Corridoi per le truppe: la Schengen militare costa 100 miliardi
di Giovanni Maria Del Re, Bruxelles
La Commissione Ue vuole facilitare e velocizzare lo spostamento dei soldati da uno Stato all'altro, investendo su reti logistiche snelle in grado di bypassare le frontiere. Sullo sfondo c'è la proposta di trasformare anche l'industria di difesa europea, che oggi si appoggia molto sugli Usa

«La fanteria vince le battaglie, la logistica vince la guerra». Cita il generale John Pershing, comandante supremo delle forze Usa durante la Prima guerra mondiale, il commissario alla Difesa Andrius Kubilius. Una citazione per sintetizzare la proposta avanzata ieri dalla Commissione Europea di una “Schengen militare” per facilitare e velocizzare lo spostamento di truppe da uno Stato Ue all’altro. «Solide reti logistiche possono fare la differenza tra vincere e perdere una guerra» gli fa eco il collega ai Trasporti, Apostolos Tzitzikostas. Sullo sfondo, le previsioni di varie intelligence europee che Vladimir Putin potrebbe decidere di attaccare l’Ue e la Nato entro il 2030 (se non prima).
«L'Europa – avverte l’Alta rappresentante Ue Kaja Kallas – sta affrontando minacce alla sicurezza senza precedenti: la necessità di una migliore mobilità militare non potrebbe essere più evidente». Una cosa è chiara per l’estone: «Se l’Ue non sarà debole, la Russia non ci attaccherà». In effetti, precisa Tzitzikostas, non è che l’Europa stia preparando una guerra, al contrario «l'Europa vuole la pace, ma, se vogliamo la pace, dobbiamo essere pronti ad affrontare una guerra». È il classico «si vis pacem para bellum».
La proposta è di un regolamento (dunque immediatamente applicabile senza trasposizione nazionale) che dovrà però essere approvato dal Consiglio Ue (Stati membri) e dal Parlamento Europeo. Una proposta in coordinamento con la Nato (che resterà l’unica responsabile della gestione di eventuali operazioni belliche). Certo è che da anni i militari lamentano tempi di attesa estenuanti per le relative autorizzazioni dei vari Stati (alcuni chiedono ad esempio una notifica almeno 45 giorni prima). Non si parla solo di autorizzazioni, però ma anche di infrastrutture. Tzitzikostas ricorda un clamoroso caso di una decina di anni fa, quando, durante un’esercitazione Nato, «una singola debolezza infrastrutturale ha ritardato lo spostamento di attrezzature e personale dai porti del Mare del Nord al fianco orientale». Ed ecco allora le proposte principali. Anzitutto, introdurre per la prima volta regole armonizzate a livello per l’Ue con l’indicazione di chiare norme e procedure per gli spostamenti militari transfrontalieri, che prevede che l’autorizzazione al passaggio sia di massimo tre giorni (in tutto, non per ogni singolo attraversamento di frontiere dello stesso trasporto).
Secondo, la creazione un quadro di emergenza, denominato Emers (Sistema di risposta avanzato europeo di mobilità militare) per accelerare le procedure e l’accesso prioritario alle infrastrutture. In questo caso non sarebbe più necessaria un’autorizzazione all’attraversamento dei confini, basterebbe la notifica. Terzo, l’aggiornamento delle infrastrutture (ponti, strade, viadotti) per far sì che, lungo i corridoi militari previsti (ma tenuti riservati per ragioni di sicurezza), possano passare carri armati e altre attrezzature pesanti. La Commissione prevede 17,65 miliardi di euro nel quadro della Connecting Europe Facility (in genere prevista per i grandi corridoi di trasporti civili), per 500 progetti (anch’essi riservati) per aggiornare le infrastrutture e rimuovere colli di bottiglia. Complessivamente, spiega Tzitzikostas, serviranno 100 miliardi di euro per questi progetti di qui al 2030. Tra gli altri punti una messa in comune e condivisione di capacità militari, con un bacino di solidarietà e la possibilità di creare un sistema di informazione digitale per la mobilità militare. Infine, un rafforzamento della governance e del coordinamento.
L’altra proposta in tema militare avanzata ieri riguarda la tabella di marcia per la “trasformazione” dell’industria di difesa europea per metterla in grado di rispondere alle accresciute esigenze, mentre al momento l’Europa è costretta in buona parte a fare affidamento a produttori terzi (anzitutto Usa). Previste quattro priorità: sostenere gli investimenti nelle aziende di difesa, accelerare lo sviluppo di nuove tecnologie, espandere l’accesso alle capacità di difesa e promuovere le qualificazioni necessarie per mantenere il vantaggio tecnologico dell’Europa. Il modello, spiega Kubilius, è l’Ucraina che ha saputo creare una fiorente e agile industria militare soprattutto per i droni.
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