Nuove alleanze e scenari mai visti: la mappa inedita del terrore

Le guerre in corso e i sommovimenti geopolitici non hanno affatto scalfito la minaccia dei gruppi armati criminali. Dagli Houthi in Yemen ai somali di al-Shabaab, fino alle forze paramilitari africane e ai nuovi affiliati di al-Qaeda, dobbiamo aggiornare la cartina dei movimenti internazionali eversivi
November 15, 2025
Nuove alleanze e scenari mai visti: la mappa inedita del terrore
Una manifestazione di sostegno agli Houthi in Yemen / Ansa
Intorno al Mediterraneo, la minaccia dei gruppi armati e terroristici non è affatto in ritirata: si sta soltanto trasformando. E si muove sempre più attraverso i corridoi, commerciali e migratori, di terra e di mare, che si snodano a sud dell’Europa. Eppure, gli eventi recenti suggerirebbero il contrario. Le guerre di Israele contro Hamas a Gaza e Hezbollah in Libano, la caduta del regime di Assad in Siria, l’indebolimento dell’Iran sembrano portare alla conclusione opposta. Certo, l’“asse della resistenza” di Teheran ha subito un duro colpo e ha perso quasi tutti i leader. E vedere Ahmed al-Sharaa, l’autoproclamatosi presidente siriano già jihadista, entrare nella Coalizione anti-Isis a guida americana, posando insieme a Donald Trump dietro la scrivania della Casa Bianca, fa pensare che non sia proprio questa l’ora del terrorismo.
Basta allargare lo sguardo, però, per accorgersi che le cose non stanno così. E che dovremmo, da europei, iniziare a mettere a fuoco, per lo meno, la nuova “mappa” del rischio ai nostri confini, fatta di attori apparentemente lontani ma che potrebbero, prima o poi, minacciare i nostri interessi economici, energetici, di sicurezza. Magari con la sponda di Iran e/o Russia. Innanzitutto, c’è il buco nero di Gaza. La seconda fase del cessate il fuoco è confusa, persino sulla carta. Il nodo del disarmo di Hamas e dei gruppi della Striscia potrebbe non essere risolto, anche perché la Forza internazionale di stabilizzazione fatica a ottenere adesioni, in attesa di un mandato Onu. E forse anche dopo. Questo potrebbe far scivolare Gaza in un limbo politico. Oppure spingere Israele a riprendere l’offensiva. In entrambi gli scenari, si creerebbe nuovo spazio per Hamas e per altri gruppi.
Ma non c’è solo il Medio Oriente. La sicurezza del Mediterraneo, quindi europea, comincia dall’Africa e dal Mar Rosso: di questo siamo ormai consapevoli, anche se ancora poco attrezzati. Lì non occorrono scenari: la realtà è già eloquente, almeno in tre casi. Il primo è la crescente cooperazione tra gli Houthi yemeniti, i somali di al-Shabaab (affiliati di al-Qaeda) e al-Qaeda nella Penisola Arabica (Aqap, la cellula yemenita del gruppo che fu di Benladen). Significa che le milizie più temibili delle due sponde del Mar Rosso stanno “facendo squadra”. Fino a un decennio fa sarebbe suonato incredibile: gli Houthi sono sciiti, i qaedisti sunniti. Però, il motore della cooperazione è il contrabbando di armi, spesso iraniane, che fa capo agli Houthi: la convenienza vince sull’ideologia. Il rischio maggiore è che gli Houthi, per profitto e strategia, passino armi, tecnologia ed expertise agli altri gruppi, permettendo loro di migliorare le capacità militari. Secondo i recenti report dell’Onu, gli shabaab somali, che dispongono solo di droni di sorveglianza, sono interessati ai droni armati. Proprio quelli che Aqap sta usando in Yemen contro l’esercito da quando collabora con gli Houthi. Pochi giorni fa, il ministro degli esteri di Cipro, il paese più meridionale dell’Europa, ha detto che «è solo questione di tempo perché gli Houthi possano colpire direttamente nel Mediterraneo». A Tel Aviv infatti sono già arrivati.
Il secondo caso è la cooperazione tra le forze di Khalifa Haftar in Libia e i paramilitari sudanesi delle Forze di Supporto Rapido (Rsf), artefici dei massacri di guerra in Sudan. Quest’estate, le Rsf hanno conquistato con l’aiuto di Subul el-Salam, un gruppo affiliato a Haftar, un importantissimo territorio conteso al confine tra Sudan, Libia ed Egitto: la “tri-border area”. Da lì passano il traffico dei migranti e il contrabbando di armi e oro, metallo al centro dei commerci del capo delle Rsf in Darfur. In questa alleanza, i fattori che pesano sono due: il controllo di una rotta dell’economia illegale che assicura finanziamenti bellici e appoggio logistico, più il sostegno militare degli Emirati Arabi.
E poi c’è il terzo caso, che è cronaca di questi giorni: l’assedio della capitale del Mali, Bamako, da parte di un gruppo terroristico affiliato ad al-Qaeda, il Jnim. Il gruppo, già attivo nel nordovest del paese, ha paralizzato la città bloccando l’ingresso della benzina. È il fallimento securitario della giunta golpista sostenuta dalla Russia (qui operano gli ex Wagner Group, ora Africa Corps), ma può danneggiare anche gli interessi europei: il Mali è un paese di origine e di transito per i flussi migratori. È quindi tempo di aggiornare la “mappa” dei rischi che circondano i confini europei, andando a cercarli sempre più a sud. Per non farsi sorprendere dalla prossima crisi, almeno.

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