sabato 6 aprile 2024
Gasparri anticipa le conclusioni degli ispettori inviati a Firenze dal ministro Schillaci. Dura replica della Regione Toscana. Ma un problema così delicato può diventare terreno di scontro politico?
L'Ospedale Careggi di Firenze

L'Ospedale Careggi di Firenze - ANSA

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Mentre Regno Unito, Svezia e Germania sospendono le terapie ordinarie con i bloccanti della pubertà alla luce di analisi che ne avrebbero rivelato la pericolosità per gli adolescenti a cui vengono somministrate, la disforia di genere diventa in Italia un caso politico. Sabato pomeriggio è stata resa nota una comunicazione secondo cui la commissione ispettiva del ministero della Salute ha riscontrato "elementi di criticità molto significativi nell'ambito del percorso di presa in carico e gestione "dei pazienti in età evolutiva con disforia o incongruenza di genere all'ospedale di Careggi a Firenze "anche per quanto concerne l'utilizzo della terapia farmacologica con triptorelina".

Lo scrive il ministro Schillaci rispondendo all'interrogazione del senatore Maurizio Gasparri. È stato proprio lui a diffondere il testo nell’ambito di una manifestazione di Forza Italia a Firenze. Secondo Gasparri, che ha fornito ai cronisti il testo della risposta di Schillaci alla sua interrogazione, le criticità attengono "al non corretto recepimento della determina Aifa n. 21756/2019, con particolare riguardo all'obbligo di esigere necessariamente il supporto psichiatrico per l'avviamento al trattamento con triptorelina", alla mancata trasmissione dei dati all'Aifa, e "ad ulteriori criticità, anche di carattere organizzativo, in ordine al ruolo del neuropsichiatra infantile nell'ambito del percorso di presa in carico e gestione del paziente".

In ragione di ciò, scrive Schillaci nella risposta a Gasparri, "è stato rivolto, con la relazione predisposta dalla Direzione generale della programmazione sanitaria, un invito alla Regione Toscana a porre in essere, entro un termine definito, una serie di azioni correttive puntualmente individuate e, conseguentemente, riferire gli esiti al mio Dicastero”.

L’anticipazione di Gasparri ha scatenato la reazione della Regione Toscana che ha fatto sapere di non aver ancora ricevuto alcuna comunicazione dal ministero: "È inquietante che su una materia così delicata - sostengono il presidente della Regione, Eugenio Giani, e l’assessore alla sanità, Simone Bezzini - vengano anticipati pubblicamente alcuni contenuti, con modalità da campagna elettorale, relativamente a una relazione ispettiva che non è stata ancora consegnata alla Regione Toscana. Si tratta di un grave vulnus istituzionale”.

A questo rilievo risponde a sua volta il direttore generale della programmazione sanitaria del ministero della Salute, Americo Cicchetti: “La relazione sull’esito dell’ispezione all’ospedale Careggi di Firenze e le relative azioni di miglioramento chieste dal Ministero della Salute sono state trasmesse alla Regione Toscana mercoledì scorso e di questo gli uffici regionali erano stati regolarmente avvisati. Data la delicatezza della questione, si è proceduto con invio tramite raccomandata e protocollo riservato. Non c’è stata alcuna violazione della prassi istituzionale poiché la risposta all’interrogazione dell’On. Gasparri non contiene l’analisi di tutte le criticità e le azioni di miglioramento richieste che, come detto, sono state inviate secondo le regole e le norme che sottendono alla privacy e alle comunicazioni tra istituzioni”.

Al di là dello scontro politico, rimane – se confermata – la gravità del fatto che andrà comunque circostanziato e approfondito. È noto che la Commissione ministeriale, in un audit il 23 e 24 gennaio scorso presso il personale clinico e la direzione, ha ricevuto i documenti sugli 85 casi trattati a Careggi negli ultimi anni e, secondo quando emerge oggi, avrebbe appurato che ai minori alle prese con la disforia di genere sarebbe stata somministrata la triptorelina – farmaco che tra gli altri effetti ha quello di sospendere lo sviluppo puberale – senza gli opportuni consulti multidisciplinari, in particolare senza l’accertamento neuropsichiatrico.

Se così fosse sarebbe gravissimo. L’indagine psicologica e psichiatrica è infatti l’unico approfondimento che permette di mettere a fuoco con sufficiente certezza la presenza di una condizione di incongruenza di genere nell’ambito di un quadro identitario incerto. Ma si tratta di un percorso complesso e delicato, che può durare anche più di un anno e che non ha mai un esito definito una volta per tutte. Soprattutto perché, sulla base di statistiche ormai abbastanza assodate, l’80-90 per cento dei casi di incongruenza di genere si risolverebbero con un’accurata terapia psicologica alla fine dell’adolescenza. Non significa che disagio può essere trascurato, ma che i ragazzi e le ragazze (che rappresentano la maggioranza) che hanno necessità di terapie più mirate sono un numero abbastanza esiguo.

Proprio nei giorni scorsi l'Accademia europea di pediatria ha pubblicato un documento denominato “European Academy of Paediatrics statement on the clinical management of children and adolescents with gender dysphoria”, che interviene sul dibattito relativo alla gestione della disforia di genere nei minori i 18 anni. Partendo dalla considerazione che nei diversi Paesi esiste una varietà di approcci a questa complessa condizione e che tale frammentazione produce un dibattito fortemente polarizzato, i rappresentanti dell’Accademia (EAP) hanno cercato di favorire una composizione alla frattura attualmente in atto tra fautori e critici dell’approccio affermativo, per cui nel proprio elaborato, concedono delle aperture di credito ad entrambe le posizioni. Tanti i punti affrontati, tra cui la necessità di tenere conto delle "revisioni" del Nord Europa; il diritto dei bambini a non essere condizionati da trattamenti invasivi; la necessità di acquisire la consapevolezza sulla transitorietà della disforia di genere; la necessità di controllare gli effetti dei bloccanti della pubertà e altro ancora.

Anche in Italia è un corso un dibattito serrato. Proprio nei giorni scorsi è stata avviata alla Commissione Affari sociali della Camera la discussione sulla definizione delle linee guida per il trattamento della disforia. Tanti gli specialisti intervenuti. Paolo Valerio, professore di psicologia clinica presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II e presidente dell'Osservatorio nazionale sull'identità di genere (Onig) ha spiegato che la disforia di genere non è una psicopatologia, come afferma l'Organizzazione mondiale della Sanità (Oms). “La ricerca scientifica avanzata va riconosciuta, perché altrimenti – ha detto - condanniamo le persone a sofferenze inutili, in un Paese che, dopo la Turchia, fa registrare il maggior numero di violenze contro donne e trans". Lo specialista ha anche osservato che "ci sono ancora poche informazioni a disposizione, su un tema così delicato e complesso che coinvolge un'ampia fascia della popolazione". Importante quindi "non patologizzare le persone con disforia. Sempre più giovani si identificano in una identità di genere non binaria, o gender queer. Bene che questa commissione si interessi del tema, discutendo nuove linee guida o riconoscendo quelle già esistenti.

Anche i pediatri di base in un recente documento, invitano a depatologizzare il fenomeno", pertanto l'auspicio è di "attivare l'attenzione del Parlamento verso i bisogni della popolazione, a partire da famiglie e giovani", non solo in termini di lotta ai pregiudizi ma anche "abbattendo le liste d'attesa per i servizi sanitari specifici" e "contrastando le violenze di genere: con le donne, le persone transgender – ha concluso Valerio - sono purtroppo maggiormente esposte a violenze, per il fatto di esporre pubblicamente il proprio orientamento".

Secondo Antonio Prunas, professore di psicologia clinica presso l'Università Bicocca di Milano il tema più importante "è quello di garantire anche a livello nazionale una attenzione più capillare alle esigenze sanitarie delle persone trans", poiché l'assistenza nel nostro Paese "è a macchia di leopardo per quanto riguarda gli adulti", senza parlare "del tema minori che ha ancora meno servizi disponibili sul territorio". Necessario, dunque, secondo lo specialista "definire quali centri a livello territoriale debbano occuparsi dell'assistenza alle persone trans, quali professionalità e con quali modalità" e "in questo percorso di definizione di linee guida "è essenziale che anche le associazioni trans siano coinvolte, in particolare le associazioni più storiche sul nostro territorio perché si stratta di stabilire delle linee guida rispetto a percorsi di affermazione che li vedono coinvolti direttamente. - spiega Prunas - In secondo luogo perché hanno accumulato nel corso del tempo tantissime competenze e che possono essere infinitamente preziose e infine in terzo luogo spesso le reti dell'associazionismo hanno contribuito a colmare le lacune del sistema sanitario offrendo di fatto alle persone trans assistenza laddove non ci sono centri disponibili".

Sul tema minori Prunas ha precisato "che nel testo della risoluzione manca un riferimento fondamentale che è quello della determina Aifa del 2019: per quanto riguarda i minori i criteri specifici di accesso all'utilizzo dei bloccanti sono stabiliti in maniera molto chiara. Si tratta di una delibera del 2019 e di fatto ha dei criteri più restrittivi rispetto agli standard attuali ma sono assolutamente precisi". Anche per Rosario Pivonello, primario di endocrinologia presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II e presidente della Società italiana di andrologia e medicina della sessualità '"le associazioni di categoria sarebbero fondamentali in questo tavolo tecnico perché sarebbero la voce della popolazione in questione ed è fondamentale soprattutto per questa categoria".

Questione insomma complessa, delicata e importante che non può certamente essere affrontata sulla base di opposti pregiudizi ideologici e neppure può diventare oggetto di scontro tra fazioni politiche. A proposito del documento dei Pediatri europei, le famiglie dell’associazione GenerAzioneD hanno osservato: “Mentre il mondo scientifico discute, le esperienze delle famiglie sono come sempre tagliate fuori dal dibattito rendendo il deficit di informazione e di consenso uno dei problemi principali di questa triste vicenda". Difficile non essere d’accordo.

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