sabato 22 ottobre 2011
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Si chiude la missione Nato in Libia Unified Protector, 26.000 sortite, 9.600 raid e sei mesi dall’inizio. «Abbiamo concordato – ha detto ieri, dopo una riunione fiume, il segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen – che la missione è ormai alla conclusione. E abbiamo preso la decisione preliminare di chiuderla il 31 ottobre prossimo», in vista di una formalizzazione la prossima settimana. Rasmussen ha comunque precisato che fino a quella data «la Nato monitorerà la situazione e manterrà la capacità di rispondere alle minacce ai civili». Dopodiché ci sarà, ha spiegato, «una cesura netta», «spetterà alle autorità libiche prendere in mano il futuro del Paese». «Sono molto orgoglioso – ha aggiunto – di quel che abbiamo ottenuto».

Si conclude così una giornata interminabile che ha visto dissidi interni tra gli Alleati ma anche una coda polemica con la Russia sul raid aereo sul convoglio di fedelissimi di Muammar Gheddafi in uscita da Sirte. Una giornata apertasi con il messaggio postato dall’ammiraglio Usa James Savridis, comandante supremo delle forze alleate, sulla sua bacheca Facebook. «Tra poche ore raccomanderò al Consiglio Atlantico la conclusione di questo missione. È un buon giorno per la Nato, un grande giorno per il popolo di Libia». 

Che la missione avesse sostanzialmente perso la sua ragion d’essere l’aveva fatto già capire giovedì sera il presidente Usa Barack Obama, affermando che la missione si sarebbe conclusa «presto». Ieri si è aggiunto il presidente francese Nicolas Sarkozy: «È chiaro che la missione sta arrivando alla fine». «Penso che possiamo dire che l’operazione Nato è conclusa e che l’insieme del territorio libico è sotto il controllo del Cnt», ha detto anche il ministro degli Esteri Alain Juppé. Che però ci fossero perplessità sulla tempistica, e preoccupazioni per la realtà sul terreno, si era intuito già giovedì, quando lo stesso Rasmussen aveva esortato il Cnt a evitare rappresaglie. Sul fronte della cautela a frenare era soprattutto Londra, rispetto alla fretta dei francesi e in parte degli Usa, premendo per una conclusione graduale della missione. Ieri il ministro degli Esteri britannico William Hague spiegava che bisogna verificare «che non ci siano altre sacche di resistenza filo-Gheddafi». Una linea sostanzialmente accolta, 10 giorni di monitoraggio dovrebbero bastare a capire gli sviluppi.

Ieri è però pesata sulla giornata la violenta polemica di Mosca nei confronti dell’Alleanza. «Non vi è alcun collegamento tra la no-fly zone e un attacco contro un bersaglio a terra – ha tuonato il ministro degli Esteri Serghei Lavrov – in questo caso il convoglio. Soprattutto dal momento che non può essere questione di proteggere i civili visto che non stava attaccando nessuno, si può anche dire che era in fuga». La Nato in un comunicato ha replicato che «al momento dell’attacco ignorava che il colonnello Gheddafi si trovasse nel convoglio». Del resto, recita ancora la nota, «la politica della Nato non è quella di puntare individui» e «l’intervento è stato condotto allo scopo di ridurre la minaccia contro la popolazione civile come prescritto del mandato delle Nazioni Unite. Abbiamo saputo successivamente che Gheddafi si trovava nel convoglio e che il raid probabilmente ha contribuito alla sua cattura».

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