mercoledì 24 gennaio 2024
Gli ispettori del ministero al Careggi di Firenze per capire come è utilizzato il farmaco che blocca la pubertà. Ma il problema è molto più complesso. Ecco perché
Disforia, farmaci e ispezioni. Vediamoci chiaro

.

COMMENTA E CONDIVIDI

Ispettori del ministero della Salute all’ospedale Careggi di Firenze per verificare l’utilizzo del farmaco che blocca la pubertà ai bambini. Raccontata così la vicenda appare quasi incomprensibile. Come mai esiste un farmaco che blocca la pubertà? E qual è il problema che tormenta questi piccoli? Si chiama incongruenza di genere – non disforia – ed è un problema subdolo e pesante. Subdolo perché conosciamo gli effetti non la causa. Pesante perché gli effetti variano da un disagio più o meno accentuato, legato alla difficoltà di sentirsi a proprio agio nel genere determinato biologicamente fino ad autentiche psicosi che, in alcuni casi, non rispondono neppure alle cure psicoterapeutiche. Può manifestarsi già nell’infanzia e, soprattutto all’inizio, scatena nei bambini sentimenti di colpa, paure, ansie, rabbia, delusione. Anche per i genitori la situazione è fonte di preoccupazione e disorientamento. Giusto incoraggiare un figlio che si sente bambina e gioca preferibilmente con bambole, trucchi, coroncine e brillantini? Oppure reprimere questa tendenza gender variant in nome di un criterio antropologicamente corretto? Ma esiste?

Gli esperti suggeriscono moderazione e cautela, ma nessuno ha la ricetta giusta per ogni situazione, perché le variabili sono davvero tante e sono quasi impossibile da categorizzare. E se vero che in almeno otto casi su dieci i problemi legati all’identità di genere rientrano durante l’adolescenza, esiste una piccola percentuale, comunque non trascurabile, in cui la tendenza si radica e chiede interventi più complessi. L’accompagnamento psicologico, a patto di trovare l’esperto giusto, è fondamentale, ma in alcuni casi non è sufficiente. E quando il disagio raggiunge situazioni ad alto rischio per i giovani che ne sono colpiti, con esperienze di autolesionismo e rischi suicidari, come si può intervenire?

Il caso Triptorelina

Da qui la possibilità di ricorrere ai farmaci che bloccando la pubertà consentirebbero agli esperti di valutare meglio la situazione e decidere se e come proseguire il percorso di transizione. La questione è complessa e delicatissima. Anche perché, a livello scientifico, le risposte sono poche e confuse. La triptorelina, il farmaco usato per bloccare la pubertà, causa effetti collaterali e, soprattutto, le sue conseguenze, sono reversibili? La scienza è divisa. Non esistono pareri conformi e le poche sperimentazioni avviate all’estero non consentono di risolvere i quesiti in modo sufficientemente chiaro.

Anche l’approccio dei centri ospedalieri che operano in Italia (Bari, Roma, Milano, Napoli, Pisa, Trieste, Torino, Bologna e Firenze) non è uniforme. Ma il ministero delle Salute ha deciso di fare chiarezza solo a Firenze. Proprio il Ciading (Centro interdisciplinare assistenza disturbo identità di genere) del Careggi di Firenze è infatti da ieri al centro di una verifica avviata dal ministero in merito ai percorsi relativi al trattamento dei bambini con disforia di genere e all'uso della triptorelina. Una missione – spiegano dal ministero - che "non ha alcun intento punitivo, bensì di conoscenza sul campo dei percorsi messi in atto". Fanno parte del gruppo, rappresentanti dell'Istituto superiore di sanità, del Comitato nazionale di bioetica (Cnb), della commissione Salute e della direzione del ministero.

La questione era stata sollevata lo scorso 20 dicembre dal capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, aveva presentato un'interrogazione per approfondire ciò che avviene all'ospedale Careggi rispetto al trattamento della disforia di genere nei bambini e l'uso del farmaco triptorelina che "verrebbe somministrato a bambini di 11 anni senza alcuna assistenza psicoterapeutica e psichiatrica".

Già prima dell’interrogazione, il ministero aveva chiesto al Comitato nazionale di bioetica - che 5 anni fa aveva dato parere favorevole all'uso della triptorelina - una rivalutazione sull'approccio all'utilizzo del farmaco. È stata inoltre richiesta all'Aifa una nuova valutazione sempre in relazione a questo farmaco e, contestualmente, il ministero ha richiesto alle Regioni di fornire il numero dei casi in trattamento. Il parere del Cnb è atteso per febbraio.

La Regione Toscana

Immediate le reazioni della Regione Toscana. L’assessore regionale al diritto alla salute, Simone Bezzini, ha spiegato che "il Centro dell'Azienda ospedaliera di Careggi è riconosciuto a livello nazionale ed europeo come un'eccellenza. Le attività e i percorsi clinico assistenziali sono svolti in applicazione della normativa vigente, delle raccomandazioni scientifiche nazionali e internazionali nonché, per il trattamento farmacologico, della determina Aifa. Crediamo nel confronto e nella trasparenza e per questo la direzione aziendale e i nostri professionisti stanno collaborando con gli ispettori del Ministero che stanno conducendo l'audit". E ha poi aggiunto: "Ci auguriamo che questa vicenda non venga strumentalizzata dal punto di vista politico. C'è bisogno di rispetto e attenzione per chi si trova ad affrontare questi percorsi, stiamo parlando di famiglie e giovani ragazze e ragazzi alle quali questo Centro ha dato la possibilità di avere una migliore qualità della vita. La loro tutela e quella delle loro famiglie è la nostra principale preoccupazione".

Cosa dice il protocollo Aifa?

L’inserimento della triptorelina nell'elenco dei medicinali erogabili a totale carico del Servizio sanitario nazionale, ai sensi della legge 23 dicembre 1996, n. 648, è stato deciso per l'impiego in casi selezionati in cui “la pubertà sia incongruente con l'identità di genere (disforia di genere), con diagnosi confermata da una equipe multidisciplinare e specialistica e in cui l'assistenza psicologica, psicoterapeutica e psichiatrica non sia risolutiva”.

Nel protocollo vengono indicati una serie di criteri per consentire l’uso della triptorelina: una diagnosi di disforia di genere secondo DSM 5 (il manuale statistico diagnostico dei disturbi mentali realizzato dagli psichiatri Usa) confermata da un'equipe multidisciplinare e specialistica, composta da specialista in neuropsichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza, endocrinologia pediatrica, psicologia dell'età evolutiva e bioetica; mancata efficacia dell'assistenza psicologica, psicoterapeutica e psichiatrica; consenso informato fornito dall'adolescente e dai genitori o da altri tutori.

Un farmaco “residuale”

Al di là del protocollo, va detto che si tratta di un farmaco davvero residuale. Al Centro per la cura dell’identità di genere dell’ospedale di Niguarda, a Milano, in trent’anni di attività, è stato usato solo quattro volte con il via libera del comitato di bioetica. E il ricorso appare plausibile, anche eticamente – secondo alcuni pareri - quando la situazione è sufficientemente chiara già all’inizio della pubertà, per impedire lo sviluppo dei caratteri secondari che dovranno poi, eventualmente, essere rimossi chirurgicamente. Si tratta di una modalità per allungare le tempistiche valutative in quelle circostanze in cui – come detto – il percorso appare tracciato in modo ragionevolmente sicuro. Quindi, quasi mai. Perché nessuna equipe multidisciplinare è in grado di indovinare – almeno nel 99,9 per cento dei casi - come sarà l’evoluzione di un disturbo legato all’identità di genere in un ragazzino o in una ragazzina di 10-12 anni. D’altra parte, è giusto precludersi questa possibilità in quei casi rarissimi - appunto lo zero zero virgola – in cui, dopo aver tentato inutilmente tutti gli altri approcci, non si vedono altre strade di uscita? Anche in questo caso il dibattito è aperto.

Le cause dell’incongruenza di genere

Tante incertezze derivano dal fatto che la scienza non ha ancora stabilito cosa ci sia all’origine dell’incongruenza di genere. A determinare l’identità sessuata di una persona sono una molteplicità di fattori (genetici, ormonali, psicologici, sociali, ambientali, culturali) che interagiscono tra loro. Secondo gli studi più recenti, l’incongruenza di genere ci sarebbero un insieme di fattori bio-psichici e socio-ambientali. C’è un dibattito aperto tra sostenitori di una eziologia su base biologica ed altri che sostengono invece la base socio-psicologica-ambientale. Probabilmente siamo di fronte a un’interazione di cause. Ma una cosa è certa. La volontà di autodeterminazione non c’entra nulla. Nessuno decide di vivere con l’incongruenza di genere perché si tratta di un disturbo trendy.

Una situazione esplosiva

Fingere che il problema sia marginale e riguardi poche centinaia di persone in tutta Italia – uno su diecimila secondo statistiche vecchie però di almeno un ventennio – non ci aiuterà però ad affrontarlo nella maniera più corretta. Un dato credibile per comprendere quanto vasto e articolato sia il fronte di coloro che vivono con sofferenza il problema dell’identità di genere possiamo ricavarlo dal numero di istituti scolastici che hanno avviato le procedure per la carriera alias (su cui dovremmo aprire un capitolo a parte). Sono 189 istituti superiori e 51 università. Non solo. Secondo il portale infotrans del ministero della Salute, ci sono 84 associazioni che si occupano di transessualità a cui, evidentemente fano capo migliaia di persone. Tutte disorientate dalla propaganda gender? Difficile crederlo per chi non è accecato dall’ideologia. In realtà siamo di fronte a un mondo sommerso che non è popolato da persone deviate, eticamente riprovevoli e da tenere a distanza. A soffrire per colpa di un’identità gender variant sono soprattutto giovanissimi e giovanissime. La maggior parte di loro non diventerà mai transessuale e non si sottoporrà a trattamenti ormonali. Ma la confusione e l’incertezza che fanno soffrire questi ragazzi non può essere minimizzata. Vanno ascoltati e compresi, anche se si pongono al di fuori degli schemi tradizionali e se ci costringono e rivedere le nostre certezze.

Quando parliamo di educazione alla sessualità e all’affettività non dimentichiamo che sempre più spesso ci troviamo di fronte a situazione complesse che non possono essere affrontate con percorsi generici e con un vago richiamo ai valori buoni. Cosa facciamo oggi per queste ragazze e per questi ragazzi? Quasi nulla a livello sociale e meno ancora, purtroppo, a livello pastorale. Intanto la politica indaga. Troppi casi trattati con la tripotorelina? Ma chi potrà stabilirlo se la scienza stessa è divisa su come e con quali strumenti intervenire? Intanto dei nostri ragazzi alle prese con uno dei problemi più angoscianti che possa toccare a un adolescente, quello di essere costretto/a a vivere con sofferenza, disagio e paura la propria realtà maschile o femminile, non si occupa quasi nessuno.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: