«Lotto perché nessun altro bambino muoia come la mia Sofia»

Caterina, insieme a suo marito Guido De Barros, porta avanti la battaglia perché lo screening neonatale della malattia che ha ucciso la sua bambina diventi obbligatorio. Ecco la loro storia
October 25, 2025
Guido, Caterina e la loro piccola Sofia, che oggi non c'è più
Guido, Caterina e la loro piccola Sofia, che oggi non c'è più
È nata sana e bellissima, in un giorno d'agosto del 2009, Sofia. Il nastro di Caterina si riavvolge fino ad allora, al senso di completezza e di gioia infinite, all'emozione di quella prima figlia che arrivava ad illuminare la sua vita e quella di Guido. Luce abbagliante. Poi, un anno e mezzo dopo, il buio: mamma e figlia sono sul Ponte Vecchio di Firenze, lo spettacolo dell'Arno sullo sfondo, e Caterina decide di scattarle una foto. «La sistemo qualche metro a distanza da me, clic, poi lei fa per venirmi incontro sorridente e all'improvviso cade, così, senza una ragione». Tra quel giorno, l'odissea di una malattia spietata, la tempesta del "caso Stamina" di cui la famiglia De Barros è stata una delle principali protagoniste e la rinascita che ne è venuta dopo, ci sono 15 anni che è difficile condensare in un'intervista. Caterina Ceccuti – che è giornalista – ha la voce dolcissima, pacata, ogni tanto si affaccia nello studio per chiedere a Guido conferma dei termini scientifici che usa, ogni tanto richiama la piccola Gloria che gioca spensierata: «Sua sorella non ha fatto in tempo a conoscerla. Sofia è morta nel 2017, quando lei era ancora nel pancione. Spesso ci ha chiesto se le avrebbe voluto bene: le rispondiamo che gliene voleva talmente tanto che le ha lasciato tutti i suoi giocattoli. E le raccontiamo daccapo la storia».  
Un collage di Sofia e di cosa significa passare da uno stato di salute ed uno terminale in pochi anni, per colpa della MLD
Un collage di Sofia e di cosa significa passare da uno stato di salute ed uno terminale in pochi anni, per colpa della MLD
La storia comincia, appunto, su quel ponte: mamma Caterina sospetta subito che la caduta sia un segnale da non sottovalutare. Nelle settimane successive, purtroppo, Sofia cade ancora, comincia a tenere un piedino storto, inizia a storpiare le parole che aveva appena iniziato a pronunciare. «Due mesi dopo uscivamo dall'ospedale Meyer con in mano la nostra diagnosi: leucodistrofia metacromatica, meglio nota come MLD», una gravissima e rarissima patologia neurodegenerativa che porta al progressivo deterioramento delle funzioni motorie e cognitive. In una parola, a morte certa. Cure esistenti? Nessuna, al netto del trapianto di midollo che però andrebbe fatto entro il primo anno di vita di un bambino con questa mutazione genetica, se solo alla nascita fosse identificata: «Ma questo - ed è la seconda scoperta che la giovane coppia fa dopo quella della malattia di Sofia - non è previsto: così, con la MLD che ormai aveva cominciato a consumare irrimediabilmente il corpicino della nostra piccola, siamo stati spediti a casa. Nessuna possibilità, nessuna terapia, solo la consapevolezza che se avessimo avuto un altro figlio, dato che avevamo scoperto d'essere entrambi portatori del difetto genetico, le cose sarebbero potute andare diversamente». Caterina e Guido non si arrendono: da Firenze si spostano al Gaslini di Genova, al San Raffaele a Milano con il suo polo d'eccellenza del Telethon institute for gene therapy (Tiget). Cercano in Francia, in Germania e in tutto il resto del mondo. La risposta è sempre la stessa: non c’è nulla da fare. Finché, iniziando a mettersi in contatto con altre famiglie segnate da patologie inguaribili, vengono a sapere di Celeste, una bambina di Venezia nelle stesse condizioni di Sofia. «È l'inizio di un periodo (siamo tra il 2011 e il 2012, ndr) su cui vorrei dire il meno possibile, perché è passato e perché credo sia inutile tornarci su - spiega Caterina -. In breve, veniamo a sapere della possibilità di ricevere delle infusioni di cellule staminali agli Spedali civili di Brescia come terapia in grado di lenire la sofferenza di nostra figlia. Decidiamo di andarci anche noi come altri genitori, incontriamo medici esperti e qualificati dell'ospedale, Sofia esegue esami strumentali, ci viene spiegato il possibile effetto lenitivo, non curativo della terapia, che non a caso afferisce a quelle definite "compassionevoli". E sì, aderiamo, perché per alleviare le sofferenze della nostra bambina non avevamo alternative – neppure farmacologiche – e avremmo fatto qualsiasi cosa nel limite di quanto consentito dalla legge e monitorato dalla scienza». Peccato che di lì a poco legge e scienza finiscano nel più clamoroso dei cortocircuiti della storia italiana recente, con tanto di cassa di risonanza mediatica tutt'intorno. «La vicenda finisce coi medici dell’ospedale pubblico bresciano inquisiti, con la condanna e anni dopo la morte di Davide Vannoni (che della terapia cellulare in questione era stato il promotore in Italia), con lo stop alle infusioni. E con noi, insieme alla nostra Sofia, lasciati soli nel nulla. Nessuno era venuto a casa nostra prima, a vedere la nostra bambina – né tantomeno i bambini degli altri genitori aderenti alla sperimentazione – quando chiedevamo che lo facessero per capire che cosa significasse la sua malattia. Nessuno è venuto dopo». 
Sofia con papà Guido e il professor Giancarlo La Marca
Sofia con papà Guido e il professor Giancarlo La Marca
Potrebbe finire tutto così, in un abisso di rabbia e di risentimento. Perché da quel momento in poi Sofia torna alla sofferenza senza cura.  Invece Caterina e Guido decidono che la rabbia non merita alcun dispendio di energia, tutto va dedicato a Sofia: che viene amata, accompagnata, stretta fino all'ultimo istante, in una terribile giornata del 2017 in cui anche loro pensavano d'essere morti, come madre e come padre, «perché quando ti muore un figlio è questo che ti succede, anche tu muori». Nel frattempo però succede che le famiglie con malati di MLD cominciano a scrivere ai De Barros, a chiedere di incontrarli: «E non solo loro. Anche altri, con patologie similari, rare e neurodegenerative. Creiamo una chat in cui parliamo tra noi, ci supportiamo, ci diamo consigli. Nel 2013, quando Sofia è ancora viva, decidiamo di costituire un'associazione: la chiamiamo Voa Voa Amici di Sofia, che in portoghese (la madre di mio marito è brasiliana) significa "vola vola", le parole che spesso anche lei usava. Il sostegno ai più bisognosi tra noi diventa strutturale: legale, economico, psicologico. Intanto Guido prende la sua valigia di idee e si presenta al Laboratorio di Screening neonatale del Meyer di Firenze, dal professor Giancarlo La Marca: "Aiutatemi a impedire che a un altro bambino succeda quello che è successo alla nostra" dice». 
Una bella foto dell'associazione Voa Voa Amici di Sofia, poco dopo la sua costituzione
Una bella foto dell'associazione Voa Voa Amici di Sofia, poco dopo la sua costituzione
È l'inizio di una battaglia per la vita, mentre Sofia lentamente sta morendo. L'obiettivo di Caterina e Guido è che lo screening neonatale salvavita per la MLD possa essere esteso a tutti i neonati, almeno in Toscana: «Servono finanziamenti, apriamo un crowdfunding. Soprattutto servono campioni di sangue, gocce di sangue di bambini malati come la nostra Sofia su cui provare il test. E le famiglie di questi bambini, un gesto che ci ha commossi, le raccolgono e le mettono a disposizione». Alla fine, la notizia più bella: il test c'è, ma mancano i finanziamenti per il progetto pilota. Voa Voa stipula un contratto con il Meyer e si impegna a raccogliere 300.000 euro. Il 13 marzo 2023 il progetto pilota parte e da quel momento, in Toscana, nessun bambino più può ammalarsi e morire di MLD. In anticipo di un anno sui tempi previsti, la Regione Toscana decide di inserirlo tra quelli obbligatori alla nascita, prassi che diventa operativa dal 13 ottobre 2025. «Solo la Toscana però. Così, nel frattempo, altri bambini si ammalano come Sofia. È il caso della piccola Gioia, che ha avuto la sfortuna di nascere a pochi chilometri da noi, in Emilia Romagna, e del cui caso ci stiamo occupando da mesi come associazione. Se anche nella sua regione il test fosse stato obbligatorio, e gli fosse stata somministrata entro l’anno di vita la terapia genica prevista dall’Ospedale San Raffaele di Milano (unica cura al mondo per la MLD) la piccola avrebbe scongiurato l'insorgenza della malattia. Ora invece, per lei, non c'è più niente da fare». E così altrove. Ecco perché Guido e Caterina non hanno smesso di combattere, «ed ecco perché non mi sembra di aver fatto ancora abbastanza per tenere viva la nostra Sofia, di non aver onorato abbastanza la sua memoria. Sofia morirà ancora finché una bambina o un bambino, in ogni parte d'Italia e del mondo, si ammalerà e morirà di una malattia che possiamo curare se solo arriviamo in anticipo sull’insorgenza dei sintomi. Abbiamo gli strumenti per farlo, perché restiamo fermi a guardare?».
Per chi volesse saperne di più, l'associazione Voa Voa Amici di Sofia Aps è su Facebook e ha un sito. Per l'advocacy, cliccare qui.

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