mercoledì 14 settembre 2022
Il Caucaso torna a infiammarsi per la regione contesa del Nagorno-Karabak proprio quando il presidente Putin, e la comunità internazionale, avrebbero preferito che la situazione rimanesse calma
Un fermo immagine dal video, rilasciato dal ministero della Difesa armeno, mostrerebbe il dislocamento di soldati azeri in una regione montuosa al confine con l'Armenia

Un fermo immagine dal video, rilasciato dal ministero della Difesa armeno, mostrerebbe il dislocamento di soldati azeri in una regione montuosa al confine con l'Armenia - Ministero della Difesa Armeno, via Reuters

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Cento morti, metà per parte, nei peggiori scontri degli ultimi due anni tra Armenia e Azerbaigian per la regione contesa del Nagorno-Karabakh. Il Caucaso torna a infiammarsi proprio quando il presidente Putin, e la comunità internazionale, avrebbero preferito che la situazione rimanesse sotto controllo. La controffensiva ucraina continua a rafforzarsi, mettendo Mosca in difficoltà e, come se non bastasse, il numero uno del Cremlino si appresta a volare a Samarcanda, dove domani e venerdì si terrà il summit dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, dove incontrerà l’omologo cinese Xi Jinping e quello turco, Recep Tayyip Erdogan. Con lui discuterà proprio della situazione nella regione caucasica, con l’obiettivo di evitare una escalation che però, alla Turchia, potrebbe anche fare comodo se si considera che Ankara da tempo cerca di avere un maggiore peso nella regione. Anche per questo, ieri nel pomeriggio, il Cremlino ha fatto sapere che Putin «sta facendo ogni sforzo per contribuire ad allentare le tensioni al confine».

Tutto è cominciato l’altra notte. Le tensioni sono sempre concentrate sul territorio conteso del Nagorno Karabakh, a maggioranza armena ma in territorio azero. Durante l’ultima guerra per il suo controllo, le truppe di Baku, anche con il determinante aiuto della Turchia, sono riuscite a riconquistare alcune posizioni. Il cessate il fuoco, raggiunto con la mediazione russa, nella quale Ankara ha cercato di ricoprire il ruolo più ampio possibile, non si è mai trasformato in pace duratura. L’Armenia ha accusato l’Azerbaigian di preparare un’operazione militare, colpendo con colpi di mortaio e droni (di fabbricazione turca, ndr) obiettivi militari e civili. Baku, che ha una potenza bellica superiore, ha cercato di smentire, dichiarando che Erevan avrebbe lanciato diverse provocazioni sul confine, soprattutto nelle regioni di Dashkasan, Kalbajar e Lachin. La Turchia, che con l’Armenia ha un conto aperto per la questione del genocidio del 1915, che Ankara non ha mai riconosciuto, è accorsa in difesa dell’Azerbaigian, specificando che «non sarà mai solo». Un po’ per i legami religiosi, culturali e di affari, un po’ perché l’Armenia ha chiesto aiuto a Mosca in virtù del Trattato di amicizia, in un momento in cui il Cremlino è impegnato a tempo pieno sul fronte ucraino.

I due alleati per convenienza, Russia e Turchia, rischiano di trovarsi anche questa volta da due parti diverse della barricata. È stato annunciato un cessate il fuoco, raggiunto con la mediazione di Mosca, che è entrato in vigore ieri mattina. L’obiettivo è farlo durare il più possibile, almeno fino a venerdì, quando Putin ed Erdogan si troveranno faccia a faccia. Quella che sembra una partita a quattro, vede in realtà l’allerta anche di Europa e Stati Uniti. Il Caucaso è uno snodo importante per le vie dell’energia. Soprattutto per l’Italia, che riceve dall’Azerbaigian gas attraverso il Tap e che di recente ha firmato accordi per aumentare la fornitura e liberarsi dalla dipendenza da quello russo.

Il primo ministro armeno, Nikol Pashiyan, sta cercando di fare uscire il Paese dall’isolamento che lo caratterizza da decenni. Per questo, oltre a Putin, ha sentito anche il presidente francese, Emmanuel Macron e il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, che si è detto «profondamente preoccupato» e ha chiesto la «cessazione immediata delle ostilità». Attiva anche l’Unione Europea, per la quale «non c’è alternativa alla diplomazia».

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