Fania Oz: soldati, orgoglio del mio Israele, rifiutatevi di combattere a Gaza
La primogenita del grande scrittore, docente universitaria, crede nel negoziato, nella moderazione e nel sionismo umanista. In nomi di questi valori si rivolge ai militari del suo Paes

«È giunto il tempo di dire “No pasarán". Non facciamoli andare oltre». Sceglie il grido-simbolo di Dolores Ibarruri durante la guerra civile spagnola per descrivere la battaglia non violenta a cui sono chiamati gli israeliani. Eppure Fania Oz non ha il temperamento incendiario della “Pasionaria”. Al contrario, la figlia maggiore di Amos Oz, tra i più grandi scrittori del Novecento mondiale, crede nel compromesso, nel negoziato, nella moderazione e nel sionismo umanista. «No, quest’ultimo termine non è un ossimoro. È il valore in cui sono stata cresciuta e ho cresciuto i miei figli. Il sogno di uno Stato per gli ebrei nella terra dei loro antenati è perfettamente compatibile con l’aspirazione a vivere in pace e uguaglianza con i nostri vicini palestinesi organizzati in un proprio Stato», dice la storica e docente emerita dell’Università di Haifa che, proprio a partire, dal suo fiero sionismo ha deciso di rivolgere un forte appello ai militari israeliani: «Smettete di combattere a Gaza».
Professoressa Oz, che cosa chiede esattamente?
Partiamo da ciò che non chiedo. Non dico agli israeliani di rifiutare il servizio militare. Se tutti lo facessero, io sarei già morta. L’esercito, nostro orgoglio, protegge la mia vita e quella di qualunque di israeliani. Dopo un periodo di interrogativi e riflessioni, ho deciso di domandare ai soldati di rifiutare di combattere a Gaza.
Quando e perché ha maturato questa scelta?
Dopo la ripresa dell’offensiva al termine dell’ultimo cessate il fuoco, a marzo. È stata una decisione del governo di Benjamin Netanyahu contro la volontà del 70 per cento degli israeliani. Una deliberazione che non contribuisce al rilascio degli ostaggi, né alla caduta di Hamas in favore della costituzione di un nuovo governo a Gaza, né alla salvaguardia dello spirito di Israele, della sua morale, dei suoi valori. Di questi all’attuale governo, il più estremista della nostra storia, importa poco. Come non importa delle vite dei palestinesi: non contano. Non fa differenza se si tratti di terroristi o civili. Per questo è legittimo non solo radere al suolo la Striscia, sfollare le persone, intrappolarle in sacche in cui muoiono di fame, ma addirittura – e lo dicono a gran voce – realizzare la pulizia etnica dei gazawi.
I soldati possono smettere di combattere nella Striscia?
Lo stanno già facendo. Tanti, tantissimi riservisti rifiutano di tornare, in genere senza renderlo pubblico. Si tratta di persone che sono state sul fronte di Gaza diverse volte, fino a quando hanno pensato che la guerra avesse un senso per sconfiggere Hamas. Ora hanno compreso che non è così. Questo conflitto ha due ragioni. La prima, quella di Netanyahu, è restare al potere, evitando nuove elezioni e la costituzione di una commissione di indagine sul massacro del 7 ottobre. La seconda, la motivazione dell’ultra-destra, è avere l’opportunità di “svuotare” la Striscia dai palestinesi per annetterla. Entrambi gli obiettivi sono criminali e nessun soldato dovrebbe perdere la vita per perseguirli. So che non è facile, specie per i più giovani. Ma se sono grandi abbastanza per essere spediti a Gaza, lo sono anche per alzare la voce e dire: “Noi ci rifiutiamo”, questa è la nostra linea rossa.
Cosa pensa dell’annuncio del riconoscimento della Palestina da parte di molti Paesi, a partire dalla Francia?
È uno degli effetti paradossali della pessime scelte dell’attuale governo. Di fronte alla tragedia di Gaza, è cresciuto il fronte dei sostenitori dello Stato palestinese. Ciò non mi preoccupa. Ovviamente il nostro futuro vicino e i suoi supporter devono accettare l’esistenza di Israele e non cercare di distruggerlo in modo che possiamo vivere in pace.
Lei ha studiato a lungo il fenomeno dell’antisemitismo. Il governo Netanyahu definisce “antisemita” ogni forma di critica nei confronti di Israele. È davvero così?
Ci sono due tipi di critici. Alcuni negano il diritto stesso all’esistenza di Israele. Altri non lo fanno ma contestano determinate politiche dello Stato ebraico. In quest’ultimo caso non si tratta di antisemitismo, al contrario. Mai come ora Israele ha necessità di amici critici.
Che cosa intende?
Chiunque ami e sostenga lo Stato ebraico ha il dovere di criticare questo governo che non solo porta avanti una guerra criminale a Gaza ma lede i diritti dei suoi stessi cittadini e sta distruggendo la democrazia israeliana.
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