domenica 26 maggio 2024
I valori familiari essenziali (affettività, generatività, fedeltà, tradizione) per costruire un’attività produttiva artefice di benessere per sé e per il territorio in cui opera. Parla Alberto Alessi
Alcuni oggetti prodotti da Alessi diventati altrettante icone dell'azienda cusiana

Alcuni oggetti prodotti da Alessi diventati altrettante icone dell'azienda cusiana - Mattia Balsamini

COMMENTA E CONDIVIDI

«Se la Alessi non fosse stata un’azienda familiare io non avrei avuto la possibilità di rischiare con tanti prodotti innovativi che, alla luce del conosciuto di allora, erano delle incognite, ma che sono stati la chiave del nostro successo». I prodotti innovati a cui fa riferimento Alberto Alessi, presidente dell’azienda che porta il nome della famiglia, sono oggetti di design: caffettiere, bollitori, posate, cavatappi dai nomi originali – “Pulcina”, “La cupola”, “La conica”, “Plissé” – che sanno accoppiare l’originalità e la bellezza del tratto con la perfezione del funzionamento. Sono il prodotto di una lunga storia di manualità, artigianato diventata allo stesso tempo industria e fucina di cultura. Ma qui, sulla sponda settentrionale del lago d’Orta, l’angolo più incantevole di uno specchio d’acqua incastonato nelle prealpi cusiane, sono anche il frutto di una robusta trama familiare che ha superato il secolo di vita. E merita quindi attenzione e rispetto.

Partiamo dalle origini dell’azienda, con l’avvio della nuova officina da parte di suo nonno Giovanni nel 1921. Dove aveva imparato a lavorare il metallo?

Il nonno aveva imparato il mestiere di tornitore in lastra un po’ qui a Omegna e un po’ in Argentina, dove era emigrato agli inizi del secolo scorso. Ricordo che la tecnica della tornitura è tipica della storia dell’industria omegnese: tutto è nato con il tornio, strumento affascinante sul quale anche io ho voluto imparare.

La vostra famiglia era originaria di Omegna?

Si, per la precisione gli Alessi sono originari del paese di Luzzogno nella valle Strona, una valle stretta stretta e impervia che sale da Omegna. Il primo documento che parla della famiglia data ai primi del Seicento, un atto di matrimonio tra Johannes Alessi e Catarina Gozano.

E oggi cosa rappresenta per voi Omegna e il lago d’Orta?

Beh, per me è il luogo per eccellenza. Il posto dove sono nato e dove mi sento a mio agio. Non credo potrei vivere senza il lago d’Orta. Dice un poeta del lago, Augusto Mazzetti: “… il mio lago. Più vivo e più in precipitoso ritorno a lui mi accosto, nei complici silenzi del mio lago.”

Non avete mai avuto la tentazione di spo-stare la produzione in altre zone del Paese, magari meglio servite dal punto di vista dei trasporti?

No, mai.

Che azienda era quella degli anni Trenta quando suo padre Carlo affianca nonno Giovanni e inventa tanti modelli destinati a rimanere a lungo nel vostro catalogo?

Negli anni Trenta la Alessi era una officina specializzata nella lavorazione del metallo tornito in lastra. Il cambiamento saliente è avvenuto a cavallo della guerra, al termine della quale c’è stato il passaggio dal tornio (orizzontale) alla pressa (verticale) e a poco a poco ci siamo trasformati in una industria vera. Papà aveva studiato a Novara per diventare disegnatore industriale e quando ha cominciato a lavorare qui ha anche disegnato, approssimativamente tra il 1935 e il 1945, molti oggetti tra i quali la serie da tè e caffè Bombé che è ancora oggi in catalogo.

Lei entra in azienda negli anni Settanta. È stata una decisione autonoma, dettata dalle tradizioni familiari, oppure avrebbe desiderato fare altro?

Come primo della mia generazione sapevo che il mio destino era di entrare in fabbrica. Non mi sono neppure chiesto se era la strada che desideravo. Per la verità, a distanza di tanto tempo, forse ero più portato al pensiero che non all’azione: mi piacevano la storia dell’arte e la filosofia, se fossi stato libero forse avrei optato per una soluzione di compromesso come l’architettura, purtroppo mio padre non era d’accordo … ma tant’è!


Alberto Alessi

Alberto Alessi - Mads Mogensen

Azienda a parte, nelle relazioni private che padre è stato per lei Carlo? Autoritario? Aperto? Pronto ad incoraggiare?

Molto autoritario, non aperto, mai direttamente incoraggiante. Ma un padre che mi voleva bene e a suo modo voleva formarmi per il futuro.

Ora siamo alla quarta generazione Alessi. Ripensando alla vostra storia che ormai supera il secolo di vita, quali valori familiari (affettività, generatività, fedeltà, solidarietà, sacrificio, impegno, tradizione) ritiene che siano stati determinanti anche per il successo dell’azienda?

Non so bene. Ci sono certo degli aspetti positivi. Per esempio: se la Alessi non fosse stata un’azienda familiare io non avrei avuto la possibilità di rischiare con tanti prodotti innovativi che alla luce del conosciuto di allora erano delle incognite ma che sono stati la chiave del nostro successo. Penso sia una cosa buona, ma alla condizione che, come dire, il sentimento dinastico non sia troppo forte. Non si entra in azienda per diritto divino.

Nella storia di Alessi ci sono tanti nomi maschili ma non compaiono mai le donne. Vogliamo ricordare che parte hanno avuto in quest’opera di coesione tra impegno familiare e impegno aziendale?

Le donne della famiglia hanno avuto un ruolo fondamentale nella coesione familiare, trasmettendo quei valori chiave che ci hanno portato ad essere quello che siamo oggi.

Il fatto di essere azienda familiare quanto ha contribuito a radicare la vostra presenza nel tessuto sociale della zona? Evidentemente parecchio. Con un penchant di mio padre per il finanziamento delle ristrutturazioni di campanili, piccole chiese e conventi!

Alcune grandi aziende familiari diventano spesso “famiglia di famiglie” perché con tutta una serie di opportunità e di proposte creano un legame speciale con le famiglie dei dipendenti? È così anche per Alessi?

Forse anche per una certa penuria di occasioni di impiego nella zona, è un dato di fatto che molti dei nostri collaboratori sono figli di ex collaboratori, e a volte anche nipoti. Ricordo mio zio Ettore che sorrideva raccontandomi di quel vecchio operaio addetto alla “sbollatura” al martello dei vassoi difettosi, che chiamavano il Picuzzìn, nome ereditato dal padre che si chiamava Picoeuz

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI