lunedì 19 dicembre 2022
Si fa sempre più pesante la repressione delle proteste in Iran, ma i giovani non danno segni di cedimento
Una donna con il velo cammina per le vie di Teheran

Una donna con il velo cammina per le vie di Teheran - Reuters

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Si fa sempre più pesante la repressione delle proteste in Iran, ma i giovani non danno segni di cedimento. Gli attivisti hanno proclamato uno sciopero nazionale di tre giorni – ieri, oggi e domani – per marcare l’inizio del quarto mese di proteste innescate dalla morte di Mahsa Amini. Un precedente sciopero aveva paralizzato, due settimane fa, il Paese, coinvolgendo anche autotrasportatori e alcuni impianti petrolchimici.

Di fronte al dilagare della rivolta il regime sembra incapace di fornire qualsiasi risposta che non sia la violenza, e si dimostra incautamente sordo ai segnali di attenzione e sostegno alla rivolta che arrivano dalla società civile in tutto il mondo. Le atrocità non si fermano. Il capo della magistratura Gholamhossein Mohseni Ajaei ha chiesto ieri che vengano eseguite «subito e senza indugio» le condanne «definitive» dei manifestanti. Parlando al Consiglio supremo della magistratura, Ajaei ha detto che «le condanne emesse per persone che hanno commesso reati gravi in qualsiasi area, sia di sicurezza che non, devono essere documentate e motivate oltre che essere un deterrente». Secondo il gruppo Iran Human Rights (Ihr), con sede in Norvegia, sono almeno 39 i manifestanti a rischio di esecuzione o di condanna a morte. Ieri, i genitori di Mohammad Mehdi Karami, un karateka di soli 22 anni, hanno rivolto un appello alle autorità per chiedere di risparmiare loro figlio. «Mi rivolgo con rispetto al potere giudiziario – ha detto il padre nel video –, vi imploro di annullare la pena di morte nel caso di mio figlio». Anche la madre del giovane è intervenuta tenendo le mani sul petto, come se cullasse un bambino. Secondo Amnesty International, Karami fa parte di un gruppo di cinque persone, tutte condannate a morte in relazione a un attacco costato la vita a un paramilitare basiji a Karaj, vicino a Teheran.


469
è il bilancio minimo di persone uccise dalle forze di sicurezza durante le attuali proteste, tra cui 63 bambini e 32 donne.

66
è il numero dei morti tra le forze di sicurezza, la maggior parte dei quali nel Balucistan e nel Kurdistan iraniano.

200
sono i cittadini belgi registrati dai servizi consolari in Iran invitati a lasciare il Paese per “limite di protezione” in caso di arresto.


Sempre ieri molti registi e cineasti iraniani si sono ritrovati, per il secondo giorno consecutivo, fuori dal famigerato carcere di Evin a Teheran per protestare contro l’arresto della nota attrice Taraneh Alidoosti, in custodia per avere «diffuso falsità» a sostegno dei manifestanti. Gli arresti si estendono ai presunti agenti stranieri. Le autorità iraniane hanno annunciato l’arresto di una presunta rete di spionaggio legata al Mossad che pianificava azioni di sabotaggio contro imprese di sicurezza iraniane. Non è stato reso noto il numero di persone arrestate, ma l’Iran ha impiccato il 4 dicembre quattro presunti agenti israeliani. Domenica, il governo belga ha chiesto ai suoi cittadini in Iran di lasciare il Paese. «Qualsiasi visitatore belga – ha avvertito il governo –, compresi i cittadini con doppia nazionalità, è ad alto rischio di arresto, detenzione arbitraria e processo iniquo». Bruxelles ha specificato che questo rischio vale anche per le persone che viaggiano in Iran «solo a scopo turistico». Intanto, quattro membri dei pasdaran sono rimasti uccisi in un attacco a Saravan, città della turbolenta provincia del Sistan e Balochistan. Una nota dei pasdaran parla di un attacco sferrato da «terroristi» poi fuggiti nel vicino Pakistan.

La provincia a maggioranza sunnita è focolaio dal 2004 di un conflitto tra i separatisti baluci e il governo. Il capoluogo Zahedan è stata teatro di uno dei più sanguinosi episodi di violenza dall’inizio delle attuali proteste quando le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco sulla folla che protestava contro lo stupro di una adolescente, provocando 96 morti e almeno 300 feriti.

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