sabato 25 febbraio 2023
In Ucraina li chiamano «orchi» che «rubano i bambini»: migliaia mancano all’appello Per i russi sono «generosi rieducatori», che impongono subito ai ragazzi la cittadinanza
Onu: i ceceni stanno «educando» i bambini portati via dai territori occupati
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In Ucraina li chiamano «orchi» perché «rubano i bambini». Per i russi sono «generosi rieducatori». Come il ceceno Chalayev, che dopo la carneficina di Mariupol guida la formazione degli adolescenti deportati a Grozny. Rinchiusi nel centro di addestramento dei corpi speciali islamisti del dittatore Kadyrov. Oppure come gli orfani condotti in una “colonia” in Crimea, dove hanno ricevuto un passaporto russo. Il piano per l’indottrinamento dei “figli della guerra” non è stato improvvisato. E dopo mesi di accuse e sospetti arrivano le conferme dai funzionari Onu e dalle verifiche incrociate. Ora conosciamo i nomi e i volti dei “cattivi maestri”. L’unica incertezza sono i numeri. «Al momento ci sono solo delle stime e nessun dato certo. Quello che sappiamo è che sono state varate delle norme in conflitto con il diritto internazionale», ci aveva risposto due giorni fa l’Alto commissario Onu per i rifugiati, Filippo Grandi, che ha confermato la pratica del cambio di cittadinanza per i minorenni soli portati sotto il controllo delle autorità russe, e «altre norme approvate di recente che facilitano l’adozione di questi bambini», in spregio al diritto internazionale. Le famiglie ne hanno perso le tracce da mesi.

Alcune volte erano state le mamme, rimaste senza marito a causa della guerra, a consegnare i figli alle autorità russe o ai separatisti, con la promessa che li avrebbero portati al sicuro e lontano dagli scontri. Adesso hanno paura di parlare con i giornalisti. Temono di venire identificate dai russi e per rappresaglia perdere ogni speranza di rivedere un giorno i loro bambini. «Credevo che Putin ci avrebbe aiutati – racconta una sfollata di Mariupol –. Prima della guerra mi piaceva l’idea di tornare ad avvicinarci a Mosca, ma quando ho visto come ci hanno trattati veramente mi sono pentita. È colpa mia: ho affidato loro il mio bambino e non mi dicono dove l’hanno portato». Nelle settimane scorse una mamma del Donbass sfollata vicino a Kiev ha provato a raggiungere la Russia attraverso la Bielorussia. Un disperato viaggio della speranza per trovare la figlia di pochi anni. È stata respinta dai doganieri di Mosca.
In Crimea, oppure sulla costa russa del pacifico, a 8.500 chilometri da qui, suo figlio potrebbe essere ovunque. Le testimonianze dei genitori o dei familiari dei bambini volontariamente consegnati a russi non sono sempre chiare. Ma c’è chi racconta di non avere avuto scelta, sperando di potere offrire ai propri figli una possibilità per sopravvivere ai bombardamenti e ai massacri avvenuti in molte delle cantine “ripulite” dalle forze di occupazione.


«Sequestrati»
Prime conferme sui piani di indottrinamento dei «figli della guerra» deportati a Grozny.
Sono rinchiusi nel centro dei corpi speciali islamisti del dittatore Kadyrov. Ma anche in una colonia in Crimea

I ricercatori del Centro per i diritti umani dell’università di Yale hanno esaminato testimonianze, immagini satellitari, foto che circolano sui social media russi. Lo stesso fanno altre organizzazioni umanitarie indipendenti, da Amnesty ad Human Right Watch, fino agli investigatori della Corte penale dell’Aja, oltre alla procura generale di Kiev. Secondo Yale le strutture dedicate ai ragazzini ucraini in Russia sono almeno 43. Stime prudenziali dicono che i minorenni in mano russa siano più di 6 mila, ma «ulteriori dati suggeriscono che il numero totale di strutture e di bambini detenuti – spiegano i ricercatori – è probabilmente molto più alto». Molti sono orfani presi dagli istituti minorili ucraini. Tanti sono adolescenti prelevati all’inizio del conflitto nei “campi di filtrazione”. Tra quelli individuati, il centro più lontano si trova a Magadan, nell’Estremo Oriente russo, tre volte più vicino agli Usa che al confine con l’Ucraina.

Per ottenere conferme visive e facilitare l’identificazione, gli investigatori internazionali si sono avvalsi di alcune soffiate e di materiali forniti da “Cc030 e Cc0301” (Ceceno 030 – Ceceno 031), nome in codice di alcune fonti riservate in territorio russo. Grazie ad essi è stato possibile, fra gli altri, avere certezza del coinvolgimento dei kadyroviti, i soldati agli ordini di Ramzan Kadyrov. In una delle immagini, che oggi pubblichiamo con i volti parzialmente coperti, i ragazzi sono con quattro adulti. Non i migliori compagni di strada. Nella foto sopra, si vedono da sinistra Vladimir Khromov (rappresentante del Commissario presidenziale della Federazione Russa per i diritti dei bambini), Zamid Chalayev (comandante del “Reggimento speciale Kadyrov”), Akhmed Dudayev (ministro della Repubblica Cecena per la politica nazionale, le relazioni estere, la stampa e l’informazione). Una serie di filmati raccolti da Avvenire, riguardano proprio Chalayev. La propaganda cecena lo riprende mentre ordina gli assalti, partecipa agli scontri a fuoco, mostra i cadaveri, studia le mappe delle città che a mano a mano saranno rase al suolo.

Nel gennaio di quest’anno Mosca ha dichiarato che 728.000 minorenni erano arrivati in Russia dal febbraio 2022. La maggior parte di questi si trova ancora con le famiglie o con adulti di riferimento. Il governo ucraino ha raccolto segnalazioni su oltre 14.700 bambini non accompagnati da adulti e classificati come «deportati». Secondo documenti di Unicef e Unhcr-Acnur visionati da Avvenire, molti dei circa 100 mila bambini ospitati fino allo scoppio della guerra in istituti o collegi ucraini, hanno parenti e tutori viventi. Già il 14 luglio 2022 Maria Lvova-Belova, Commissario presidenziale per i diritti dell’infanzia della Russia, aveva annunciato che «un totale di 108 “orfani del Donbass” che hanno ricevuto la cittadinanza russa saranno assegnati a nuovi genitori in sei regioni della Russia». Lei stessa, raffigurata dai media come donna pia e devota alla causa dei più indifesi, il 21 settembre ha fatto sapere che il suo «figlio adottivo di Mariupol» aveva appena ricevuto la cittadinanza russa. Per dare l’esempio Lvova-Belova avrebbe adottato almeno otto bambini ucraini.

La riprova della sfrontatezza con cui vengono commessi questi crimini si è avuta due giorni fa, quando al culmine dei sinistri festeggiamenti a Mosca per il primo anniversario dell'inizio della guerra, Vladimir Putin si è fatto raggiungere sul palco da un gruppo di bambini di Mariupol per "ringraziare" gli invasori di averli salvati.

"L'abominio è che questi non sono attori. Sono davvero bambini di Mariupol", ha riferito al Guardian uno sfollato della città rasa al suolo dalle forze russe. Ha raccontato di aver riconosciuto quei bambini spaesati intorno allo zar, perché con loro aveva trascorso i lunghi giorni rannicchiati negli scantinati, riparandosi dalle bombe russe e soffrendo la fame e il freddo.

L’allontanamento forzato dei minori è «un crimine gravissimo», commenta Filippo Ungaro, capo della comunicazione di Save The Children: «Chiediamo una commissione internazionale indipendente guidata dall’Onu che sia in grado di investigare e approfondire, per determinare con precisione questi crimini e per tutelare questi bambini e restituirli alle loro famiglie e alle comunità di origine».

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