martedì 19 marzo 2024
Il segretario di Stato amerifcano Blinken: «Grave insicurezza alimentare per il 100% degli abitanti della Striscia». E continuano i bombardamenti
Primi soccorsi ai feriti nei bombardamenti

Primi soccorsi ai feriti nei bombardamenti - Ansa

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Mentre i politici dibattono e i militari combattono, a Gaza l’emergenza è procurarsi il cibo. «Il 100% della popolazione di Gaza si trova a un livello di grave insicurezza alimentare acuta. È la prima volta che un’intera popolazione viene classificata in questo modo» denuncia il segretario di Stato americano Antony Blinken. Parole che pesano. La Casa Bianca ha espresso profonda preoccupazione per il rapporto che colloca 1,1 milioni di persone – metà della popolazione della Striscia – al livello 5 (il più pericoloso) nella scala dell’insicurezza alimentare nota come Integrated food security Phase Classification (Ipc). Intanto, continuano i bombardamenti: secondo quanto riportato dall'agenzia Reuters, almeno 15 persone sono state uccise da un attacco aereo contro una casa nel campo profuighi di Nuseirat, nel centro di Gaza. L'agenzia cita funzionari sanitari palestinesi. In serata, invece, aerei da combattimento israeliani hanno preso di mira la rotonda Kuwait, luogo di distribuzione di cibo a Gaza City, colpendo un gruppo di palestinesi responsabili delle forniture e delle consegne degli aiuti e provocando almeno 23 morti. Lo riporta Al Jazeera, spiegando che il gruppo appartiene ai “comitati popolari” locali formati per coordinare le diverse tribù per la distribuzione degli aiuti umanitari nel nord della Striscia, dopo che nelle ultime settimane è scoppiato il caos più completo a causa della mancanza di cibo.
Infatti, secondo i dati aggiornati dell’Ipc, quasi tutte le famiglie saltano i pasti e gli adulti li riducono per dar da mangiare ai bambini. Nel Nord, quasi due terzi delle persone sono state per almeno dieci volte nell’ultimo mese per intere giornate senza toccare cibo. Sempre nel Nord, due bambini su tre sotto i due anni sono gravemente malnutriti. «Le restrizioni poste da Israele sull’ingresso degli aiuti, così come il modo in cui porta avanti le ostilità potrebbero equivalere all’uso della fame come metodo di guerra», denuncia Jens Laerke portavoce dell’ufficio dell’Onu per i diritti umani (Ocha), ricordando che questo rappresenterebbe «un crimine di guerra». «I meccanismi di reazione che abbiamo visto nelle ultime settimane sono quelli di persone che mangiano semi per gli uccelli, foraggio per gli animali ed erba selvatica», ricorda Laerke. «Ora siamo oltre. Non è rimasto letteralmente nulla».
La difficoltà non deriva solo dal mancato ingresso degli aiuti, con la Striscia sigillata a nord, ma anche dalla mancanza di sicurezza nella distribuzione in un territorio dove la polizia di Hamas non garantisce più l’ordine pubblico. Nel Nord l’esercito ha cercato la collaborazione dei clan locali, ma il tentativo è stato bloccato dall’uccisione di un capoclan da parte di Hamas. Riprese video ottenute dall’agenzia Reuters mostrano un convoglio di aiuti che entra nella città di Gaza di notte, guardato da uomini armati di fucili d’assalto AK-47 e di bastoni. Da un lato, chi è legato ad Hamas evita di esporsi per non diventare bersaglio, dall’altro le fazioni corteggiate dall’esercito temono ritorsioni di Hamas che ancora controlla il territorio. Israele rifiuta di collaborare con l’agenzia dell’Onu per i profughi palestinesi (Unrwa), che è la principale organizzazione umanitaria nella Striscia, e impedisce l’accesso al suo capo Philippe Lazzarini. Ieri il Dipartimento di Stato Usa ha fatto sapere che sta lavorando «con il governo israeliano per approvare rapidamente tutti i visti richiesti per i lavoratori delle Nazioni Unite e delle Ong».
All’indomani della telefonata di Joe Biden a Benjamin Netanyahu, il sito americano d’informazione politica Axios scrive che il presidente Usa avrebbe detto al premier israeliano di non aver intenzione di indebolirlo politicamente. Ai deputati della Knesset, Netanyahu ha spiegato di essere stato «estremamente chiaro» con Biden sulla «determinazione a eliminare i battaglioni di Hamas a Rafah» e sul fatto che «non c’è modo di farlo se non intervenendo via terra». Una nota dell'ufficio del premier precisa: «Siamo in disaccordo con gli Usa sulla necessità di operare a Rafah, non sulla necessità di distruggere Hamas. In segno di rispetto per il presidente (Biden, ndr), abbiamo concordato una piattaforma che possa condividere, in particolare per quanto riguarda l’aspetto umanitario, per consentire un ritiro pianificato della popolazione e l’assistenza ai civili». Tuttavia «non possiamo dire “distruggeremo l’80% di Hamas”, perché il restante 20% riconquisterebbe la Striscia». Una delegazione di alto livello guidata dal ministro della Difesa Yoav Gallant è in partenza per Washington «su richiesta di Biden» per discutere dell’operazione militare a Rafah.
Sul terreno, l’esercito avrebbe ucciso oltre 50 miliziani in due giorni nell’incursione all’ospedale al-Shifa di Gaza City e arrestato 300 sospetti. Da Doha il leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh, ha accusato Israele di «sabotare i negoziati in corso» con l’operazione contro l’ospedale. Un raid su Rafah avrebbe fatto 14 vittime, riferiscono fonti mediche. Un ufficiale dell’intelligence di Hamas è stato ucciso in un raid a Jabalia: secondo Haaretz, era stato incaricato dai miliziani di scortare convogli umanitari al loro ingresso dal nord della Striscia. Ucciso anche il capo della polizia di Nusseirat, nel centro dell’enclave.

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