domenica 18 febbraio 2024
Fa discutere la sentenza della Corte Costituzionale che apre alla possibilità di non recidere i rapporti tra adottato e parenti biologici. Esperti divisi, tante le questioni aperte
Adozione, il peso dei legami affettivi

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Il dibattito sull’adozione aperta, che prevede la possibilità di mantenere i contatti con la famiglia di origine in base alla sentenza della Corte Costituzionale del luglio 2023, è appena cominciato e già si delineano luci e ombre. Benefìci e criticità. Se ne è discusso all’Università Cattolica nel corso del seminario “Quali aperture per l’adozione nazionale?” promosso dal master “Affido, adozione e nuove sfide dell’accoglienza familiare” in vista della VII edizione che partirà in marzo.

Elisabetta Lamarque, professoressa ordinaria di Diritto costituzionale dell’Università della Bicocca ha messo in evidenza il trittico di pronunce con cui la Corte Costituzionale nel 2022, nel 2023 e a inizio 2024, occupandosi di situazioni diversissime, ha rivalutato e valorizzato il “principio personalista”, uno dei principi fondamentali della nostra Carta che era stato fortemente voluto dai padri costituenti con un gruppo di giovani democristiani facenti capo a Dossetti, Moro e La Pira che trovarono un terreno di intesa con la sinistra di Togliatti. «L’idea è che la sfera dei pubblici poteri sia integralmente al servizio della persona umana definita, non tanto come individuo singolo, ma piuttosto in relazione con gli altri – ha sottolineato la docente -. Fatto delle sue relazioni personali». Quindi nel 2022 è stata pronunciata la sentenza sulla parentela naturale dell’adottato da parte del convivente o partner dello stesso sesso del genitore biologico e nel 2023 la sentenza sull’adozione aperta che valorizza moltissimo le relazioni personali dell’adottato.

«La Corte Costituzionale ha stabilito che quando le relazioni affettive con alcuni dei membri della famiglia biologica sono significative si devono recidere solo i rapporti giuridici con la famiglia di origine – ha ricordato Lamarque -. E quelle relazioni significative del minore adottato devono essere mantenute dai servizi sociali su indicazione del giudice che dispone l’adozione». Poi c’è stata la sentenza 2024 sull’adozione dei maggiori di età in cui, ancora una volta, si dice che le relazioni personali affettive costituiscono l’identità della persona e il pubblico potere non può far altro che riconoscerle e garantirle.

Antonella Brambilla, già magistrato presso il Tribunale per i Minorenni di Milano, ha fatto un inquadramento storico della disciplina dell’adozione a partire dalla legge 431 del 1967, poi modificata con la legge 184 dell’83, che aveva inteso dare attuazione alla Convenzione di Strasburgo del 1967 in un’ottica di adozione per i soli minorenni. Originariamente l’adozione era, infatti, finalizzata a dare figli a chi non poteva averne per garantire una discendenza.

«La legge 184 risponde al diritto di dare una famiglia al minore abbandonato e non come prima un diritto al figlio », ha sottolineato il giudice. Il senso della rescissione dei rapporti con la famiglia di origine era quello di dare lo status di figlio legittimo e di accertare pubblicamente lo stato di abbandono. Oggi esistono situazioni complesse, con nuclei familiari che possono avere problemi sociali e psichici». « Per questo - ha proseguito - la Corte Costituzionale è intervenuta in modo prudente mantenendo ferma l’adozione legittimante, ma aprendo ai legami affettivi nell’interesse del minore. In questo modo, tuttavia, si pone un nodo giuridico importante perché si parla della tutela del best interest nel caso concreto, mentre il caso su cui si è pronunciata la Consulta era un caso eccezionale. Ci troviamo di fronte, quindi, al problema del rapporto fra la norma e la discrezionalità del giudice. «Se si limita questa apertura al caso eccezionale (per esempio di bambini grandicelli che hanno rapporti con la nonna o i parenti) è un conto – ha commentato il magistrato -. Ma se la decisione sull’adozione aperta è presa, caso per caso, dal giudice secondo la propria sensibilità ogni tribunale rischia di avere le proprie prassi».

Un’altra difficoltà è l’applicazione concreta di questo modello. «Ci sarebbe bisogno di un accompagnamento post-adozione che non è previsto – ha continuato Brambilla -. Con il rischio di affaticare il minore e le famiglie. Di creare una confusione che acuisce le ferite invece di sanarle ». Occorrerebbe quindi rimettere mano a questa materia dopo un ampio dibattito, l’auspicio del magistrato.

Carlo Rusconi, ricercatore in Diritto Privato presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, nel suo intervento ha preso in esame i modelli inglese e svizzero, che hanno una disciplina dell’adozione aperta e una cornice di principi generali prossima a quella del nostro ordinamento. « L’Inghilterra è il Paese europeo che per primo ha introdotto l’adozione aperta – ha osservato il ricercatore -. L’ultima riforma della legge sull’adozione risale al 2014. Questa modifica è stata fatta anche per regolare in modo più rigoroso l’adozione aperta. Un’esperienza che ci dice che il passaggio tra il principio normativo e la sua attuazione può essere impervio e piuttosto delicato e quindi pone problemi che vanno considerati». Il giudice d’oltremanica, infatti, ha il potere di esercitare un controllo sulle conseguenze che l’adozione aperta può avere sulla psicologia del minore. Quindi d’ufficio può negare contatti con persone che possono avere un’influenza negativa.

«In Svizzera nel 2018 è stata introdotta la legge sull’adozione aperta – ha continuato -. In questo caso sono stati fissati tre presupposti. Da una parte viene richiesto l’accordo fra la famiglia di origine e la famiglia biologica, poi dev’esserci l’autorizzazione dell’Autorità di protezione dei minori e il consenso del minore, se è capace di discernimento». Questo modello prevede per il minore, se non se la sente, la possibilità di rifiutare in ogni momento il contatto con la famiglia di origine. « Gli esempi fanno emergere una serie di punti che la sentenza non poteva trattare in modo organico, ma che vanno considerati – ha concluso Rusconi -. In particolare il diritto del minore di rifiutare il contatto».

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