martedì 30 gennaio 2024
Una mamma adottiva spiega il senso e le difficoltà del percorso compiuto. "Abbiamo seguito la logica dell’esploratore che varca i confini mosso da una passione che non riesce a trattenere"
"I nostri otto anni di battaglia per dire no alla sterilità"

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“Bravi, andate a fare un’opera buona!” Niente potrebbe essere più falso di questa esclamazione che spesso i futuri genitori, durante il percorso adottivo, sentono ripetersi. Cercherò, come mamma adottiva, nel mio discorso, di liberare l’adozione da tutti quei fronzoli melliflui da cui è spesso falsificata, offuscata e soffocata, e di entrare dentro la sua preziosa essenza.

Si tratta, per quanto riguarda il punto di partenza, in realtà di due lutti che sono in cammino per incontrarsi: da una parte un bambino, solo al mondo, che comunque, qualunque sia la sua storia, ha patito il lutto dell’abbandono. Dall’altra, nella maggior parte dei casi, di una coppia adottiva che ha patito il lutto di non poter procreare. E qui fa fatta una distinzione.

Se la sterilita è da parte della madre, le cose sono “più semplici”, lei piano piano cerca di farsi una ragione di questo suo corpo sterile e lui non deve comunque affrontare il problema della sua virilità e, pur nelle difficoltà, possono proseguire. Se invece la sterilità è da parte maschile le cose sono ancora più complicate: la donna, a meno che non trovi altre strade, si trova ad affrontare il suo corpo che ogni mese le offre la possibilità di diventare madre e che regolarmente viene deluso, l’uomo da parte sua si trova ad affrontare una menomazione, che spesso non è in grado di reggere, legata come è, anche culturalmente, al concetto di potenza e di virilità.

Sarebbe a questo punto auspicabile che la coppia non affrontasse questo calvario in una mortifera solitudine, in uno sterile “fai da te”, ma si aprisse e, da subito, chiedesse aiuto, anche specialistico, perché, davanti a questa sentenza di morte, si aprono all’orizzonte giorni e giorni, mesi e mesi, anni e anni di interminabili analisi, studi medici, laboratori in cui si sperimenta “lacrime e sangue”, “com’è duro calle lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale”, in un saliscendi di speranza e di abisso di sterile buio. È, nella maggior parte dei casi, una prova devastante per la coppia, durante la quale il rischio della separazione è alto.

Quando le possibilità di procreare naturalmente sono ormai ridotte al lumicino, si possono intraprendere varie strade: l’adozione è una possibile risposta a questo profondissimo lutto e segue la logica dell’esploratore che varca i confini mosso da una passione che non riesce a trattenere. Ad una sentenza di morte si cerca di rispondere con una ricerca di vita, alla sterilità con un percorso fecondo.

E qui si apre un nuovo capitolo spesso tutto in salita…fatto giorni e giorni, mesi e mesi, anni e anni di Tribunale dei minori, idoneità, psicologi, assistenti sociali, altre analisi, altri laboratori, altri documenti, giudici, enti autorizzati che talvolta si scopre che autorizzati dalla Cai (Commissione adozione internazionale) non sono o non sono più, Paesi che chiudono e quindi si blocca tutto per l’adozione internazionale, speranze ridotte al lumicino per quelle nazionali. E più crescono le difficoltà, più aumenta il desiderio, generato dalla mancanza.

Nella maggioranza dei casi la coppia è sempre più sofferente…ed è proprio in questa parte del viaggio che, ormai entrata in un tunnel buio, sempre più buio, ho finalmente chiesto aiuto: entrando in chiesa, in Santa Maria Maggiore nel dicembre del 2004, durante la Novena dell’Immacolata e proprio lì abbiamo incontrato un sacerdote che con una disponibilità infinita di tempo e di cuore è diventato il nostro compagno di viaggio cui si è aggiunto poco dopo con altrettanta disponibilità infinita di tempo e di cuore uno specialista.

Finalmente, dopo otto lunghi lunghissimi anni di attesa si arriva a …partire per quello che per me è stato il viaggio più straordinario della vita, con il cuore aperto verso quello che è il Paese che ci farà dono del suo bene più prezioso, aperto verso la sua gente, i suoi colori, i suoi sapori, la sua musica, la sua lingua, incomprensibile, ma che poi, non si sa davvero come, diviene comprensibilissima, attraverso sguardi, sorrisi, strette di mano, caldi abbracci nella casa dei bambini.

Certo quello che ci siamo trovati a vivere è un analfabetismo dell’adozione, perché fondamentalmente in questo nostro Occidente è venuta a mancare la cultura della vita. Per questo motivo mi sono resa disponibile, su invito dell’allora preside della Scuola di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” dell’Università degli Studi di Firenze, prof.ssa Franca Maria Alacevich, a coordinare, affiancata dal professor Panayotis Kantzas, il Corso di Perfezionamento post laurea per operatori del settore dal titolo “Nodi e snodi del percorso dell’adozione” svoltosi per tre anni dal 2013 al 2016.

Mamma adottiva

Docente Scuola di Scienze Politiche “Cesare Alfieri”, Università degli Studi di Firenze

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