giovedì 29 febbraio 2024
Ecco perché il cellulare non deve essere ammesso in classe, neppure per gli adolescenti. In Francia, Inghilterra, Olanda e Finlandia è già così. La tecnologia non è mai neutrale
Cellulari a scuola

Cellulari a scuola - Ansa

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Smartphone a scuola, sì o no? La risposta giunta nei giorni scorsi attraverso le anticipazioni sulle linee guida del ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, che chiarivano come l’uso del cellulare in classe fosse sconsigliato nella scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado, va decisamente verso la proibizione. E s’inserisce in una tendenza che si riscontra ormai in più parti nel mondo.

Ultima in ordine di tempo è la notizia dell’approvazione con largo consenso del divieto d’accesso ai social media prima dei 16 anni di età registrata in Florida, dove il provvedimento è ora al vaglio del governatore repubblicano Ron De Santis, e dove peraltro è già attivo il divieto assoluto di smartphone nelle scuole di ogni ordine e grado. All’inizio dello scorso anno era stato lo Utah a vietare l’utilizzo dei social sotto i 18 anni senza l’esplicito consenso dei genitori, e proibizioni simili erano entrate in vigore in Arkansas, Louisiana, Ohio e Texas.

Anche in Europa qualcosa si è mosso nella stessa direzione. Ha cominciato la Francia, che già nel 2018 ha disposto il divieto dello smartphone nelle scuole elementari e medie, seguita poi da Inghilterra, Olanda e Finlandia. Nel nostro Paese al momento vige un divieto, che risale al 2007 con Giuseppe Fioroni ministro, ribadito da Valditara con una circolare del dicembre scorso e confermato con le anticipazioni di qualche giorno fa.

Intanto sono da registrare le sperimentazioni in varie scuole, anche secondarie di secondo grado, dove si proibisce o limita l’uso del cellulare. Il caso più celebre è quello del liceo Malpighi di Bologna, dove il divieto include anche i docenti, con effetti incoraggianti, a detta di insegnanti e studenti.

Resta però la domanda: ha senso procedere a colpi di proibizioni? Non sarebbe più utile – obiettano alcuni – puntare tutto sull’educazione all’uso? In fondo – aggiungono – si tratta di uno strumento che fa parte della vita di tutti, ormai imprescindibile per molteplici attività, e sarebbe forse più sensato introdurlo quanto prima nella vita dei ragazzi rafforzando gli interventi educativi, in modo da fornire un’adeguata formazione. Vietare dapprima completamente, e poi da un giorno all’altro, magari a 16 anni, spalancare le porte dei social media a chi non è assolutamente preparato a gestirli potrebbe essere addirittura controproducente. Argomento ragionevole. O no?

Per rispondere occorre guardare con realismo alle caratteristiche degli strumenti digitali, in particolare dello smartphone, e al modo in cui siamo fatti noi (ma soprattutto i bambini e gli adolescenti). La tecnologia non è infatti mai neutrale, ha un impatto rilevantissimo praticamente su tutti gli aspetti della nostra vita e noi non siamo invulnerabili alle sue sollecitazioni, facciamo fatica ad autoregolarci, ad esempio a usare lo smartphone solo per il tempo che vorremmo. Non basta una formazione intellettuale - la conoscenza degli strumenti e delle loro caratteristiche – che pure è necessaria.

Per non perdersi nel digitale occorre una maturità emotiva, ben più difficile da raggiungere e del tutto impossibile prima di una certa età. Siamo reduci da anni di vera sbornia di un atteggiamento che potremmo chiamare di “tecno-ottimismo”, secondo il quale la tecnologia è tendenzialmente buona e va utilizzata senza inutili esitazioni e paure: sarebbe sufficiente imparare a usarla bene, a qualsiasi età. Oggi il rischio è invece di scivolare in un atteggiamento opposto, altrettanto dannoso, che potremmo definire “tecno-pessimismo”, ovvero la convinzione che gli strumenti tecnologici siano prevalentemente pericolosi e che il loro utilizzo vada in ogni modo limitato, o – meglio ancora – del tutto evitato.

La spinta verso i divieti cui stiamo assistendo, se intesa correttamente, potrebbe invece promuovere un atteggiamento improntato a un sano realismo, basato sulle numerose ricerche ormai disponibili e dalle quali si traggono indicazioni convergenti su almeno tre punti essenziali.

Il primo è l’impatto disastroso sulla gestione dell’attenzione, come sintetizzato nel rapporto Global Education dell’Unesco, che nel luglio scorso metteva in guardia circa i problemi di distrazione in ambito scolastico. Il secondo riguarda le ripercussioni dell’uso dei social media sul piano emotivo e sulla salute mentale. Su questo uno studio autorevole dello statunitense Surgeon General (organismo statunitense per la tutela della salute nazionale) lo scorso anno invitava a un atteggiamento di cautela, in presenza di segnali preoccupanti di aumento di sintomi depressivi e ansiosi tra gli adolescenti. Non abbiamo sufficiente certezza – concludeva il rapporto – che l’uso dei social media sia totalmente sicuro per gli adolescenti. Il terzo punto è l’importanza di un approccio graduale all’uso degli schermi: sono ormai numerosi gli studi che dimostrano gli effetti negativi dell’utilizzo precoce di smartphone e affini sul rendimento scolastico, sul sonno e sulla vista, per citarne soltanto alcuni. Tanto è vero che già nel 2018 i pediatri italiani avevano stilato un insieme d’indicazioni in tal senso, sconsigliando totalmente l’uso di schermi prima dei due anni, per contenerlo sotto l’ora al giorno dai 2 ai 5 anni e salendo alle due ore solo tra i 5 e gli 8.

In uno scenario come quello descritto risulta più che giustificato il ricorso a divieti e limitazioni, che certamente da soli non risolvono il problema di favorire un utilizzo più positivo e consapevole del digitale, ma che sono indispensabili per aprire uno spazio di dialogo e di crescita personale. Per usare bene il digitale serve allenare il pensiero critico, l'empatia, la capacità di discernere il vero dal falso, ciò che è superficiale da ciò che invece coglie in profondità l'essenza delle cose. E questo, soprattutto nell'età della primaria e delle media, si fa molto meglio senza uno smartphone in mano.

Lasciamo allora fuori i cellulari dalle aule, ma parliamo di digitale in classe, formiamo docenti e genitori consapevoli di caratteristiche, opportunità ed effetti negativi, figure educative che siano in grado di dialogare in modo informato con i ragazzi su questi temi, che s’interessino di ciò che a loro piace di quel mondo. Recuperiamo quella sana gradualità che fa sì che gli strumenti digitali si possano utilizzare insieme, con adulti disponibili e attenti. Adulti che a loro volta sorveglino sul proprio utilizzo del digitale.

È un percorso promosso ad esempio dalla Rete dei Patti Digitali (www.pattidigitali.it), che favorisce la nascita di alleanze tra genitori per rispettare insieme alcune indispensabili regole sull’uso della tecnologia.

Non usare lo smartphone non significa essere tagliati fuori dal mondo digitale ma farne un uso condiviso, con strumenti come il pc, il tablet, o anche la console per videogiochi usata insieme a un genitore. Strada ben più difficile e sfidante che mettere semplicemente uno smartphone in mano ai figli.

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