sabato 19 ottobre 2019
Due vittime e feriti negli scontri che hanno incendiato la capitale. Gli ultimi aumenti hanno scatenato la folla Il premier Hariri è in bilico: in tv ha chiesto 72 ore per affrontare la situazione
Carovita, anche in Libano la rabbia scende in strada
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Settantadue ore. Questo il ridottissimo tempo che si è concesso il premier libanese Saad per cercare di trovare una via d’uscita di fronte all’esplosione di rabbia popolare contro dopo l’annuncio di nuove tasse e contro il carovita.

Le manifestazioni di protesta sono esplose nella notte di giovedì e si sono protratte senza interruzione – nonostante il dietrofront del governo sulle tasse – per tutta la giornata di ieri, con il blocco di tutte le strade principali del Paese, da Nord a Sud e da Beirut alla Valle della Beqaa. Nel centro della capitale, le forze dell’ordine sono intervenute con i lacrimogeni per disperdere la folla che cercava di avvicinarsi allo storico Gran Serraglio che ospita gli uffici del primo ministro. Il bilancio dei disordini è stato di due morti (di nazionalità siriana morti per asfissia in un negozio dato alle fiamme a Beirut) e oltre 60 feriti, mentre università e scuole pubbliche sono rimaste chiuse per decisione del ministero dell’Istruzione.

Il Libano sta attraversando, infatti, una crisi economica senza precedenti che ha portato, nelle ultime settimane e per la prima volta da decenni, a un deprezzamento della lira libanese rispetto al dollaro. Un ulteriore aggravamento della situazione che ha spinto i panettieri e i benzinai a scioperare per la difficoltà di pagare in dollari il materiale importato. La disoccupazione è al 30%, ma a preoccupare è soprattutto la galoppata senza fine del debito pubblico, giunto a 86 miliardi di dollari, pari al 150% del Prodotto interno lordo.

La discussione della manovra economica, con il governo preoccupato di adottare misure «poco popolari» atte a ridurre il deficit e compiacere ai donatori esteri, senza tuttavia andare a fondo dei problemi strutturali. I libanesi scesi in piazza – era curioso incontrare anche preti, suore e imam musulmani – accusano tutti i politici che si sono succeduti al potere negli ultimi 30 anni di essere all’origine della crisi. Arricchimento illecito, corruzione, immenso spreco sotto l’etichetta di progetti miliardari, sono le principali accuse rivolte a una classe politica invitata a mollare la poltrona, non prima di avere restituito il denaro sottratto. La rabbia covava sicuramente sotto le ceneri, specie quando i libanesi hanno toccato con mano la grave inefficienza del governo nell’affrontare gli incendi scoppiati in tutto il Paese.

Nel suo discorso alla nazione, Hariri ieri sera ha esposto il suo punto di vista con fermezza. «O tutti i partner del governo, prima favorevoli alle riforme da adottare poi assai riluttanti, fanno squadra con me o cedo il posto a chi pensa di avere la soluzione», è stato il senso del suo intervento. Due tra gli alleati del premier, Walid Jumblatt e Samir Geagea, lo hanno invitato a gettare sin d’ora la spugna. Il leader druso ha addirittura invitato i suoi simpatizzanti a scendere in piazza. Un invito che lascia sconcertati dei manifestanti apolitici che temono di vedere una strumentalizzazione della loro protesta da chi, secondo loro, dovrebbe stare sul banco degli imputati.

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