Il negoziato su Kiev a Ginevra. «Non sarà prendere o lasciare»
di Nello Scavo, inviato a Odessa
Il presidente americano Trump ha fatto intendere che la bozza in 28 punti per siglare una tregua con Mosca non è la proposta finale. Anche i leader europei saranno al tavolo in Svizzera. Intanto il testo scritto in russo e tradotto in inglese è diventato un caso

Non poteva esserci momento peggiore per il piano Usa, scritto in inglese ma secondo la sintassi russa. Giovedì a Kiev si ricordava l’Euromaidan, la rivolta di piazza del 2014 contro l’abbraccio di Mosca. Ieri si commemorava l’Holodomor, la carestia imposta da Stalin che tra il 1932 e il 1933 sterminò per fame oltre 3 milioni di ucraini. Si ricomincia da Ginevra, dove oggi sono stati convocati negoziati urgenti , dove le Nazioni Unite faranno da padroni di casa con il governo Svizzero. La città storicamente ideale per trattare all’ombra del diritto internazionale. I leader europei cercano di proteggere Kiev ed evitare di irritare Trump. «La bozza iniziale del piano in 28 punti include elementi importanti che saranno essenziali per una pace giusta e duratura. Riteniamo quindi che la bozza sia una base che richiederà ulteriori lavori», hanno affermato i leader Ue, ad esclusione di Ungheria e Slovacchia. Ma ieri a un meeting a porte chiuse tra rappresentanti delle diplomazie Ue e funzionari della Casa Bianca si è parlato di «incontro da incubo». Cautela che ha dato un primo risultato. Il piano non è una «offerta prendere o lasciare», ha detto nella serata di ieri il presidente americano secondo cui «non è l’offerta finale».
Prima di partire per la vicina base aerea di Andrews il presidente degli Stati Uniti ha ripetuto il suo mantra, lasciando intendere che vi sono margini, ma non ampi. «Vorremmo raggiungere la pace. Sarebbe dovuto accadere molto tempo fa. La guerra tra Russia e Ucraina non sarebbe dovuta scoppiare. Se fossi stato presidente – ha aggiunto –, non sarebbe mai iniziata. Stiamo cercando di porvi fine. In un modo o nell’altro, dobbiamo porvi fine».
Si comincia oggi a Ginevra, dove si apre la sessione negoziale urgente a cui partecipano inviati europei, la delegazione ucraina e gli emissari di Trump. La Russia non è ufficialmente invitata, ma i rappresentanti permanenti di Mosca nella sede Onu ginevrina saranno informati degli sviluppi.
Il segretario di Stato statunitense Marco Rubio e l’inviato Steve Witkoff arriveranno oggi per discutere il piano del presidente Trump, che il Guardian ha scoperto essere stato scritto originariamente in russo e poi maldestramente tradotto in inglese. Anche il segretario dell’esercito Daniel Driscoll, che giovedì aveva incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Kiev, è arrivato nella città svizzera. I leader europei, compresa Giorgia Meloni, stanno inviando i loro consiglieri per un primo carotaggio a cui seguirà martedì una riunione video tra i “volenterosi”.
A Kiev quella di Trump è sembrata la sfida che preannuncia un tradimento. Il presidente Usa aveva lasciato a Zelensky cinque giorni per firmare l’accordo nel quale si chiede all’Ucraina di rinunciare ai territori occupati e cedere spontaneamente le regioni liberate nel 2022, con la promessa di non entrare nella Nato, ridurre l’esercito a 600mila uomini ridimensionando anche i sistemi d’arma, infine concedendo l’amnistia a tutti i soldati russi e ai funzionari delle terre occupate, accusati per crimini di guerra. Inclusi i pochi arrestati per i massacri di civili a Bucha, Izium, Irpin.
Il risultato è un coro di “no” che rafforza il presidente Zelensky, impacciato nel frenare la caduta del consenso dopo gli scandali per le tangenti nell’energia, e che ieri ha nominato come capo negoziatore proprio Andriy Yermak, capo dello staff presidenziale lambito dallo scandalo e accusato di detenere un potere sproporzionato. A sostenere il no alla proposta di Trump è soprattutto l’opposizione, mai tenera con il capo dello stato e ora compatta nel respingere la “pax americana”. Per Volodymyr Ariev, deputato del partito di opposizione Solidarietà Europea, si tratta di una proposta «di capitolazione e tradimento». E avverte: «Se Zelensky lo accettasse, una parte della società lo rifiuterebbe, il che potrebbe portare a conflitti interni». Nel suo discorso del 21 novembre, Zelensky era stato categorico: «O la perdita della dignità o il rischio di perdere un partner chiave», cioè l’appoggio degli Usa, peraltro claudicante dal momento in cui Trump ha rimesso piede alla Casa Bianca. «Il prezzo da pagare per mantenere il dialogo con gli americani non può essere la sovranità dell’Ucraina», ripete Inna Sovsun, parlamentare del partito di opposizione Holos. Come Andrii Osadchuk, della stesso partito di opposizione, secondo cui gli autori della proposta hanno una «conoscenza molto vaga del diritto, dell’etica, della moralità e delle relazioni internazionali».
Il riferimento è in particolare a Steve Witkoff, l’immobiliarista scelto da Trump per negoziare a Gaza e nella crisi Ucraina. Digiuno di diplomazia, l’uomo d’affari americano ha soppiantato il generale Kellogg, inizialmente inviato Usa a Kiev, considerato troppo sensibile verso gli ucraini. Nella sua ultima missione a luglio 2025, il generale tornò negli States dopo avere ascoltato vari diplomatici europei nella capitale ucraina. «Comprendo e condivido le vostre preoccupazioni – disse prima di partire, secondo quanto riferito da diverse fonti diplomatiche ad Avvenire –, ma non sono sicuro che a Washington comprenderanno». Da allora il generale in congedo non si è più visto in giro. Secondo quanto appreso dal quotidiano Kyiv Independent, l’inviato speciale degli Stati Uniti Steve Witkoff «sta conducendo un’operazione ombra all’interno della Casa Bianca nel tentativo di emarginare i funzionari considerati filo-ucraini».
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