mercoledì 22 maggio 2024
Per genitori e figli l'abitare non significa solo appartamento, ma comprende anche città, ambiente, mondo. Gli interventi di don Bruno, Belletti, don Sabbadini, Boffi, Ciccarelli, don Pesce
La casa della famiglia è senza pareti

Evgeny Atamanenko

COMMENTA E CONDIVIDI

Come viviamo nelle nostre case, nelle nostre città e negli spazi naturali che, biblicamente, ci sono affidati? Che legami e che cura garantiamo? Che rispetto abbiamo dei luoghi? Che esempio e testimonianza possiamo garantire ai figli e alle figlie? Con queste domande si è aperto il convegno “La famiglia abita la casa, la città, il Creato”, uno degli eventi al centro della mostra WE HOME, organizzata dal Cisf per il suo 50esimo anniversario (fino al 31 maggio presso la Fondazione Ambrosianeum di Milano).

Famiglia, casa, città e creato sono strettamente intrecciate e richiamano con limpidezza la nostra identità, i nostri legami più stretti e profondi e, perché no, gli stili di vita che i nostri familiari ci hanno trasmesso”, ha detto, introducendo il tema, don Simone Bruno, direttore editoriale San Paolo. “Questo intreccio è profondamente spirituale, radicato nel nostro essere persone credenti e non. Ci mette in collegamento diretto con Dio”.

L’urgenza di mettere a tema il modo in cui abitiamo gli spazi emerge saldamente nella riflessione dei cattolici, a cominciare dallo stimolo dei testi di papa Francesco (da Amoris Laetitia alla Laudato si’ c’è un profondo mandato a riflettere sull’impronta relazionale e di accoglienza, oltre che di sostenibilità, che l’uomo lascia intorno a sé). “Dopo l’esperienza della pandemia abbiamo preso atto che gli spazi sono fondamentali per la qualità delle relazioni familiari”, ha spiegato il direttore Cisf, Francesco Belletti, “Pertanto l’abitare è diventato un verbo attivo, richiama a un’esperienza di vita familiare che può davvero rivoluzionare il modo in cui abitiamo i luoghi, passando dall’intimità degli spazi domestici alle città, verso il mondo futuro che vogliamo consegnare ai nostri figli”.

Pensarsi “attivi”, creatori e non semplicemente ospiti del Creato, è la riflessione arrivata da don Massimiliano Sabbadini, co-responsabile del Servizio per la Famiglia della diocesi di Milano. “La famiglia crea, fa nascere nuove creature, e questo stabilisce una certa responsabilità, quella di agire per e di proteggere ciò che abitiamo”, ha detto. “Abitare la città da “creatori” significa allora non restare passivi di fronte alla cosa pubblica, ma reagire da testimoni di speranza e chiedere strumenti, ad esempio per migliorare la vita di tutti, per essere liberi di avere i figli che si desiderano. La casa è sacra, è un sacrosanto diritto e noi, come cristiani, non possiamo sentirci tranquilli finché ogni famiglia non avrà un tetto sotto cui riposare”. Un tema sollevato fortemente anche da Pietro Boffi, membro della Consulta Cei di pastorale familiare, che ha ricordato come alcune città, a cominciare da Milano, stanno letteralmente “espellendo” le famiglie, con gli altissimi costi delle case, e la poca accoglienza tocca il suo apice sui temi dell’immigrazione. Eppure, ha proseguito Boffi, le famiglie sanno essere anche antidoto a una cultura di chiusura e narcisismo, con esperienze di condivisione ampia di luoghi e beni, e una tessitura di relazioni.

L’abitare è infatti relazione, ha ricordato Emma Ciccarelli, collaboratrice dell’Ufficio famiglia Cei. Una relazione “che ci interpella fin dall’inizio della vita: lasciamo un ambiente caldo e sicuro che abbiamo abitato per nove mesi, il corpo della madre, per cominciare ad abitare il mondo”. Come esseri umani abbiamo conosciuto fin dal primo battito l’esperienza di uno spazio tutto nostro e gesti di accoglienza e cura. “Sappiamo tutti quanto ha contato per ciascuno di noi l’essere stati accolti in una casa e in una famiglia: le ferite di chi non ha vissuto positivamente questa esperienza sono lì per ricordarcelo”, ha proseguito Emma Ciccarelli, ricordando quanto siano importanti, in famiglia, i gesti della cura quotidiana che serviranno poi ai figli, in termini di sicurezza e autonomia, a varcare la soglia di casa capaci di abitare altre realtà.

E proprio il saper abitare oltre i muri della propria casa è il grande mandato educativo che, ricorda don Francesco Pesce, direttore del Centro della Famiglia di Treviso, interpella i giovani e le famiglie. “Invece di essere l’ennesima “scatola” in cui la famiglia si trova a stare, la parrocchia è una realtà dove oggi sempre più vanno meditati e messi in pratica alcuni verbi fondamentali per la fede: dar da mangiare, dar da bere, visitare, vestire, curare. La Fratelli tutti ci mette in guardia dagli intimismi egoistici; pensiamo allora che la sfida della casa e la sfida della “casa comune”, il Creato, sono le stesse: imparare a vivere insieme nello stesso pezzo di terra, nello stesso condominio, nella stessa città”.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: