lunedì 5 maggio 2014
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Fa il portiere d’albergo, una viso tondo e perennemente sorridente ed ha uno tra i nomi più curiosi che si possano immaginare. Ha 42 anni e si chiama Oncemore, l’equivalente italiano di “Ancora una volta”, e viene dallo Zimbabwe. E’ in Sudafrica da sette anni, dove lavora come portiere d’albergo a Green Point, uno dei quartieri più benestanti di Città del Capo. “In Zimbabwe la situazione sia politica che sociale è devastante: c’è spesso carenza di generi alimentari, l’inflazione è un incubo e soprattutto non c’è lavoro”, spiega. Così nel 2007 Oncemore parte per il Sudafrica, compiendo il viaggio della speranza verso l’Eldorado del continente nero. 

Come lui, infatti, decine di migliaia di persone da tutta l’Africa tentano di trasferirsi qui, sperando nella concessione dell’asilo e di un permesso di lavoro quadriennale, eventualmente rinnovabile. “Qui mi trovo bene, mi sto realizzando nel mio lavoro e mi sento accettato e rispettato dalla comunità – sottolinea – Certo, però, non per tutti è così. Soprattutto per quelli che sono senza documenti e vengono sfruttati a più non posso”. Ecco, perché il problema sta proprio qui. Il Paese che ha sconfitto l’apartheid e che mercoledì torna al voto a vent’anni dalle prime elezioni libere che videro trionfare Nelson Mandela, il primo presidente nero, rischia di essere un rifugio amaro per tanti, troppi africani. “Il periodo peggiore è stato sei anni fa – ricorda Oncemore – Dopo i fatti di Brazzaville qualcosa è cambiato”. Brazzaville, a pochi chilometri dalla capitale Pretoria, diventò nel maggio 2008 l’epicentro di una serie di violenze xenofobe contro gli immigrati. Neri contro neri. Una folla inferocita diede alle fiamme un giovane commerciante mozambicano, Abraham Msimango. Quell’anno furono in tutto 62 le vittime di attacchi razzisti, che si allargarono fino a qui, alla provincia del Western Cape. E di tanto in tanto la xenofobia riemerge, è un fuoco che cova sotto le ceneri della povertà e della disoccupazione: ancora l’anno scorso, sempre a Brazzaville, furono dati alle fiamme diversi negozi di proprietà di somali e pachistani. Nonostante questo, però, gli immigrati continuano ad arrivare. “Mi sono un po’ spaventato quando ho visto in Tv che era stato bruciato un uomo, ma per me il Sudafrica è l’unico Paese nel continente che può darmi una speranza”, spiega Chatlago, anch’egli mozambicano. “A volte sento dire da qualcuno: ‘Straniero, Mandela è morto, ora devi tornartene al tuo Paese - dice un po’ sconfortato – ma io voglio restare qui”. E’ ovviamente solo una piccola parte dei sudafricani ad avere un atteggiamento discriminatorio, ma nella “nazione arcobaleno” che ha raggiunto così faticosamente la democrazia la xenofobia fa più che impressiona che altrove. “Sì è vero, ogni tanto scoppia qualche problema, ma gran parte di noi vive in armonia”, ci tiene a sottolineare Martin, 35 anni. Molti immigrati sono vulnerabili perché, senza documenti in regola, sono costretti ad accettare paghe da fame e a vivere nelle township, sterminati agglomerati in cui spesso la sicurezza è un optional.

A Philippi, agglomerato di centomila persone a mezzora da Città del Capo, vive Daniel. “Vengo dal Ruanda e ho 27 anni, qui ho iniziato un’attività con mio fratello, vendiamo questi materassi al bordo della strada”, dice mostrandoci la sua mercanzia, a dir poco usata. Si avvicina Ensong, di pochi anni più vecchio, originario dello Zimbabwe. Anche lui ci tiene a mostrarci la sua merce accatastata sul margine della carreggiata: vende cancelli scorrevoli e sbarre antisfondamento (per il problema della sicurezza di cui sopra…).

Tanti sono gli immigrati che lavorano nelle miniere: carbone, oro e soprattutto platino (di cui il Sudafrica è il principale esportatore mondiale) costituiscono un vero tesoro per le entrate governative e per le multinazionali impegnate nell’estrazione. In mano ai lavoratori, però, resta ben poco. Nel 1998 l’African national congress al governo promulgò il Refugees Act, una legge che aveva come obiettivo quello di garantire maggiori diritti ai richiedenti asilo, ma i dati sono contrastanti. Il Sudafrica è il Paese al mondo che attrae in assoluto più richiedenti asilo, spesso per motivi socio-economici, ma i permessi concessi riguardano solo il 15,5% degli aspiranti, contro una media globale del 38%. Ad oggi sono circa 58mila i rifugiati nel Paese. Molti di più gli immigrati irregolari. Che però mercoledì non voteranno. E allora, penserà qualcuno, evitino di reclamare troppi diritti.

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