sabato 29 luglio 2023
Fiutando l’affare, le fabbriche europe si stanno attrezzando a produrre sempre di più. La richiesta cresce e non è facile starle dietro. Pure l'Italia al lavoro per dare il suo contributodi morte
Strumenti di morte. Alla Rheinmetall, in Germania, si lavora sodo per produrre sempre più proiettili da spedire in Ucraina

Strumenti di morte. Alla Rheinmetall, in Germania, si lavora sodo per produrre sempre più proiettili da spedire in Ucraina - Epa

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Il confronto parla chiaro: dall’inizio della guerra, l’Occidente ha fornito a Kiev aiuti militari per un ammontare superiore a 60 miliardi di dollari. Più di 40 miliardi sono arrivati d’oltreatlantico, l’Europa non è andata oltre i 20 miliardi. Il motivo è presto detto: il gigante americano ha sempre investito nel suo apparato bellico e ha mantenuto riserve di magazzino abbondanti.

Dopo la Guerra fredda, i Paesi europei hanno invece tagliato bilanci, reparti e scorte. Acquisita la lezione del lungo periodo di pace e sulla spinta dell’auspicabile disarmo, le fabbriche continentali hanno chiuso intere linee produttive, dedicando le risorse ad altri settori. I magazzini così si sono assottigliati. Vale per le munizioni, come per l’antiaerea e i blindati.

Un tempo, la tedesca Kmw produceva 300 Leopard all’anno. Oggi si ferma a 50, e ne ha ceduti all’Ucraina solo poche decine di modelli (i più datati). Le guerre ad alta intensità sono purtroppo guerre industriali. In un biennio, i russi hanno perso oltre 2mila carri armati. La Gran Bretagna ne ha funzionanti appena 157 e non meraviglia che ne abbia fornito a Kiev un numero irrisorio (14).

Le forniture di granate raccontano, da sole, le difficoltà con cui pensiamo di gestire una guerra insostenibile: da oltreatlantico sono arrivati per l’Ucraina oltre 2 milioni di proiettili, dagli alleati europei molti meno.

Pochi i dati ufficiali sull’insieme: il Canada avrebbe fornito 27mila colpi, il Regno Unito 100mila, di cui 20mila circa da 155 e 105 mm, e la Norvegia poco più di 10mila. Aggiungendo la Francia, opaca, la Germania (60mila proiettili da 40 mm e 18.500 munizioni da 155 mm), l’Italia, la Spagna e la Svezia, si superano di poco i 220mila colpi in due anni. L’ha ammesso il 23 giugno scorso un alto funzionario europeo: è il massimo che si potesse fare.

Il ministro della Difesa ucraino Reznikov chiede e ancora chiede: se potesse sparare senza restrizioni, la sua artiglieria userebbe 594mila colpi al mese e invece sconta un deficit di almeno 250mila proiettili.

Czechoslovak Group, colosso europeo, produce 80-100mila pezzi l’anno, Rheinmetall, gigante tedesco, si ferma a 60-70mila colpi, la norvegese Nammo e la britannica Bae non vanno oltre le 2.500 unità, quanto la francese Nexter. Includendo i fabbricanti italiani e gli altri del Vecchio Continente, nel 2022, l’Ue ha sfornato in tutto 270-300mila colpi, equivalenti a 22-25mila proiettili al mese. Con un conto approssimativo, alla fine di questo luglio gli occidentali avranno prodotto in tutto 72mila pezzi in un mese, 30mila dei quali oltreatlantico.

Ecco perché Kiev è scesa da un consumo medio di 6-7mila colpi al giorno ai 3mila odierni. Il 155 mm, lo standard Nato in uso in tutti i cannoni occidentali per gli ucraini, è quasi esaurito.

La Commissione europea insiste nella politica di fornitura: «Abbiamo proposto di finanziare fino a 20 miliardi per la difesa dell’Ucraina, prelevando i fondi dal budget europeo “per la pace”». Joseph Borrell aspetta con ansia la riunione informale dei ministri degli Esteri di fine agosto che avallerà o meno il piano quadriennale del suo esecutivo. Un miliardo è già evaporato per quel milione di pezzi da 155 mm da produrre in un anno.

Fiutando l’affare, le fabbriche europee si stanno attrezzando. Jens Stoltenberg è franco: «I tempi di attesa per le munizioni di grosso calibro sono cresciuti da 12 a 28 mesi».

Czechoslovak group sta facendo turni ininterrotti, da economia di guerra. Prevede di sfornare 150mila colpi l’anno, ma per arrivarci ha bisogno di due anni.

Rheinmetall si è data un obiettivo di 450-500mila colpi. Saab, svedese, vuole passare da 10mila a 400mila colpi in due anni.

L’Italia darà il suo contributo con gli stabilimenti industriali di Simmel Difesa, nella città di Colleferro, e con la controllata di Leonardo (Oto Melara-Divisione sistemi di difesa) a La Spezia.

Ma si annunciano criticità: «Mancano le materie prime per le armi da girare a Kiev», ha ammesso lo stesso Borrell a giugno. Il generale Portolano, direttore italiano degli armamenti conferma, sottolineando «la nostra dipendenza da materie prime, semilavorati e sottocomponenti esteri». L’acido nitrico, base delle granate, scarseggia in tutta Europa. A conti fatti, questa guerra è un pessimo affare. Da tutti i punti di vista.

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