sabato 30 novembre 2019
Oggi la Giornata mondiale dell'Onu contro la malattia. Sant'Egidio rilancia il progetto Dream che è operativo ormai da 18 anni. Medici senza frontiere insiste: servono test più rapidi
(Il simbolo della lotta all'Aids (Ansa)

(Il simbolo della lotta all'Aids (Ansa)

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Salvare il futuro dell'Africa combattendo la principale causa di morte tra gli adolescenti del Continente: il virus dell'Hiv. È questa la sfida del programma Dream della Comunità di Sant'Egidio che, in occasione della Giornata mondiale dell'Onu contro l'Aids, domenica 1° dicembre, vuole ricordare quanto è stato fatto e quanto ancora bisogna fare per i giovani. Un'attività che Dream porta avanti ormai da 18 anni offrendo accesso gratuito alle cure in 11 Paesi africani, con 49 centri di salute e 25 laboratori di biologia molecolare.

Nel 2016, si legge in una nota, il 73% dei nuovi casi di Hiv tra adolescenti era localizzato in Africa (fonte: www.avert.org). E si stima che da qui al 2030 ci saranno altri 740 mila giovani che contrarranno il virus. Ad oggi la metà delle ragazze e dei ragazzi sieropositivi è concentrata in sei nazioni. Cinque di queste appartengono allo stesso continente: Sudafrica, Nigeria, Kenya, Mozambico e Tanzania.

Particolarmente seria la situazione nell'Africa orientale. Ed è proprio da qui che parte il lavoro di Dream. Sono quasi 6000 gli adolescenti attualmente in terapia nei centri di salute del programma della Comunità di Sant'Egidio. La metà di questi si trova in Mozambico, più di 1.000 in Malawi e oltre 800 in Kenya. Nei tre stati Dream ha tre progetti, finanziati dall'Agenzia italiana per la cooperazione e lo sviluppo: "Malawi? I Care", "Mozambico Pass" e "Insieme al Global Fund" per porre fine all'epidemia di Hin e Tb in Kenya. Di pochi giorni fa è la notizia che l'Aics ha approvato un progetto dedicato ai giovani dal titolo "Espaco Aberto".

In supporto ai sistemi sanitari nazionali, Dream, attraverso i centri di salute, non si limita alla distribuzione dei farmaci, ma forma il personale locale e offre ai pazienti servizi di consulenza, prevenzione e test. Fondamentale, soprattutto per gli adolescenti, l'attività di sensibilizzazione sulle tematiche legate alla salute e alla cura. Queste attività sono svolte da expert client, persone malate, spesso donne, che hanno beneficiato dei servizi offerti dai centri di salute di Sant'Egidio e che sono poi diventate divulgatrici, veri e propri punti di riferimento in grado di dare ai giovani le informazioni necessarie per accedere alle cure o, prima ancora, per fare un test.

Ogni centro di salute Dream ha un responsabile dei servizi indirizzati ai giovani. L'idea alla base dei programmi per gli adolescenti è quella di mantenere con loro un filo diretto attraverso appuntamenti fissi focalizzati sulle loro specifiche necessità. Per questo vengono invitati a prendere appuntamento in giornate dedicate espressamente a loro per monitorare lo stato di salute e nutrizione, fare gli esami del sangue necessari al controllo dell'andamento della terapia e i test per la carica virale, consegnare i farmaci, prevenire e curare eventuali malattie correlate all'Hiv e fare screening del cancro della cervice uterina. Tutte le attività sono svolte da personale qualificato opportunamente sensibilizzato.

"Attorno ai centri Dream - osserva la direttrice, Paola Germano - esistono movimenti di adolescenti che hanno superato la fase dello stigma e s'impegnano a parlare dell'Hiv con i coetanei sani, nelle scuole e nei luoghi di ritrovo. Sono movimenti di adolescenti costretti dalla malattia ad una maturità interiore precoce, che grazie alle cure e all'inclusione del gruppo ritrovano sicurezza e speranza. Il loro contributo all'abbattimento dello stigma da Hiv tra i giovani è inestimabile".
Rafforzamento dei servizi sanitari per adolescenti e giovani donne con Hiv in Mozambico che comincerà nel 2020. Il progetto permetterà di offrire per almeno due anni cure gratuite e di qualità a 2.500 giovani con Hiv (per il 52% ragazze) tra i 10 e i 19 anni e 1.250 giovani donne sieropositive tra i 20 e i 25 anni. Si sperimenterà la formazione di youth leader e la loro inclusione nella creazione di uno spazio adolescents friendly all'interno di sei centri di salute in Mozambico, al fine di facilitare l'accesso dei giovani ai servizi sanitari per Hiv.

Combattere l'Aids tra gli adolescenti significa, spesso, agire prima che questi vengano messi al mondo. La maggior parte dei ragazzi e delle ragazze, infatti, contrae il virus per via perinatale, mentre il resto si infetta attraverso il sesso non protetto. Dal 2002 ad oggi, Dream ha fatto sì che 100 mila bambini di madri sieropositive nascessero senza contrarre l'Hiv, offrendo alle donne incinte un servizio gratuito e di qualità per prevenire la trasmissione del virus ai figli.

I giovani tra i 15 e i 24 anni sono una categoria vulnerabile all'infezione per caratteristiche associate ai comportamenti di questa fascia di età. I ragazzi, in una società in cui è alta la disuguaglianza sociale, sono soggetti a fattori come la carenza di risorse economiche, l'abbandono scolastico e l'esplorazione sessuale che aumentano la vulnerabilità all'Hiv. A questi fattori vanno aggiunte la difficoltà di accesso ai servizi sanitari e la scarsa preparazione nella risposta nazionale in Africa Sub-Sahariana alle specificità di questo gruppo di età.

Msf: 770mila morti nel 2018, servono test rapidi

Nel 2018 l'Aids ha ucciso nel mondo 770 mila persone di cui 100 mila bambini. E «nonostante l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) abbia stabilito delle linee guida sull'Hiv avanzato dal 2017, l'impegno dei governi ad adeguare le proprie politiche nazionali è stato molto lento, e l'implementazione di queste misure e i relativi finanziamenti risultano ancora più indietro». Lo denuncia Medici senza frontiere (Msf) nel rapporto “Non c'è tempo da perdere”, pubblicato in vista della Giornata mondiale di lotta all'Aids che si celebra domenica 1 dicembre.

«Per prevenire le morti per Aids - è l'appello della Ong - sono necessari test diagnostici rapidi nelle cliniche locali". Strutture che nella maggior parte dei casi oggi ne sono sprovviste. Le linee guida dell'Oms - spiega Msf - raccomandano l'utilizzo di test rapidi di facile impiego per valutare lo stato del sistema immunitario dei pazienti (test per il conteggio delle cellule Cd4) e diagnosticare le infezioni opportunistiche più comuni e letali causate dall'Aids, come la tubercolosi e la meningite pneumococcica. «Questi test possono dare risultati nel giro di poche ore e questo, congiuntamente alla prossimità e al monitoraggio dei pazienti, consente di intervenire rapidamente, guadagnando giorni che fanno la differenza tra la vita e la morte delle persone», precisa l'organizzazione medico-umanitaria che nel suo nuovo report ha analizzato la situazione in 15 Paesi dell'Africa, monitorandone dal novembre 2018 a ottobre 2019 politiche sanitarie e fondi stanziati.

«I test rapidi non sono quasi mai reperibili a livello comunitario, nonostante la diagnosi precoce possa salvare molte vite», rileva Msf. L'associazione chiede «ai Paesi che registrano un alto livello di infezione e ai Paesi donatori» di «mettere in atto urgentemente i protocolli raccomandati per prevenire, diagnosticare e curare l'Hiv avanzato a livello comunitario». E segnala anche il problema dell'interruzione delle cure, che insieme alla "mancanza di una risposta tempestiva ai fallimenti terapeutici" sta mettendo «a repentaglio i recenti progressi cha hanno visto diminuire il numero di morti per Hiv». «L'obiettivo di contenere i decessi per Aids al di sotto di 500 mila persone entro il 2020 - ammonisce Ruggero Giuliani, vicepresidente di Msf e infettivologo - non sarà raggiunto senza un'azione decisiva per migliorare l'adesione alla terapia e contro le interruzioni del trattamento che determinano un'alta mortalità. In passato abbiamo visto che i pazienti gravemente malati erano quelli inconsapevoli di essere sieropositivi. Oggi vediamo un numero sempre maggiore di persone che è stato trattato in un primo momento, ma che ha successivamente interrotto la cura ammalandosi in maniera grave, e altri per cui la cura non è più efficace».

Più dei due terzi dei pazienti con Hiv avanzato curati nell'ospedale di Nsaje in Malawi, supportato da Msf - riferisce la Ong - sono arrivati già gravemente malati e avevano precedentemente iniziato la terapia antiretrovirale interrompendola. Nell'ospedale di Msf a Kinshasa, in Repubblica democratica del Congo, questo dato raggiunge il 71%. «Di questi pazienti, più di uno su 4 morirà perché la malattia era a uno stadio troppo avanzato al momento del loro arrivo in ospedale. Tutte queste morti si potevano evitare», avverte l'organizzazione.

«Dobbiamo tutti essere consapevoli che il nostro lavoro non è finito una volta che le persone sono in trattamento e vedono migliorare il loro stato di salute. Dobbiamo accompagnarli durante tutto il loro percorso di cura - aggiunge Giuliani - Non metteremo fine alle conseguenze devastanti dell'Hiv scavando più tombe, ma facendo tutto il possibile per mantenere le persone sane, indipendentemente da dove vivano e da quali siano le loro condizioni di vita. Devono essere supportati a livello psicologico e sanitario il più vicino possibile al luogo in cui vivono».

Dei 15 Paesi esaminati (Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Swaziland, Guinea, India, Kenya, Lesotho, Malawi, Mozambico, Myanmar, Nigeria, Sudafrica, Sud Sudan, Uganda e Zimbabwe), selezionati per l'alto livello di infezione da Hiv, per le morti da Aids e per l'elevata percentuale di morbilità e mortalità da tubercolosi e meningite pneumococcica, solo 8 usano test rapidi per la Tbc su pazienti con Hiv avanzato. In alcuni ospedali del Sudafrica vengono utilizzati, ma una maggiore e capillare diffusione a livello comunitario deve ancora avvenire - riporta Msf - Il Malawi sta pianificando di adottarli in 230 centri sanitari nel 2020 e programmi pilota per introdurre questi test sono stati lanciati in Lesotho e in Nigeria. Un altro progetto pilota è stato completato in Kenya prima di una possibile estensione a livello nazionale.

Ancora: solo un terzo dei Paesi analizzati raccomanda l'uso del test rapido per la meningite pneumococcica (che rappresenta il 15-20% di tutte le morti legate all'Hiv avanzato) su pazienti con un sistema immunitario molto debole e compromesso. In Kenya, Mozambico, Sudafrica, Sud Sudan, Uganda e Zimbabwe questa raccomandazione non è stata ancora implementata a livello comunitario. In generale, «attualmente nei 15 Paesi oggetto del rapporto i test per la tubercolosi e la meningite pneumococcica sono disponibili a livello dei centri di salute primaria soltanto nei centri supportati da Msf».

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