venerdì 23 giugno 2023
Il sindaco di Londra rischia. Il numero dei pentiti della scelta di lasciare l'Unione cresce, in maniera direttamente proporzionale alla crisi che i Tory non sanno gestore e che amplifica l'isolamento
A Londra resta il  divieto di esporre la bandiera dell'Unione Europea

A Londra resta il divieto di esporre la bandiera dell'Unione Europea - Ansa

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Era il 23 giugno del 2016 quando il referendum sulla Brexit certificava la volontà dei britannici di lasciare l’Unione Europea dopo 43 anni di “matrimonio”. Fu uno choc sismico che avrebbe dovuto segnare il rilancio del Regno Unito sullo scacchiere politico ed economico globale. Un nuovo inizio che, oggi, sette anni dopo, assomiglia invece molto di più a un grave errore.

Secondo l’ultimo sondaggio di YouGov il 58,2% dei britannici, oggi, voterebbe per rimanere nella grande famiglia europea. Gli intervistati sono addirittura più ottimisti sul futuro del blocco che del proprio Paese. La realtà post Brexit con cui si devono confrontare è drammatica. Gli analisti dell’Office for Budget Responsibility hanno segnalato che la “apertura commerciale” del Regno Unito è diminuita in modo significativo. L’ingresso in nuovi mercati, per semplificare, non ha compensato l’uscita dal mercato unico. La fine dell’era segnata dalla libera circolazione delle persone, ancora, ha prosciugato il mercato del lavoro di manodopera. Circostanza che per alcuni settori si è tradotta in riduzione della produzione e conseguente aumento dei prezzi. L’incertezza causata dalla difficoltosa transizione ha inoltre scoraggiato gli investimenti.

I “Paperon de’ Paperoni” di stanza sull’isola stanno migrando verso altri lidi come Monaco, Svizzera e Dubai. Aumentano anche i professionisti under 35 che decidono di emigrare in cerca di opportunità meglio retribuite e, se non altro, di una qualità della vita più alta. Nessuno si aspettava, certo, che l’addio al continente sarebbe stato seguito da una pandemia che ha gravemente eroso le casse pubbliche e, poco dopo, da una guerra combattuta (per procura) a tremila chilometri di distanza. L’inflazione stellare che, giovedì, ha costretto la Banca d’Inghilterra, a sorpresa, a portare i tassi d’interesse al 5%, il più alto degli ultimi 15 anni, ha innescato la miccia della bomba a orologeria dei mutui.

A farne le spese saranno le famiglie che già faticano a sbarcare il lunario. Nei supermercati aumento i furti di generi alimentari come carne, burro e caffè. Alcuni gestori sono stati costretti a disporre barriere antitaccheggio, come quelle in genere poste sui vini pregiati, persino sui brik di latte per la prima infanzia e sulle confezioni di ali di pollo. Non è questo il Regno Unito promesso al momento dell’addio all’Ue. Il mese scorso, persino Nigel Farage, ex leader del Brexit Party, aveva ammesso: il progetto “è fallito” perché i Tory, a suo dire, lo hanno gestito “male, molto male”. Pare adesso che stia lavorando con l’ex premier Boris Johnson, il conservatore che alle elezioni del 2019 sfondò il “muro russo” al grido “get Brexit done”, per un nuovo movimento. Una sfida ai “profeti di sventura”, come Johnson chiama i suoi detrattori. Nel giorno celebrato dagli irriducibili della Brexit come festa dell’indipendenza, il 23 giugno, ha fatto rumore la decisione del sindaco di Londra, Sadiq Khan, di illuminare il municipio con gli iconici colori blu e giallo della bandiera europea che l’esecutivo ha, in pratica, messo al bando includendola nella lista dei vessilli che possono essere issati solo previa autorizzazione delle autorità locali.

Una provocazione, certo, finalizzata a dare risalto alla campagna laburista che rivendica il diritto di voto dei cittadini europei residenti Oltremanica. Ma che non addolcisce l’amaro lasciato in bocca dallo storico divorzio. La barca in mezzo al mare che il premier Rishi Sunak sta sforzando di governare, anche a costo di riavvicinarla al continente, rischia di naufragare.

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