sabato 5 settembre 2020
La viceministra agli Esteri: «La cooperazione crei le condizioni per uno sviluppo responsabile: i giovani vogliono superare un sistema basato sull’appartenenza confessionale»
La viceministra Emanuela Del Re

La viceministra Emanuela Del Re - Ansa

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«Ho trovato una tempesta di emozioni: è un Paese che sta vivendo una crisi profondissima, ma la sensazione è di una popolazione che, forte della reputazione del Libano come faro di democrazia, non si arrende ». Emanuela Del Re, viceministra degli Esteri con delega alla cooperazione internazionale, è appena rientrata da Beirut, alla vigilia della visita di martedì del premier Conte.

Emanuela Del Re, ieri mattina la visita all’ospedale da campo italiano, giovedì ha accolto una nostra nave con 8 tonnellate di farmaci. Lei ha sempre sostenuto che la cooperazione internazionale è parte essenziale della politica estera italiana. Cosa significa questo nella situazione del Libano?

In Libano la cooperazione ha stabilito un rapporto trentennale molto profondo: questo, tra l’altro, permette di entrare nelle maglie della società, di porsi come interlocutore diretto delle comunità e favorire la costruzione di rapporti politici bilaterali. Questa mia visita, assieme a quella del ministro della Difesa Guerini – siamo presenti nel Paese anche con la missione Unifil – è servita a rinforzare l’approccio italiano, un approccio olistico in cui tutte le componenti della società italiana hanno un ruolo, sostenute dalla volontà, anche nel lungo termine, di dare un aiuto concretissimo. Non a caso per tutto il mese di agosto ho lavorato a un tavolo sul Libano a cui hanno partecipato tutti, privati, ministeri, società civile, organizzazioni internazionali.

La distruzione al porto di Beirut

La distruzione al porto di Beirut - Ansa

Con il ministro degli Esteri Charbel Webbe avete concordato una «strategia di cooperazione rafforzata» non limitato alla «prima emergenza». Può esemplificare?

Con il ministro Webbe, come con la rappresentante dell’Onu Najat Rochdi, abbiano concordato un approccio unitario. Alcuni problemi sono evidenti, come l’accesso ai servizi di base. La nostra strategia parte dal principio di rispondere prontamente alla prima emergenza dopo l’esplosione del 4 agosto, senza dimenticare quello che è già presente sul territorio ricordando che il Libano non è solo Beirut. Non a caso ho visitato il progetto Avsi che vuole ricostruire le case nei quartieri distrutti attorno al porto, e l’ospedale da campo militare che – con 4 ospedali civili distrutti – darà importanti benefici. Ma questo non basta: i nostri progetti, che nasceranno dalla consapevolezza dei bisogni, vogliono intervenire a lungo termine: penso alle infrastrutture, al sistema bancario, alla rete elettrica e a quella del gas, il tutto a vantaggio di una popolazione vessata dalla quotidianità. In particolare i giovani libanesi sono molto preparati e, non a caso, le organizzazioni della società civile libanese mi hanno chiesto di ripristinare un sistema di mobilità verticale, creare un sistema di accesso alle professioni.

Quali i suggerimento dall’incontro con le organizzazioni della società civile italiane?

Con loro abbiamo lavorato al tavolo sul Libano tutto agosto: un confronto con le diverse sensibilità e specificità. La necessità comune è di profonde riforme, intervenire globalmente portando avanti anche i vecchi progetti per soccorrere, lo ripeto, tutto il Paese.

Il Libano può diventare un simbolo di un modello di cooperazione capace di pacificare il Mediterraneo?

Siamo già presenti, da tempo, nei programmi di riconciliazione per superare il settarismo, e ora li stiamo rafforzando. In questo momento è veramente importante creare la condizione per una “ownership”, una possibilità di sviluppo responsabile e consapevole in particolare delle giovani generazioni. I giovani, e tutta la società libanese, hanno richiesto il superamento dell’attuale sistema rigidamente ancorato alla appartenenza confessionale. © RIPRODUZIONE RISERVATA La viceministra agli Esteri: «La cooperazione crei le condizioni per uno sviluppo responsabile: i giovani vogliono superare un sistema basato sull’appartenenza confessionale» La ricerca tra le macerie, la viceministra Del Re e il cardinale Pietro Parolin a San Giorgio a Beirut/ Ansa

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