sabato 24 aprile 2021
Positivo un alpinista norvegese che stava per affrontare l’Everest. Giallo sul numero dei contagi, paura al campo base e rischi anche per il turismo
In processione con le mascherine e le protezioni a Kathmandu

In processione con le mascherine e le protezioni a Kathmandu - Ansa

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Il coronavirus è arrivato finanche sul tetto del mondo. Un caso di positività al Covid-19 al campo base del versante meridionale dell’Everest, in Nepal, a più di 5mila metri di altitudine, ha fatto scattare l’allerta pandemia anche tra i ghiacciai. In ballo c’è la sopravvivenza di centinaia di escursionisti. Lukas Furtenbach, famosa guida austriaca tra quelle in servizio alla base, ha avvertito: prima che sia troppo tardi, «abbiamo bisogno urgente di un test di massa».
Lo scorso 15 aprile, l’alpinista norvegese Erlend Ness, in preda a problemi respiratori già da sei giorni, è stato raggiunto al campo da un elicottero che lo ha trasferito in ospedale a Kathmandu. Si pensava che il malore fosse stato causato da un edema polmonare d’alta quota, come spesso può accadere a certe altezze, ma la diagnosi ha confermato che si trattava di un’infezione da coronavirus. L’uomo sta bene e, ieri, dopo otto giorni di isolamento, è stato dimesso perché negativo. Purtroppo, però, si teme che nel frattempo l’accampamento dove aveva soggiornato sia diventato un focolaio.
Intervistata dall’agenzia “France-Presse”, Prativa Pandey, direttore di una clinica di medicina turistica nella capitale nepalese, ha confermato che altri escursionisti sono stati evacuati e ricoverati a Kathmandu nei giorni scorsi ma ha preferito non dare dettagli su quanti siano. L’idea di un’epidemia tra i ghiacciai dell’Everest ha messo in allarme il governo del Nepal, preoccupato per le gravi ripercussioni che un nuovo stop alla breve stagione alpinistica, chiusa al turismo internazionale già da un anno, potrebbe provocare alla già fragile economia del Paese. Si stima che il giro d’affari legato alla scalata della vetta, autorizzata per il 2021 a 377 persone, valga circa 4 milioni di dollari all’anno.
Appena la notizia del contagio del norvegese ha cominciato a circolare, diversi sono stati i tentativi di declassarla a una «chiacchiera». A metà marzo, il ministero per l’immigrazione ha riaperto i confini agli stranieri previa esibizione di un test negativo a 72 ore dalla partenza o di un certificato vaccinale. Durante la scalata è stato inoltre raccomandato l’uso delle mascherine e il distanziamento. Precauzioni che, evidentemente, non sono bastate.
Tra gli esploratori, adesso, ci si lamenta del fatto che il rischio del contagio non sia stato preso sul serio. Lo stesso Ness, che potrebbe aver contratto il virus in una “tea house” della Khumbu Valley, si rammarica di non «aver fatto di più» per proteggersi, di non essere stato abbastanza diligente nel lavarsi le mani. Dal letto dell’ospedale, l’uomo si è anche lamentato per aver pagato un’assicurazione da 1.500 dollari al giorno che ha coperto solo le spese del salvataggio in elicottero ma non quelle del ricovero.

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