Ci stiamo facendo troppi problemi sull’avere figli?

Il crollo delle nascite viene spesso spiegato con una lunga lista di motivi concreti – precarietà, salari bassi, carenza di servizi, squilibri di genere, incertezze sul futuro – cui si aggiunge una narrazione sempre più ambigua della genitorialità. Ma ridurre la scelta di avere figli a una questione di calcolo razionale o di ricerca della felicità è forse l’equivoco di fondo
December 24, 2025
Due bimbi appena nati, in ospedale
Due bimbi appena nati, in ospedale
Sono molte le ragioni che spingono le persone a non volere figli. Ogni volta che ci si trova a commentare dati sul declino delle nascite o sulle intenzioni di fecondità, come è stato ancora in questi giorni dopo la pubblicazione di un’indagine Istat, è naturale confrontarsi con l’elenco dei tanti buoni motivi che spiegano il declino demografico. Ci sono le questioni economiche, quelle legate alla carenza di servizi, la penalizzazione delle donne circa le prospettive di carriera, il carico maggiore che grava sulle madri, il deficit di cura verso la maternità, i nuovi stili di vita, le incertezze circa il presente e il futuro, tra lavori instabili e sottopagati e mercati immobiliari. E poi c’è il grande tema della narrazione della genitorialità, cioè del racconto pubblico e privato attorno al fatto di avere figli oppure no che viene rappresentato alle nuove generazioni, e qui può rientrare anche il contributo negativo dei social network, se è corretto incolparli di favorire isolamento e ansie.
Sono tutte questioni estremamente serie, meritano di essere analizzate a fondo una per una, come già si fa, anche quelle dimenticate, ma di fronte all’ampiezza e alla complessità della questione la voglia è di razionalizzare e semplificare, tentare sintesi estreme. È chiaro in effetti che le “scuse” per non avere figli sono infinitamente molte di più di quelle che invitano ad averne, se il confronto è tra mille paure possibili e un semplice istante di perdita di controllo. Forse è proprio questo l’equivoco: pensare che la faccenda della genitorialità abbia a che fare con la ricerca e la programmazione della felicità. Non (per tutti) è così. Cioè in genere non si diventa genitori per essere felici, più spesso accade perché lo si è già, e lo si è in due e nello stesso preciso momento, condizione che favorisce il reciproco abbandonarsi. Dopo, il terreno sul quale procedere può cambiare significativamente, in una disputa non ben risolta tra felicità e senso della vita.
Ma torniamo al bisogno di semplificare. Perché è vero che la narrazione, o le narrazioni, sulla maternità/paternità contano, e chissà se più dei sostegni economici o dei servizi di cura e altro, anche se proprio le carenze di aiuti e denaro sono le prime richieste segnalate dai mancati e potenziali genitori. Il fatto è che se si insiste nel raccontare, ad esempio - essendo al centro del dibattito soprattutto le donne (si veda Laura Pigozzi, Non solo madri, Raffaello Cortina; o Alessandra Minello, Senza Figli, Laterza) - che la maternità è tutta rose e fiori, poi si corre il rischio di tradire le attese, ma se si vuole enfatizzare l’altra parte del racconto, la più oscura, il pericolo è di tradire e basta. Dovremmo chiederci, allora, nello scontro tra narrazioni: meglio trovarsi pentite di avere avuto figli, o di non averne avuti?
Per i maschi è, solo in apparenza, più semplice. Tra l’altro, l’indagine Istat mostra un dato che dice tanto del carico successivo: le donne che diventano madri hanno un po’ meno desiderio di prole rispetto a prima della maternità, i maschi, invece, quando nascono anche come padri, cambiano prospettiva e ne vorrebbero ancora di più di bambini. La questione dunque non è se diventare genitori sia faticoso, impegnativo, o persino limitante. Certo che lo è: essere madri o padri è comunque faticosissimo, pure se si rimuovessero tutti gli ostacoli. Ciò che andrebbe detto, semmai, liberati dal dilemma esistenziale frutto della mitizzazione di carriera e tempo libero, è che diventare genitori è un po’ come andare in coppia a scalare le montagne, o affrontare in bici una lunga salita, o sciare lungo un pendio di neve non battuta, o alzarsi la mattina presto per andare a correre al parco. Nessuno dice che non sia faticoso, o privo di rischi. In genere però ne vale la pena.

© RIPRODUZIONE RISERVATA