venerdì 30 aprile 2010
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«Tutte le misure internazionali atte a riportare la democrazia in Siria dopo 40 anni di repressione sono benvenute. Ma per essere efficaci, devono quantomeno scuotere il regime». Ad affermarlo è Abdel-Halim Khaddam, vicepresidente di Bashar al-Assad fino al 2005, quando ha lasciato Damasco per Parigi. Avvenire lo ha incontrato in un albergo di Bruxelles dove si era recato per accompagnare i dibattiti europei sulla Siria. «Damasco – precisa Khaddam – deve insomma capire che si fa sul serio, e che le pressioni esercitate possono avere seri effetti sulla compattezza del regime. Noi chiediamo di aumentarne l’isolamento fino a paralizzarlo».Imporre cioè delle sanzioni. Quali?Congelare i capitali accumulati all’estero dalla nomenklatura siriana, imporre restrizioni ai movimenti dei responsabili, bloccare gli aiuti internazionali alla Siria e ritirare gli ambasciatori da Damasco e altre ancora.Ma lei sa che molti Paesi occidentali vivono un vero dilemma. Da una parte, vogliono sì premere sul regime per fermare la repressione, ma dall’altra vorrebbero evitare di provocare la sua caduta per timore del dopo Baath.Verissimo, ed è qui che commettono un grosso errore. La sopravvivenza del regime attuale significa condannare i siriani a un secolo di repressione. Il governo siriano ha convinto l’Occidente di essere laico e un argine al fondamentalismo. Ma se guardiamo la realtà vediamo che ha stretto alleanza con l’Iran, Hezbollah e Hamas. È paradossale. Il criterio non deve quindi essere la laicità dichiarata o meno di un regime, bensì il rispetto delle libertà pubbliche. Il sistema “laico” staliniano è ricordato come oppressore, non come liberatore.La Siria pretende di possedere molte altre “carte”, dalla stabilità politica del Libano, ai confini chiusi con l’Iraq, al futuro delle comunità cristiane, al mantenimento della pace di fatto sul Golan... Queste sono carte truccate. Il Golan è tranquillo perché Damasco conosce bene le proprie capacità militari. Israele ha bombardato più volte in territorio siriano senza riscontrare alcuna resistenza. Il punto è che gli occidentali cercano di accontentare la Siria con la speranza di spezzare la sua alleanza con Teheran, ma ora devono constatare che è la Siria ad essere diventata una carta in mano all’Iran.I Fratelli musulmani hanno deciso di scendere pubblicamente in campo. Lei li ha conosciuti all’interno del Fronte di salvezza, come li vede?I Fratelli musulmani siriani non sono chiusi al dialogo. Dicono persino di ambire a uno Stato democratico senza discriminazioni basate sull’appartenenza etnica o religiosa. Si rendono conto che la composita realtà siriana non permette di avere altre aspettative. Lasciamo che le future elezioni libere decidano del peso di ogni corrente, senza escluderne nessuna.Alla morte di Hafez al-Assad lei ha guidato la Siria per 37 giorni come presidente ad interim. Era proprio convinto dell’opportunità di dare il Paese in eredità al figlio?Una delle maggiori colpe nazionali di Assad padre era la questione della successione familiare. Opporsi alla sua decisione significava fare la fine di altri oppositori, assassinati all’estero o gettati in carcere fino alla morte, visto che Assad si era assicurato la lealtà delle forze armate e dei servizi. Quando fui convocato dai leader del Baath era tutto deciso. Non potevo oppormi né alla candidatura di Bashar né alla proposta di emendare la Costituzione per abbassare l’età minima prevista per questa carica da 40 a 34 anni. Non ero nella condizione di aprire una battaglia.Ma ha aspettato cinque anni, fino al 2005, per gettare la spugna. Perché?Ho voluto, come altri siriani, dargli l’opportunità di mettere in atto le riforme di cui parlava prima di accedere alla presidenza. Ho interpellato esperti internazionali in economia e pubblica amministrazione, ma il tempo passava invano. Anzi, vedevo dilagare la corruzione del tandem Assad-Makhlouf (il clan della madre di Bashar, ndr) alla seconda generazione, ognuno dei quali è finito per possedere miliardi di dollari. Ho aspettato la convocazione del congresso del partito per esporre pubblicamente i motivi delle mie dimissioni.Poi ha scatenato le ire del regime dopo che l’ha accusato di essere responsabile dell’assassinio di Rafik Hariri. Cosa si aspetta dal Tribunale Onu sul Libano?Ho detto alla commissione di inchiesta Onu che Hariri aveva effettivamente ricevuto delle minacce. Conviene comunque aspettare l’atto d’accusa prima di esprimersi sul resto.Lei aveva in mano il "dossier libanese". Quali saranno i riflessi sul Libano di un eventuale cambiamento del regime siriano?I riflessi interesseranno l’intera regione, non solo il Libano. Il nuovo governo siriano non vorrà intromettersi negli affari interni di questo Paese che tornerà uno Stato indipendente. Cambierà anche per i palestinesi che oggi subiscono una doppia ingiustizia, da parte israeliana e da parte araba. La nuova Siria non sarà più un fattore di instabilità nella regione.Sta dipingendo un ritratto idilliaco di una Siria disposta a rinunciare al suo ruolo regionale...La Siria, per essere utile agli altri, deve prima essere sana. La corruzione abbinata alla negazione delle libertà e dei diritti dell’uomo hanno portato il Paese all’arretratezza totale.E cosa fanno le diverse opposizioni siriane per realizzare questa nuova Siria?Ammesso che buona parte dei manifestanti non sono legati a partiti, ognuna delle tre forze principali di opposizione – Fratelli musulmani, Fronte di salvezza e Dichiarazione di Damasco – fa la sua parte e si muove nelle città in cui è presente. Siamo tutti concordi sulla necessità di istituire un governo transitorio, indire delle elezioni sotto supervisione internazionale e redigere una nuova Costituzione. Chi vince dirige il Paese.Il Baath siriano sarà sciolto come è successo agli ex partiti al potere in Tunisia ed Egitto oppure prospetta un altro "movimento di rettifica" interno?Il Baath così com’è non potrà più esserci. Se ci saranno baathisti in grado di riportare il partito ai suoi vecchi ideali nazionali e democratici allora non si parlerà di scioglimento. Le colpe dei dirigenti non devono ricadere sui singoli membri. Occorre anzitutto liberare il partito dalle spinte individualistiche in cui l’hanno chiuso pochi clan e ufficiali militari.Lei è accusato di essere tra la "Vecchia guardia" che avrebbe intralciato le riforme del giovane Bashar...Non è affatto vero. Ecco, io mi trovo all’estero dal 2005. È forse cambiato qualcosa in Siria negli ultimi sei anni, se non in peggio? Questa leggenda della "Vecchia guardia" è una mera invenzione dei servizi per scaricare le mancanze di Bashar su altri.Chi prende le decisioni importanti in Siria?Ai tempi di Assad padre, tutte le decisioni erano prese da lui personalmente. Hafez non si fidava di nessuno e voleva controllare ogni minimo affare relativo alla sicurezza. Con suo figlio, il problema si è invertito in un certo senso. Bashar discute di una questione con uno e appare convinto del parere del suo interlocutore, poi ne parla con un altro e cambia opinione.Buthaina Shaaban, la consigliera di Assad, ha detto che lui non ha dato l’ordine di sparare contro i manifestanti...Shaaban dice il falso. Maher al-Assad e Hafez Makhlouf non possono muovere le loro truppe speciali senza il consenso di Bashar. È vero che Maher è violento, contrariamente al fratello, ma non prende certo simili decisioni senza averlo sentito.Le elencherò i nomi di alcuni responsabili siriani per chiederle di indicare, con un voto da uno a dieci, quanto peso hanno nelle importanti decisioni. Maher al-Assad.Nove.Mohammed Makhlouf (zio materno del presidente).Sette.Rami Makhlouf (cugino).Nove.Generale Ali Habib (ministro della Difesa).Due.Generale Daud Rajiha (Capo di Stato maggiore).Zero.Generale Abdul-Fattah Qudsiyya (capo dei servizi militari).Sette.Adel Safar (nuovo primo ministro).Sotto zero.Possibile, signor Khaddam?Chi non ha ancora capito che la Siria non è uno Stato delle istituzioni, bensì una Spa in mano a pochi influenti clan, non potrà mai percepire le ragioni profonde delle proteste in corso.
CHI È: DA MINISTRO A «TRADITORE»Nato nel 1932 da una famiglia sunnita di Banias, sulla costa mediterranea, Abdel-Halim Khaddam è stato uno dei pochi non alauiti a entrare nella cerchia stretta dei collaboratori di Hafez al-Assad. Ha svolto dapprima le funzioni di ministro degli Esteri (1970-1984), poi di vicepresidente della Repubblica, gestendo nel contempo l’importante e delicato "dossier libanese". Come presidente ad interim, ha guidato la Siria nell’interregno tra la morte del vecchio Assad e l’affidamento dell’incarico al figlio Bashar. Alla fine del 2005 ha chiesto asilo politico in Francia dopo aver apertamente accusato Assad di avere ordinato l’uccisione dell’ex premier libanese Rafik Hariri. Una corte siriana l’ha condannato in contumacia ai lavori forzati per tradimento.
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