sabato 21 agosto 2021
L’«esultanza» del mondo fondamentalista nasconde uno scontro che si consumerà presto. E il territorio afghano offre tutte le opportunità per offrire asilo e riformare il fronte del jihad
Taleban controllano la città di Kandahar, in Afghanistan

Taleban controllano la città di Kandahar, in Afghanistan - Ansa/Epa

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I taleban diventano un modello da imitare per le filiali di al-Qaeda, dal Sahel al Pakistan e dalla Siria allo Yemen. I «turbanti neri» non erano ancora entrati nella capitale afghana quando i gruppi legati alla rete jihadista mondiale, a tutte le latitudini, hanno cominciato a esultare.

Il primo a farlo è stato Iyad Ag Ghali, leader del Gruppo di sostegno all’islam e ai musulmani (Gsim) che opera in particolare nel Mali, ma estende i suoi attacchi anche a Niger e Burkina Faso. Dopo un lungo silenzio, Ghali ha diffuso il 10 agosto un audio in cui rende omaggio al «nostro Emirato islamico» chiedendo ai suoi uomini di intensificare gli attacchi contro le truppe francesi per costringerle a un simile umiliante ritiro. Messaggi di congratulazioni sono giunti anche dalla provincia siriana di Idlib, dove si concentrano formazioni di diversi riferimenti ideologici.

Il gruppo qaedista Firqat al-Ghuraba (la Brigata straniera) di Omar Omsen, che raccoglie decine di jihadisti francesi e belgi, si è complimentato con i taleban, definendoli «un modello di pietà e sopportazione», per «la vittoria eclatante dopo anni di pazienza e sacrificio». Diventa chiaro che stiamo assistendo a una strumentalizzazione da parte di al-Qaeda del successo dei taleban per discreditare ulteriormente l’esperienza del califfato del Daesh. La vera domanda da porsi è, infatti, se i taleban abbiano tagliato o meno il cordone ombelicale con al-Qaeda, la cui ospitalità sul territorio afghano ha provocato la caduta del loro regime nel 2001.

Alla conferenza stampa organizzata dagli “studenti” a Kabul, il portavoce del movimento, Zabihullah Mujahid, non ha risposto a una domanda specifica sul tema, limitandosi ad affermare che i taleban non desiderano più vedere militanti stranieri sul suolo afghano. «In realtà – afferma Wassim Nasr, esperto di movimenti radicali – i loro legami sono ancora molto solidi. Al-Qaeda considera che la vittoria sia sua». Le prove sui legami costanti tra le due parti non mancano. Il quotidiano India Today lamenta che i taleban abbiano rilasciato dalle carceri afghane «oltre 2.300 terroristi, inclusi molti capi del Ttp», il movimento dei taleban pachistani, anch’esso legato ad al-Qaeda.

Uno di questi è l’influente capo tribale mollah Faqir Muhammad, che non nasconde i suoi legami personali con Ayman al-Zawahiri. Gli esperti non escludono che i taleban permettano ad alcuni dei capi di al-Qaeda rifugiati in Iran di tornare nel Paese. Diverso il trattamento dei taleban con i reclusi del Daesh, come dimostra la “misteriosa” uccisione di Abu Omar al-Khorasani, già capo della Wilaya (provincia) del Khorasan per conto del Daesh, nel carcere Pul-i Charki di Kabul poco dopo l’ingresso dei taleban nella capitale. Daesh non assiste impassibile alla derisione dei suoi rivali.

L’ultimo numero (uscito giovedì) di al-Nabaa, organo di stampa del gruppo, si è scagliato contro gli «apostati» che hanno pattuito il passaggio dei poteri con gli americani «negli alberghi di lusso di Doha» invece di proseguire sulla via del Jihad. La rivista ha puntato il dito contro il mullah Baradar, autore dell’accordo con gli Usa, chiamandolo sarcasticamente «mullah Bradley», dal nome del veicolo da combattimento statunitense.

Torna sulla scena, dopo oltre quattro anni di interruzione, anche Inspire, la rivista di propaganda qaedista in lingua inglese. Segno che le due anime del jihadismo si preparano a una lotta ancora più serrata tra di loro. L’Afghanistan, come altre zone calde del pianeta, sono destinate a rimanere a rischio.

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