lunedì 5 febbraio 2024
Roberta Rosin, psicologa e docente, esperta di temi legati alla differenza e alla discriminazione di genere, interviene nel dibattito sul caso Careggi e sull'appello dell'associazione GenerAzioneD
Roberta Rosin

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Roberta Rosin, psicologa e psicoterapeuta, didatta e supervisore della Sef (Scuola europea di psicoterapia funzionale), che da anni accompagna persone e minorenni nei percorsi di affermazione di genere, interviene nel dibattito sul caso Careggi e sull’appello dei genitori dell’associazione GenerAzioneD (vedi articolo in questa sezione). Tra i suoi libri Sconvolti. Viaggio nella realtà Transgender (con Chiara Dalla Luche, 2017) e l’ultimo Io non sono un trans (2023) che ha come obiettivo quello spiegare la necessità di accompagnare le persone con presunta o meno incongruenza di genere in modo attento e “lento”, prendendo il tempo necessario. Ha creato l’Associazione, Con-Te-Stare (centro Onig, Padova) dove collaborano psicoterapeute, psichiatre, una logopedista, una osteopata, una nutrizionista, due avvocate e una naturopata, oltre a tutta una serie di persone associate e attiviste. L’associazione ha firmato un Accordo di collaborazione con l’Azienda Ospedaliera di Padova nell’ambito del percorso di affermazione di genere, e con l’Università di Padova, dipartimento di Psicologia dello Sviluppo. Da Con-Te-Stare è nato un gruppo continuativo a partecipazione gratuita per persone maggiorenni Tgd (transgender e gender diverse) Con-Te-Ama ed un altro gruppo, sempre a partecipazione gratuita, dedicato ai genitori Con-Te-Siamo.


Roberta Rosin

“Non sono un trans”. Può essere una battuta ma anche una presa di coscienza, un atto di consapevolezza di persone che, percependosi nati o nate in un corpo che non riconoscono come proprio, durante il percorso psicologico, avviato magari con il proposito di giungere alla terapia ormonale sostitutiva, arrivano a ritornare sui propri passi (un percepirsi di base impreciso e non allenato potrebbero esserne delle cause!). E quando questa persona, in totale libertà, senza condizionamenti e senza sollecitazioni, se non quelle che arrivano da un lavoro profondo di ricognizione psichica, arriva a dire: “Non sono un trans”, vuol dire – presumibilmente - che la specialista, di concerto con la persona, hanno fatto bene il loro lavoro. Ovviamente vale anche il contrario: è stato fatto un buon lavoro anche quando reciprocamente psicologa e persona arrivano alle stesse conclusioni. È importante sentire la frase consapevole Sono una persona Trans, ciò che percepivo ora è ancora più chiaro e definito.

Ma ritorniamo a chi scopre di non esserlo. Sembra paradossale ma, da tempo, assistiamo anche ad una inversione di rotta. In presenza di ondate generazionali “liquide” o “gassose”, l’identità sessuale (costituita da orientamento sessuale, identità di genere, sesso biologico ed espressione di genere) sta prendendo molte forme. Riconoscere e vivere la propria condizione di incongruenza di genere e convincersi che sì, quel corpo verso cui si avverte tanto disagio, è proprio quello non aderente al proprio sentire, spinge consapevolmente la persona ad iniziare una sperimentazione più aderente al proprio percepirsi. Ed è proprio la sperimentazione sociale che dà seguito ad un percepirsi, sentirsi, adeguarsi ed infine mostrarsi al mondo: il proprio sentire diviene essere (e questo oltre lo stigma che la nostra società paventa). Tralascio volutamente - un libro non basterebbe a spiegarlo - quanto il pregiudizio sociale e lo stigma di chi non riconosce la varianza di genere nutrano e alimentino la sofferenza delle persone transgender o gender diverse (TGD) tanto da assimilarla ad una “malattia”.

La decisione di iniziare un percorso di affermazione di genere o, come si diceva un tempo, di transizione, può avere per la persona radici lontane o relativamente vicine ma in qualunque caso è bene affidarsi a persone competenti e che non si improvvisino, soprattutto nel caso di bambini o preadolescenti, a rilasciare un semplice “lasciapassare”. Il mio pensiero vuole sottolineare l’importanza dell’unicità individuale che abbiamo da rispettare sia per i tempi che per i modi. Questa condizione è troppo importante per essere presa in modo affrettato: solo quando si ritiene che i tempi siano maturi, la persona e con essa, in caso di minori, i genitori, hanno da indirizzarsi consapevolmente per intraprendere un percorso che li farà giungere alla Tos (Terapia ormonale sostitutiva) che segna un passo da cui non è così semplice tornare indietro, pur essendo possibile (questo è un dato scientifico, non personale).

Ho letto e riflettuto su quanto dichiarato dai genitori dell’associazione GenerAzioneD a cui è stato dato spazio su questo sito, cogliendo nelle loro parole “prudenza, rispetto e vigile attesa” un profondo sconforto e preoccupazione in quanto, nella loro esperienza, disattese. Non si tratta di aspettare senza far nulla. Anzi, occorre darsi da fare, verificare, conoscere, chiedere e, soprattutto, incontrare chi accompagnerà il figlio o la figlia nel percorso affermativo. A questo proposito mi sovviene il bellissimo passo del Vangelo di Matteo che narra delle dieci vergini che dovevano accompagnare gli sposi con le loro lampade (Mt. 25, 1-13) Cinque di esse erano stolte e cinque sagge: le stolte con le lampade non presero con sé olio di riserva; le sagge invece, insieme alle lampade, presero anche dell'olio in piccoli vasi per non rimanere senza quando necessario”. Questa lungimiranza le ha rese sagge, le ha rese persone in grado di essere pronte.

Nel mondo esistono persone, psicologi/psicologhe, medici, genitori, che hanno la lanterna, ma non l’olio necessario per far luce e per far risplendere i loro talenti. La saggezza delle vergini con lanterne e i piccoli vasetti d’olio di riserva permetteva di far luce, rendere noto il non noto, darsi possibilità. Questo riferimento evangelico, che non aspira a una sua esegesi, lo

percepisco comunque in perfetta sintonia con chi, genitore o tutore, ha diritto e dovere di riuscire a vedere con chiarezza a chi affida i/le propri/e figli/e affinché il percorso sia adeguatamente illuminato. Anch’io probabilmente talune volte mi sarò scordata di mettere nel mio kit i piccoli vasetti d’olio ma questo non mi ha mai fermata dal ricordare quanto sia necessario averli con sé.

Il dove portiamo le nostre creature sia per la scelta della squadra di basket sia per una visita specialistica, dipende dagli adulti. Sono loro a decidere se quello è il posto giusto, chiedendo le necessarie garanzie nell’essere coinvolti su tutti i piani: della salute globale, dell’accompagnamento individuale e della continuità ed alleanza con chi ha in carico i/le figli/e (oltre che in una comunicazione e rispetto dei ruoli con le agenzie educative coinvolte).

Leggere che alcune famiglie sono convinte che figli e figlie siano finite in un tritacarne che ha numerose fonti di alimentazione mi ha intristito. Mi chiedo a chi si siano affidati ed anche dove si sia perso il loro senso di autorevolezza di fronte a tanto dolore. Mi chiedo inoltre che ruolo possa giocare la paura e l’idea di avere un figlio o una figlia trans. E ancora rifletto – con riferimento all’accorata narrazione di questi genitori sul duplicarsi delle situazioni di incongruenza di genere negli istituti frequentati dalle figlie come contagio per emulazione - sapendo che non vi sono risposte precise, ma esiste un dato: nessuno sceglie o desidera diventare una persona trans (o almeno a me non è capitato di incontrarne), accade. È una condizione, non una patologia. Credo inoltre che se in taluni casi possano esistere situazioni di plagio o emulazione a breve giro cambierebbero rotta, e questo perché essere persone transgender nella nostra società non è né facile né desiderabile. Ed ancora in relazione alla carriera alias, questa si riferisce ad un profilo burocratico e temporaneo che l’istituto e tutto il collegio docente accoglie per mettere in atto processi di inclusione e di diritto (che a parte tutto non dovrebbero nemmeno essere messi in discussione!).

Che l’esperienza negativa di questi genitori abbia permesso ad altri di cercare per i loro figli percorsi più accurati mi ha fatto respirare. Ritengo che la saggezza di chi accompagna i minorenni, ma non solo, abbia da avere il talento della saggezza come misura per attuare ciò che è meglio per quella persona, per quel ragazzino, per quell’adolescente. Prudenza, saggezza, senza inutili e rischiose accelerazioni. Ma se il malessere diventa pervasivo e mette a repentaglio la vita della persona, allora è bene correre ai ripari con lanterne e piccoli vasetti d’olio. L’Onig (Osservatorio nazionale sull’identità di genere) di cui sono membro del direttivo e le linee guida dei Soc8 (Standards of care, settembre 2022) della Wpath che il nostro Osservatorio segue, parlano chiaro. Onig, con Paolo Valerio che ne è presidente, il direttivo e le persone affiliate, da sempre insistono su quanto i percorsi debbano essere adamantini, condotti da personale formato che avvia percorsi individualizzati, per dirla in parole semplici personali.

Non a caso nello Statuto Onig, tra gli scopi troviamo “[L’Associazione] Si ispira al principio che la dignità umana comprende il diritto di condurre una vita consona alla propria identità di genere e il diritto di autodeterminare le personali scelte di vita”. Ed è di questa unicità e autodeterminazione che dobbiamo parlare; l’universo trans è caleidoscopico, vario e pensare ad omologare processi e percorsi è quantomai privo di senso. Di recente mi è stato chiesto di intervenire ad un Congresso dove erano richiesti approfondimenti su possibili cause della disforia di genere e ben sapendo che non esiste una risposta certa ed esaustiva ho portato alcune riflessioni tratte dalla mia esperienza clinica.

Le concause potrebbero riscontrarsi nell’immersione nel metaverso, nel raro tempo che noi adulti offriamo per comunicare con i giovani, nella rivoluzione del linguaggio e delle relazioni sociali (anche dovuta al Covid 19), nel bisogno delle nuove generazioni di vincere la paura disobbedendo (Gross, 2019), nei cambiamenti nel modo di intendere, vivere e sperimentare il corpo ma, probabilmente, le ragioni sono molto più numerose e da definire. Insomma, le concause potrebbero essere infinite: settanta volte sette. Questo pluriverso ha da farci riflettere che al di là di un lavoro affinato e sincrono per depatologizzare la disforia di genere, ciascuno è unico e come tale va trattato.

Una donna di 50 anni arriva nel mio studio “ho deciso di intraprendere il percorso di affermazione di genere solo ora perché mi sono dedicata completamente ai miei due figli ed ora che sono grandi e autonomi è giunta l’ora di pensare a me”. Dovrò forse farle attraversare altri 8, 10, 12 mesi di ulteriori sofferenze ed indagini o solo appurare che ha il diritto di essere trattata e vista come donna così come si percepisce e vive da sempre? Io ho optato per la seconda via senza alcun indugio, ho sentito il dovere di non infierire ulteriormente, certo con l’attenzione ad approfondire il suo stato di salute psicofisica. Altrettanto circostanziato e scrupoloso deve essere l’accompagnamento di un dodicenne o preadolescente che, al contrario, ha diritto di essere capito e accompagnato, e con lui anche la famiglia che, come sempre, vive un profondo senso di incredulità, smarrimento, a volte disagio. Riporto la Raccomandazione (8.10) del capitolo dedicato ai/alle bambini/e prepuberi dei Standard Of Care 8: “Raccomandiamo al personale sanitario che offre consulenze, psicoterapia o entrambi a bambinз gender diverse e alle loro famiglie/caregiver di fornire a entrambi un intervento psicoeducativo adeguato all'età sull’identità di genere e sul suo sviluppo”. Inoltre, nel recente Comunicato Stampa del 31 gennaio 2024 dei presidenti ACP, AIT, AME, ONIG, SIAMS, SID, SIE, SIEDP, SIGIS, SIMA, SINPIA (sezione di psichiatria) SIPPS vengono smentite alcune informazioni errate dal punto di vista scientifico e recentemente diffuse riguardo la terapia con triptorelina (bloccante transitorio e reversibile della pubertà), ribadendone la sua importanza, dopo un’attenta valutazione multiprofessionale, nei casi in cui il rischio per la salute psicofisica dell’adolescente sia significativo. E citando ancora il comunicato “adolescenti transgender e gender diversi (Tgd) hanno una identità di genere non conforme al sesso assegnato alla nascita. Essere persone Tgd è un aspetto previsto dallo sviluppo umano e tutte le identità di genere possono essere considerate possibili variazioni dell’identità sessuale di una persona come è stato dichiarato univocamente dall’Organizzazione Mondiale della sanità (WHO)”. Non lavoro al Careggi ma io, come del resto molte persone dell’ONIG compreso il presidente, abbiamo difficoltà, conoscendo personalmente alcune illustri colleghe che si dedicano con competenza e professionalità, a pensare che la loro attività non sia stata accurata e volta al bene dei loro pazienti.

Il mio ultimo testo Non sono un trans ha lo scopo di sottolineare che come clinici, e non solo, abbiamo il dovere di avvicinarci il più possibile al benessere della persona senza ingerenze e con cauta professionalità. In scienza e coscienza. Nella realtà dei fatti, ed è bene saperlo, esistono in Italia pochi centri con personale specializzato per l’accesso, sostegno e accompagnamento alla comunità Tgd. Questo ci dovrebbe far riflettere sull’urgenza di formare personale onde evitare liste d’attesa infinite che svantaggiano e talora peggiorano lo stato di salute di chi, già nella sofferenza, peggiora il proprio stato psicofisico. L’aumento dei centri e dei servizi significherebbe anche avvalersi di personale che, oltre ad accompagnare la persona in un cammino di consapevolezza, sia in grado di farli uscire dal nascondimento di una vita, potendo così alleviare le conseguenze derivate dallo stigma da minority stress, tipico delle minoranze sottoposte a ostilità, pregiudizio, persecuzione, aggressioni. È altresì importante ricordare che percentualmente sia i casi di desister, cioè soggetti che desistono dal continuare il percorso affermativo, o di chi durante il percorso psicologico scopre di non essere una persona trans, sono molto bassi.

Già doversi definire come persona trans contiene al suo interno una certa forma di discriminazione. Nella mia vita non ho mai dovuto presentarmi dicendo “buongiorno, sono Roberta una persona cisgender”: la persona cisgender è la persona la cui identità di genere coincide con il sesso biologico assegnato alla nascita. Come sappiamo, le parole hanno un peso che si riflette in modo inesorabile in tutti gli ambiti di vita, vita interiore e vita sociale. Questo è il motivo per cui ho voluto titolare il mio libro in modo volutamente errato: proprio come nella percezione e nella vulgata comune è intenzionalmente contenuta un’approssimazione. Noi specialisti/e di questa realtà siamo consapevoli che la parola “trans” andrebbe sempre associata alla parola “persona”: questa omissione è una scelta voluta, intesa a sottolineare quanto ancora i percorsi di affermazione di genere, anche in chi ne sia coinvolto direttamente, siano terreno di preconcetti culturali che non tengono nel dovuto conto il rispetto, la dignità e la cura per la persona che dovrebbero accompagnare il percorso di vita di ciascun di noi.

Riporto per concludere lo scritto di una madre che afferisce all’Associazione che ho creato e di cui sono presidente. ''Sono Alessandra Zanetti. L'essenziale per un genitore è sentire di aver affidato il proprio figlio, a maggior ragione se minorenne, a professionist* competenti e, oserei dire, amorevoli che si prendono tutto il tempo necessario per arrivare ad una diagnosi di incongruenza di genere o meno. Accelerazioni sui tempi e soluzioni preconfezionate a parer mio non sono ammissibili: si tratta di un percorso delicato che potrebbe portare nel tempo a decisioni irreversibili e per questo si deve essere accolti e accompagnati con cura e attenzione. E questa è stata la nostra esperienza presso il Centro Con-Te-Stare di Padova, Centro Onig. Grazie al percorso psicologico, iniziato da nostro figlio quando era 17enne, abbiamo visto una radicale e progressiva attenuazione del suo disagio e del suo malessere, tanto che io spesso ne parlo come di una rinascita. Come genitore mi dispiace notare come per l'ennesima volta il dibattito su questa tematica, innescato dal caso Careggi, abbia portato a polarizzazioni estreme che rischiano solo di consolidare stereotipi e non giovano a nessuno. Mi amareggia sentire parlare ancora di mode e contagio social, di carriera alias, di bloccanti della pubertà e di altri temi legati alla condizione trans in maniera non sufficientemente documentata. Abbiamo ancora tanta strada da fare per portare vera informazione su queste tematiche.''

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