Natalia e “Lasae”, lo spazio online dove il lutto si condivide

Il progetto nato dopo la morte dei genitori della sua ideatrice: che ha avuto bisogno di creare uno spazio “social” dove parlare delle emozioni scatenate dalla morte. E superare, così, l'ultimo tabù della nostra società in nome della vita
October 30, 2025
Natalia e “Lasae”, lo spazio online dove il lutto si condivide
Il bel sorriso di Natalia Pazzaglia
Avere un luogo dove parlare apertamente di quello che è forse l’ultimo tabù della nostra società, cioè la morte di una persona cara. Quando Natalia Pazzaglia ha fondato Lasae, la sua necessità era proprio questa: creare qualcosa che ancora non esisteva, fare incontrare persone che stavano vivendo un lutto, trasformare il dolore in qualcosa d'altro. Oggi Lasae è tante cose. Ad esempio, una newsletter che racconta le storie di chi ha perso qualcuno. Come Andrea, che due anni fa ha vissuto il lutto per la morte del proprio papà e racconta un abbraccio famigliare che lo ha accompagnato fino all’ultimo; o come Jessica, che per anni non ha parlato della perdita della mamma, fino a che, a un certo punto e dopo tanto lavoro, ha trovato le parole giuste. O come don Fabrizio, che condivide la sua esperienza di accompagnamento a tante famiglie che attraversano una perdita. Lasae è anche una pagina Linkedin, un sito, un canale YouTube: tutti legati ad una startup che si chiama Legacy Compass. Il senso del progetto lo abbiamo chiesto alla sua fondatrice.
Natalia Pazzaglia, come è nato il tuo progetto?
Lasae nasce da un’esperienza molto personale. Mio papà è mancato quando io avevo 10 anni, quindi sin da bambina mi sono interrogata sul tema del lutto. Poi, mia mamma è morta a marzo del 2021 dopo una malattia terminale di 7 mesi e un cancro durato 16 anni. Diciamo che, quindi, io ho avuto tanto tempo per capire quali risorse fossero disponibili attorno al tema. Nelle mie ricerche trovavo solo gruppi di mutuo aiuto, in presenza, e per me non era possibile partecipare. Però continuavo a sentire un grande bisogno di condividere quello che stavo passando, mi chiedevo se fossi la sola a vivere con tanto dolore la malattia e poi la morte di mia mamma. Così a un certo punto ho iniziato a parlare del tema con le persone che conosco, soprattutto con alcune amiche e amici che lavorano in ambito comunicazione o startup. Ci siamo resi conto che tutti, per motivi diversi, ci sentivamo coinvolti su questo tema, e soli. Allora ci siamo messi insieme ed è nata l’idea a di una newsletter e poi del sito. 

Quale è l’obiettivo di Lasae?
Lasae è sostanzialmente uno spazio online – in modo che sia raggiungibile per tutti – dove trovare risorse e servizi per chi sta attraversando un lutto. Il primo obiettivo è vincere la solitudine e parlare di questo tema senza più vergogna né paura. Poi siamo passati anche a fare degli eventi in presenza, ad esempio i Death café.

Letteralmente dei caffè in cui ci si raduna e si trovano le parole per parlare anche di lutto...
Sì, esatto. L’idea dei Death cafè (in italiano la traduzione letterale è “i caffè della morte”) è nata a Londra 15 anni fa. Io ne ho facilitati alcuni e quello che succede è semplice: si crea uno spazio protetto, si sospende il giudizio e ci si impegna a non raccontare a nessuno quello che verrà condiviso. Allora accade che le persone si aprono, raccontano di sé e creano connessioni a un livello più profondo del normale. Se io parlo del lutto di una persona che ho amato, automaticamente scatta anche negli altri un livello di empatia molto più radicato. Ovviamente non tutti sono pronti o hanno voglia di partecipare ad esperienze simili: di solito lo fa chi ha già fatto alcuni passaggi dentro sé. 

Da dove viene il nome Lasae?
Deriva dalla mitologia etrusca: le Lase erano divinità protettrici,  spesso raffigurate con sembianze femminili e con delle ali. Il loro compito era accompagnare chi partiva verso l’aldilà e sorreggere, consigliare e proteggere chi restava nel mondo dei vivi. Il termine è poi stato parzialmente mutuato dalla religione cristiana per le figure degli angeli custodi. Un significato quindi molto in linea con il progetto che volevamo creare. 
Secondo la tua esperienza, il tema del lutto è un tabù nella nostra società?
Sì, è forse l’ultimo tabù. E lo è perché ci porta ad ammettere che non siamo onnipotenti, che davanti alla morte dobbiamo per forza lasciare andare, dobbiamo perdere il controllo. In un certo senso è liberante rendersene conto. Ma per arrivare a quel punto bisogna aver fatto pace con il fatto che la vita non va sempre come vogliamo noi.
C’è forse un tabù ancora ulteriore, di cui parli anche sul vostro sito. Ed è la gestione economico-finanziaria legata a un lutto o ai mesi successivi. 
Sì, quello che ho sperimentato parlando con tante persone è che nel tempo del lutto si fatica a parlare di tutti i soldi che servono per gestire quel momento. Ad esempio un funerale può costare 4mila euro e lamentarsi per questa cifra sembra quasi fuori luogo. Invece io penso che sia importante perché ci sono persone che per gestire una morte poi si trovano indebitate per mesi. Invece si potrebbero trovare soluzioni che aiutino chi è in difficoltà. Il momento del lutto è molto delicato perché bisogna maneggiare tanti soldi mentre si è emotivamente fragili. Per questo è bene arrivarci preparati. 
A proposito di risorse: come è sostenibile dal punto di vista economico un progetto come Lasae?
Questo è un punto molto importante per me. Portare avanti un progetto comunitario così è impegnativo economicamente e non sarebbe stato possibile senza l'esistenza di un'altra realtà: una startup che ho fondato alcuni mesi dopo Lasae, nel 2023. Si chiama Legacy Compass ed è il veicolo con cui stiamo portando questo tipo di tematiche anche dentro le aziende. Ad esempio facciamo dei workshop su come stare accanto ai propri dipendenti che vivono un tempo di lutto e di caregiving. Direi proprio che se negli ultimi tre anni ho potuto occuparmi di gestione del lutto, e se Lasae esiste ancora, è grazie a quest'altra realtà. 
Sul sito di Lasae tu dici che occuparsi della morte è un gesto di cura verso la vita. In che senso?
Sì, perché quando muore qualcuno il tempo della vita cambia: il mondo fuori chiede di tornare in pista ma per chi resta è la sensazione è che sia passato un uragano. Ci vuole tempo per re-imparare i pranzi della domenica, per sapere cosa fare quando viene l'impulso di chiamare un numero che non risponde più. Riuscire a salutare chi se ne è andato ha un doppio significato: prendere atto di ciò che è successo e creare un'occasione di condivisione con una comunità. Così, imparare la morte significa re-imparare la vita. Non solo: attraversare un lutto vuol dire anche dare un significato diverso a ciò che poi accade tutti i giorni. Per cui sì, penso davvero che superare il tabù legato ai lutti sia un atto di cura verso la vita.

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