giovedì 6 febbraio 2025
La Nuova America, rimodellata con la palingenesi dell’imperialismo e sulla rivincita bianca: ma c'è poco da ridere
Un Trump versione pupazzo durante una protesta davanti alla Casa Bianca

Un Trump versione pupazzo durante una protesta davanti alla Casa Bianca - ANSA

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Da tempi immemorabili la nostra civiltà si concedeva una volta all’anno un rovesciamento rituale delle convenzioni e dell’ordine delle cose, un “Mundus inversus” come i saturnalia latini o il carnevale medioevale nel quale gli asini sedevano in trono come papi e re, le lepri catturavano i cacciatori, i pesci volavano liberi nell’aria, gli uomini camminavano a testa in giù.

La chiamavano – non a caso – la Festa dei folli. Durava poco, metteva allegria. Un’allegria che non riusciamo a provare di fronte alle ultime esternazioni di Donald Trump, come il cambio di nome al Golfo del Messico, il land grabbing sulla Groenlandia, l’offerta di acquisto del Canada, la minaccia di dazi sparpagliati a raggiera ai quattro angoli del mondo come una rosa di pallini sparati da un archibugio, per finire con un capolavoro di tetra comicità come il progettato espianto del popolo palestinese da Gaza stipando milioni di senza tetto fra Egitto e Giordania per fare della Striscia una ridente Riviera mediterranea su modello della Costa Smeralda.

Sembra la Festa dei folli, appunto. Invece è il sistematico smantellamento del vecchio ordine mondiale corredato dalla promessa di un Nuovo ordine modellato sulla rivincita bianca (l’elettorato che in larga misura ha dato a Trump il voto che lo ha ricondotto alla Casa Bianca) dopo la colpevole parentesi del multilateralismo; una rivincita che è soprattutto una “culture war”, una guerra allo Stato sociale, al glorioso Welfare di impronta europea, che per Trump viceversa è emblema del peggior socialismo strisciante, del «perverso egualitarismo» che nella visione mercantilistica di The Donald (e dei suoi nuovi manutengoli, da Musk a Zuckerberg a Bezos) è il nemico giurato del Maga.

Ecco quindi la Nuova America, rimodellata con la palingenesi dell’imperialismo, del Destino Manifesto, della Dottrina Monroe, vecchi arnesi dell’epoca di Theodore Roosevelt rimasti a lungo in soffitta e oggi recuperati con vigoroso ardore da un presidente arroccato in un’auto-narrazione che gli fa credere di essere il padrone del mondo, meritevole del Nobel per la Pace.

Basta osservarlo mentre accoglie in pompa magna Bibi Netanyahu, calandosi nella parte del fratello maggiore che gli regala un miliardo di nuovi armamenti. Sembrano Bibì e Bibò, i Max e Moritz americani, felicemente irresponsabili nei borborigmi dei loro dopo-sbornia. C’è poco da ridere.

Mentre Trump cancella – con un risvolto di pesante razzismo bianco – i programmi “Dei” (l’acronimo sta per Diversity, Equity, Inclusion) quasi tutti rapidamente si adeguano: a cominciare da colossi come Meta, Amazon, McDonald's, Ford e Walmart. Del resto si sa, pecunia non olet. Non facciamo fatica a immaginare la Trump-Riviera di Gaza, una replica neocoloniale fatta di resort per ricchi, casinò e spiagge dalla rena candida punteggiate di bungalow. Anche la Cuba di Fulgencio Batista, paradiso di mafiosi ed evasori fiscali era così. Peccato che Egitto e Giordania abbiano già risposto picche. E la Turchia pure. E anche l’Arabia Saudita, che senza uno Stato palestinese riconosciuto non considera validi gli Accordi di Abramo.

Ci piace semmai la replica della presidente del Messico Claudia Scheinbaum: «Cari americani, avete votato per costruire un muro… Ma sappiate che oltre quel muro ci sono 7 miliardi di consumatori, pronti a sostituire i loro iPhone con dispositivi Samsung o Huawei e rimpiazzare Levi’s con Zara o Massimo Dutti. In meno di sei mesi possono smettere di acquistare auto Ford o Chevrolet e sostituirle con Toyota, Kia, Mazda, Honda, Hyundai, Volvo, Subaru, Renault o Bmw, che sono tecnicamente migliori delle vostre auto». Purtroppo questo messaggio è solo una fake news. Ma nel mondo alla rovescia di The Donald è come fosse autentico.

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