. E questo vuol dire parlare con la gente. Solamente la gente può “convincere” i propri dirigenti politici, esercitando la pressione necessaria e determinante. Non sarà un leader a cambiare, quasi magicamente, la situazione. Inutile sedersi e aspettarlo. Il punto è, allora, “costringere”, con la pressione demo-cratica, tutti i partiti politici di ogni nazione a supportare il Trattato. Il nostro compito come attivisti è rendere difficile, se non impossibile, ai dirigenti, opporsi a tale richiesta dei cittadini.

Il 6 ottobre, quando il Comitato di Oslo ha deciso di assegnare ad Ican il Nobel per la Pace che ritirerete il 10 dicembre, lei l’ha “dedicato” a Kim Jong-un e Donald Trump. Perché?
Sa che, in realtà, non mi ricordo di averlo detto? (ride, ndr ). Di certo, la scelta di Oslo manda un forte segnale a tutti i Paesi nucleari, non solo agli Usa o alla Corea del Nord! Il Comitato del Nobel – e quanti hanno sottoscritto il Trattato – hanno detto con chiarezza che il tempo delle armi nucleari è finito. Sono troppo pericolose ed inumane. Oltre che inutili dal punto di vista militare e strategico di fronte alle sfide della nostra era: cambiamento climatico, crimine organizzato, terrorismo.

Crede che siamo vicini a una terza – ed ultima – guerra mondiale?
Oggi, fortunatamente, non è così facile farla scoppiare. Il corpus giuridico, il sistema di accordi internazionali, l’accesso alle decisioni è più ampio di quanto fosse negli anni Trenta. Non si può, tuttavia, negare che tale “vaccino bellico” sua sotto attacco. La società civile è chiamata non solo a difenderlo ma ad attualizzarlo, lanciando nuove iniziative. Come fa Ican.

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