Assolto in Ulster l'unico imputato per la strage del Bloody Sunday
Il 30 gennaio 1972 a Derry morirono 13 persone nel pieno dei Troubles: a colpire i cattolici un reparto di soldati inglesi
«Non colpevole». Il giudice Patrick Lynch, del tribunale di Belfast, ci ha messo due ore, intervallate pure da una pausa, per arrivare alla conclusione e annunciare il verdetto. Il soldato “F.”, l’unico veterano britannico incriminato e processato per il Bloody Sunday, una delle stragi più sanguinose del conflitto nordirlandese, non può essere condannato perché è trascorso troppo tempo dai fatti ed è ormai impossibile verificare le prove.
Era il 30 gennaio del 1972 quando una marcia per i diritti civili organizzata nel quartiere cattolico di Bogside, a Derry in Ulster, sfociò in massacro. I paracadutisti di Sua Maestà aprirono il fuoco contro i manifestanti uccidendo 13 persone. Un’altra è morta più tardi a causa delle ferite. Erano gli anni della tensione tra cattolici e protestanti, tra repubblicani e unionisti: gli anni dei Troubles. Le autorità avevano messo al bando le dimostrazioni di piazza e legittimato l’uso della forza a contenerle. La cronaca di quella mattanza racconta di giovani morti in strada tra i cartelli alzati a rivendicare il diritto a un equo processo. Molti furono raggiunti dai proiettili durante la fuga, altri mentre prestavano soccorso ai feriti. Fu la miccia che incendiò ulteriormente il conflitto chiamando alle armi dell’Irish Republican Army numerose leve.
Sulla stage furono condotte due inchieste: la prima, affidata a Lord John Widgery subito dopo la tragedia, scagionò i soldati e le autorità britanniche da ogni responsabilità anche se descrisse la reazione dei militari «al limite dell’imprudenza». La seconda, di cui fu titolare il giudice Mark Saville, certificò nel 2010 che nessuna delle persone uccise rappresentava una minaccia per l’esercito. La pubblicazione dell’esito delle verifiche, durate 12 anni, portò David Cameron, allora inquilino di Downing Street, a chiedere «scusa al Paese e alle famiglie delle vittime».
Il caso era stato archiviato nel 2021 ma riaperto nel 2022 dopo un ricorso. Dei 18 soldati indagati, solo “F.”, ex caporale, è stato processato. Sulla sua testa pendeva l’accusa di omicidio di James Wray, 26 anni, e William McKinney, 22 anni, e del tentato omicidio di Michael Quinn, Patrick O’Donnell, Joseph Friel, Joe Mahon (e di una quinta persona). Protetto da un ordine del tribunale che ne garantiva l’anonimato, ieri, è salito sul banco degli imputati ma è rimasto nascosto dietro una tenda. Il giudice Lynch, che ha presieduto il caso senza giuria (procedura consentita solo in casi eccezionali), ha chiarito che i militari avevano sparato a civili disarmati mentre fuggivano, che avevano «completamente perso ogni senso di disciplina» e che i responsabili di quella carneficina «dovrebbero vergognarsi». Ma, ha aggiunto, le prove contro “F.” non raggiungono la soglia necessaria a una condanna. Due delle testimonianze chiave dei commilitoni sono state bollate come «spergiuro» (ovvero false) e per questo dichiarate non ammissibili. «A mio avviso – ha spiegato il magistrato – il ritardo del processo ha seriamente ostacolato la capacità della difesa di verificare la veridicità e l’accuratezza delle dichiarazioni».
I familiari delle vittime hanno partecipato a ogni udienza del processo da quando, lo scorso 15 settembre, è cominciato. Ieri, hanno ingoiato tra le lacrime il verdetto e provato a cercare consolazione solo nell’idea di essere riusciti a non mollare la causa, mai, per 53 anni. Per loro, adesso, i margini di appello sono strettissimi (se non inesistenti). Liam Wray, fratello di uno degli uccisi, ha trovato la forza per definire la giornata «dura, triste ma emozionante». Pur non essendo stata fatta giustizia, ha sottolineato, «comprendo le difficoltà che il giudice ha dovuto affrontare» nel dirimere un caso vecchio più di mezzo secolo. Per Mickey McKinney, anche lui fratello di uno dei caduti, ha aggiunto che le famiglie non incolpavano il giudice per la sentenza «ma lo Stato britannico complice dell’omicidio e dell’insabbiamento del caso». Al pronunciamento della corte hanno applaudito invece i veterani dell’esercito che insieme ai lealisti alla Corona hanno sempre bollato la fame di giustizia dei parenti delle vittime come «caccia alle streghe».
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