domenica 4 febbraio 2024
Guido Marangoni, ingegnere informatico, racconta in teatro la sua esistenza familiare in cui le fragilità non sono un ostacolo alla pienezza delle relazioni e alla condivisone solidale
Guido Marangoni

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Di nome fa Guido. Cognome: Marangoni. Professione: ingegnere informatico. Padovano, sposato con Daniela e papà di Marta, Francesca e Anna. Una carta d’identità normalissima. Almeno all'apparenza. Se non fosse proprio per la sua ultima figlia, Anna. Nata con sindrome di Down.

Da quel giorno la vita cambia. Non potrebbe essere altrimenti. Guido la definisce una storia “di incontro”. E “di esperienza”. Perché non esiste vita “che vada spesa partendo dalle proprie fragilità”. Senza però confonderle con la persona della quale fanno parte.

La sua storia sarà protagonista a Novara in questo fine settimana. Con “Siamo fatti di-versi perché siamo poesia”. Due gli appuntamenti per uno spettacolo teatrale davvero unico. Il primo è andato in scena ieri sera, sabato 3 febbraio, presso l’Abbazia di San Nazzaro della Costa di Novara e il secondo arriva oggi, domenica, alle 17 presso la Basilica di San Giuliano in Gozzano. A proporre sono l’ufficio diocesano per la Famiglia e la Commissione famiglia dell’Unità pastorale di Gozzano con il patrocinio del centro diocesano per la Famiglia We Care – Comoli, in occasione della 46° Giornata per la Vita, che viene celebrata proprio oggi.

Marangoni racconta ai presenti uno spaccato di vita sotto lo sguardo di Anna, trattando il tema della disabilità, delle fragilità e dell’inclusione. Simpatico, divertente, riflessivo e ricco di messaggi positivi, lo spettacolo si pone come obiettivo quello di creare ponti, incontri e relazioni oltre il muro di ciò che ci rende tutti diversi. E appena lo incontri te ne accorgi subito. Anche se al telefono. Nonostante lo si colga in un momento “sfuggente”, nel vero senso del termine, mentre sta per salire su un treno. “Aspetti, sono un esperto a perdere treni”, esordisce ironicamente. E poi subito precisa: “Ecco, ora sono seduto al posto giusto. Sa, in fondo, anche un errore può portare ad una storia nuova”. Ad esempio? “Beh, come è accaduto a me”.

E inizia a raccontare. Non tanto di lui, della sua famiglia, di Anna. Ma di incontri, relazioni, condivisioni. Perché “non puoi non credere ad un incontro”. Puoi essere “il più ateo, ma ad un incontro non puoi non credere, perché è sempre con una persona”. Non è solo una questione di fede, che naturalmente fa la differenza. Ma di vita. Che poi, con un Incontro con la i maiuscola, è davvero potente. “Vede – spiega – io sono partito da un grande fraintendimento. Avevo confuso la sindrome di Down con Anna stessa. Invece non è così. Anna è Anna. Che, come ognuno di noi, ha le sue fragilità. Anche io ne ho, sa. Anche lei”. Certo. Tutti. Però la sua chiave di lettura è prorompente. “Dice? Per me è semplicemente la mia vita. Partendo dal quotidiano. Che ci racconta come spesso, per “difenderci”, buttiamo le nostre mancanze, le nostre fragilità, i nostri guai… addosso agli altri, anziché scoprirli dentro di noi, farli propri e “lavorarci” sopra. Noi dobbiamo puntare sempre alla ricerca della nostra felicità. E, a costo di diventare banale, vorrei sottolineare san Paolo, quando scrive “quando sono debole è allora che sono forte”. La disabilità è in ognuno di noi, è nascosta e spesso ci alleniamo a nasconderla ancora di più, ma l'unico modo di trasformarla è condividerla”.

Come? “Intanto guardando in faccia alla realtà. Senza dare nulla per scontato. Con assoluta verità. A chi mi dice “la disabilità è un dono”, ad esempio, rispondo che non sono d’accordo. Anna per noi è un dono. Poi ci sono le sue caratteristiche. Per lei come per ognuno noi. Questo significa gioia, ma spesso anche fatica, dolore. Talvolta è durissima, ma io so su chi devo concentrarmi: una persona. Che ha un nome. Non la sua “difficoltà”. Che è una parte di lei”.

Certo, difficile da raccontare, anche in uno spettacolo teatrale. “Difficile, ma non impossibile. Almeno spero per i presenti in sala (ride, ndr). Con il sorriso e un pizzico di leggerezza, della quale oggi abbiamo tanto bisogno”.

Posso permettermi di chiederle cosa ha pensato all’annuncio della disabilità di Anna? “Sono emozioni difficili da raccontare. Però su un passaggio mi voglio soffermare. L’annuncio della disabilità oscura il resto. E questo non è giusto. La cosa più importante è sempre la persona. Per questo dobbiamo fare il contrario: partire dalla persona e per farlo l'unica modalità è l'incontro”. Un consiglio? “Raccontarsi, condividere, fidarsi. Sedersi attorno ad un tavolo, mangiare insieme. Ogni giorno ricevo richieste. “Come fate?” ci chiedono. E io sempre dico così: “Venite. Ci incontriamo. Ne parliamo. E condividiamo”.

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