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Sempre più pesanti gli episodi di cronaca nera, sempre più numerosi i giovani insospettabili che si macchiano di delitti orrendi, come quello del femminicidio, sempre più ampio il vuoto emotivo che segna la nostra società, sempre più acceso il dibattito su come introdurre un’educazione alle emozioni nella scuola. Tante parole ma, al momento, pochi risultati concreti. Eppure, il problema resta e riguarda tutti, non soltanto i giovani, se si considera l’elevato livello di conflittualità presente in tutti gli ambiti sociali. Troppo spesso, anche tra vicini di casa è difficile stabilire buoni rapporti.
Come educare alle emozioni? L’arte, la letteratura, la musica ci forniscono tutto la gamma dei sentimenti umani e sono uno strumento potente che la scuola ha a portata di mano. Tuttavia, se ci si riferisce alle emozioni, che sono molto più immediate, avendo origine nel cervello limbico, un approccio esperienziale è molto utile perché diretto. È la proposta della collana Emozioni, all’interno della campagna Per crescere insieme, ideato dalla Fondazione Patrizio Paoletti per supportare lo sviluppo delle competenze emotive durante tutto l’arco della vita. Un progetto che riguarda ogni fascia di età. L’interesse di questo approccio risiede nella elaborazione di contenuti di esperienza emotiva, che hanno solide basi nelle neuroscienze. Si possono quindi fare dei percorsi di educazione alle emozioni, sia di sé stessi che degli altri, in modo semplice, incominciando ad avvicinarsi ad appositi kit, non a caso chiamati “EduKit”, liberamente accessibili nel sito della Fondazione e immediatamente disponibili.
La collana Emozioni, studiata per l’alfabetizzazione emotiva, si articola in quattro Webinar gratuiti, abbinati ad altrettanti EduKit, specifici per ogni fascia di età: infanzia, adolescenza, età adulta, vecchiaia.
I contenuti si basano sul modello della Pedagogia per il Terzo Millennio, ideata da Patrizio Paoletti e dalla sua équipe neuro-psicopedagogica, che integra le quattro componenti fondamentali dell'essere umano – fisica, emotiva, mentale e spirituale – in linea con le più recenti scoperte neuroscientifiche sulla struttura modulare del cervello. Il modello di riferimento è quello “triunico” proposto dal neurofisiologo Paul D. MacLean, per cui il cervello ha almeno tre macro-parti: una istintiva, una emotiva e una razionale. A queste tre si aggiunge la dimensione della volontarietà e dell’aspirazione, localizzate principalmente nei lobi frontali. In quest’ottica, ci sono diverse intelligenze che possono essere sviluppate. L’intelligenza emotiva rappresenta certamente un fattore centrale, che mette in relazione la dimensione istintiva e quella razionale.
L’intelligenza emotiva è la capacità di riconoscere, comprendere, utilizzare e regolare le emozioni in modo efficace. Essa è un pilastro fondamentale della salute globale, perché influisce significativamente sul nostro benessere. Divenire consapevoli delle proprie emozioni e imparare a modularle al meglio, nei vari contesti di vita, riduce lo stress, l’ansia e le somatizzazioni, aiutandoci in direzione della nostra soddisfazione personale e per il bene comune. Imparare a riconoscere le emozioni degli altri migliora l’empatia e la qualità delle relazioni, favorendo una comprensione profonda dell’altra persona e la formazione di rapporti più autentici e appaganti. In ambito lavorativo, sviluppare intelligenza emotiva permette di ottimizzare la comunicazione, la cooperazione e il lavoro in squadra, aiutando a valorizzare le risorse, gestire al meglio i conflitti e perseguire efficacemente obiettivi comuni. In famiglia, l’intelligenza emotiva favorisce il rispetto reciproco, un’espressione autentica e genuina del proprio mondo interiore, la comprensione e il supporto, l’intimità e la confidenza, migliorando la connessione affettiva e la gioia della condivisione.
Secondo questo approccio, il primo passo per sviluppare competenza emotiva è il processo detto di “nominalizzazione”, ovvero la capacità di classificare le emozioni proprie e altrui con le loro caratteristiche tipiche. La ricerca, infatti, ha mostrato come ogni emozione è associata a specifiche componenti cognitive, una certa attivazione fisiologica e precise micro-modificazioni che possiamo percepire sul nostro viso e leggere sul viso degli altri. La comunicazione non verbale è quella che meglio rappresenta le emozioni. Ora, la classificazione delle caratteristiche specifiche delle emozioni non è un processo finalizzato ad una conoscenza astratta. Fornire al nostro cervello dati di dettaglio sulle emozioni può supportarci nel diventare più sensibili ed intuitivi. La capacità di nominare le proprie emozioni e quelle altrui è più che un semplice esercizio linguistico: è uno strumento essenziale per una comprensione più profonda di sé e per la gestione efficace delle relazioni interpersonali. La nominalizzazione, in ambito emotivo, si riferisce al processo attraverso il quale un individuo identifica e dà un nome alle proprie emozioni e a quelle degli altri. Questo processo non solo aiuta a riconoscere l’emozione, ma facilita anche la riflessione su di essa e sulle sue cause. In altre parole, quando siamo in grado di mettere un’etichetta precisa su ciò che proviamo, possiamo meglio gestire la nostra reazione a quella emozione.
Il processo di nominalizzazione è un concetto fondamentale nel campo della psicologia e dell’educazione emotiva. Una volta che un’emozione è stata identificata, il processo di gestione diventa più accessibile. Ad esempio, riconoscere di sentirsi “frustrati” piuttosto che genericamente “arrabbiati” può offrire spunti su come affrontare la situazione specifica che ha generato tale frustrazione. Questo non è un dettaglio da poco: la frustrazione spesso deriva da aspettative non soddisfatte e può essere affrontata adeguando tali aspettative o modificando l’approccio alla situazione. Inoltre, la capacità di descrivere le proprie emozioni con precisione aiuta anche gli altri a comprendere meglio il nostro stato d’animo e le nostre reazioni, facilitando così una comunicazione più efficace ed empatica. Nella coppia, per esempio, un partner che può esprimere chiaramente le proprie emozioni è meglio attrezzato per gestire le situazioni stressanti, supportare l’altro e costruire un ambiente famigliare positivo.
Questo approccio neuro-scientifico alle emozioni prevede che l’intelligenza emotiva si snodi in cinque step: accorgersi, accogliere e dominarsi, empatizzare, comprendere, sintonizzarsi. Alla teoria, si affiancano esercizi pratici per poter fare proprio il metodo attraverso l’esperienza. Si tratta di “esercizi emotivi” da fare con gli altri per prendere consapevolezza del proprio patrimonio emozionale ed essere in grado di riconoscere quello altrui. Educare ed educarci alle emozioni ha il fine di rendere armoniche le relazioni con gli altri e contribuisce al bene comune, nel perseguimento dei propri valori, che è ciò che ci rende felici.
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