L'Italia dell'affido chiede di essere ascoltata (e ora ha la sua Carta)
Si è chiusa la prima Biennale dell’accoglienza promossa a Milano dal Forum delle associazioni familiari. L'agenda dei prossimi due anni in 5 punti: eccoli

Artem, poi Salimata, Samuele, Sameh: i ragazzi raccontano della famiglia in cui sono nati, di quella che li ha accolti, gli altri li ascoltano in silenzio dalla platea, sorridono, si emozionano, applaudono. Tanto poco basta per capire come rilanciare affido e adozione non sia un’utopia, nemmeno nell’epoca delle crisi familiari e dell’inverno demografico. Anzi. Dalla promozione e della riconsiderazione politica e culturale dell’accoglienza può nascere l’impulso al rinnovamento sociale che diventa bene comune: delle persone, delle comunità, del Paese. Ed eccola, la prima grande certezza acquisita nel corso dell’evento milanese organizzato dal Forum delle associazioni familiari che, non a caso, è stato intitolato “Biennale dell’accoglienza”: ci sono (e occorre ascoltare) parole nuove per raccontare l’Italia che nonostante tutto continua ad aprire la porta di casa ai bambini che ne hanno bisogno. Sono state riunite nella Carta dell’affido stesa al termine della due giorni, che dovrà rappresentare la struttura di base per la costruzione dei prossimi impegni. Le abbiamo raccolte.
La prima è semplificare. Un’operazione complessa ma inevitabile per rendere più agevole tutto ciò che riguarda l’affido familiare. Può comprendere la governance politica, ma anche il fronte legislativo e quello burocratico. Rendere davvero normale l’affido – e l’adozione – per costruire una società più accogliente significa anche renderlo meno pesante dal punto di vista dei percorsi di accesso. La seconda parola è accompagnare. È stato ripetuto più volte dagli esperti e dai rappresentanti delle associazioni in questi giorni. Una famiglia da sola non può farcela. Ma, se accompagnata in modo competente e strutturato, può rappresentare un valore aggiunto inestimabile. La terza parola è condividere, in particolare distribuire le fatiche dell’affido con associazioni, reti familiari, servizi finalmente rinnovati e integrati. La rete dei Centri per la famiglia può rappresentare in questa logica uno spunto decisivo. Si tratta di farli funzionare davvero. Quarta parola, rendere consapevoli. Cioè conoscere nel dettaglio, e non più a colpi di stime, la realtà dei minori fuori famiglia e delle famiglie affidatarie. Quanti sono? Dove sono? Chi li accoglie? Da qui l’urgenza di registri e banche dati che sia il ministero della Famiglia, sia quello delle Politiche sociali hanno annunciato. Infine c’è la parola sorridere, con l’esigenza più volte ribadita, di una narrazione che, parlando di affido e adozione, metta da parte i toni della straordinarietà, del dolorismo, del sacrificio cupo. Il sorriso attrae, la tristezza respinge.
La prima è semplificare. Un’operazione complessa ma inevitabile per rendere più agevole tutto ciò che riguarda l’affido familiare. Può comprendere la governance politica, ma anche il fronte legislativo e quello burocratico. Rendere davvero normale l’affido – e l’adozione – per costruire una società più accogliente significa anche renderlo meno pesante dal punto di vista dei percorsi di accesso. La seconda parola è accompagnare. È stato ripetuto più volte dagli esperti e dai rappresentanti delle associazioni in questi giorni. Una famiglia da sola non può farcela. Ma, se accompagnata in modo competente e strutturato, può rappresentare un valore aggiunto inestimabile. La terza parola è condividere, in particolare distribuire le fatiche dell’affido con associazioni, reti familiari, servizi finalmente rinnovati e integrati. La rete dei Centri per la famiglia può rappresentare in questa logica uno spunto decisivo. Si tratta di farli funzionare davvero. Quarta parola, rendere consapevoli. Cioè conoscere nel dettaglio, e non più a colpi di stime, la realtà dei minori fuori famiglia e delle famiglie affidatarie. Quanti sono? Dove sono? Chi li accoglie? Da qui l’urgenza di registri e banche dati che sia il ministero della Famiglia, sia quello delle Politiche sociali hanno annunciato. Infine c’è la parola sorridere, con l’esigenza più volte ribadita, di una narrazione che, parlando di affido e adozione, metta da parte i toni della straordinarietà, del dolorismo, del sacrificio cupo. Il sorriso attrae, la tristezza respinge.
E, durante la Biennale milanese i motivi per sorridere sono stati più di uno. Dopo l’annuncio della ministra per la famiglia, Eugenia Roccella, che ha dato notizia di una serie di provvedimenti e di relativi investimenti finalizzati a rendere finalmente gratuita l’adozione internazionale – ne abbiamo riferito ieri nel dettaglio – sono arrivate informazioni confortanti anche dalla viceministra alle politiche sociali, Maria Teresa Bellucci: entro novembre verrà insediato un Tavolo sui minori fuori famiglia con l’obiettivo di un monitoraggio costante sulla realtà dei bambini e dei ragazzi in affido familiare e accolti presso i centri per minori. Interventi significativi anche per sostenere l’azione dei servizi sociali: sono già pronti i decreti per l’assunzione di 3.300 professionisti dell’accoglienza – psicologi, pedagogisti, educatori – che andranno ad arricchire il sistema del welfare e a costruire quella trama interdisciplinare considerata ormai irrinunciabile per la complessità del quadro affidi che, per dirla con Claudio Cottatellucci, presidente dell’Associazione nazionale magistrati per i minori e per la famiglia (Aimmf), ha fatto registrare in questi decenni «una svolta epocale dal criterio della temporaneità a quella della significatività». Se prima cioè l’affido era un provvedimento temporaneo che, secondo il dettato della legge 184 del 1983, avrebbe dovuto concludersi entro due anni, oggi il principio della continuità degli affetti l’ha trasformato in una scelta con prospettive più ampie e impegnative, in cui l’impegno educativo e la capacità di conservare relazioni positive con la famiglia di origine – non sempre agevole – sono diventati punti irrinunciabili.
Ma famiglie a cui è richiesto così tanto possono continuare ad essere soggetti marginali nei processi in cui sono coinvolti i figli loro affidati? Ai tavoli della Biennale ci si è resi conto che un rilancio dell’affido non può evitare di fare i conti anche con queste rigidità giuridiche che andrebbero riviste alla luce delle tante novità di questi anni. A cominciare dalla sentenza della Cassazione del settembre 2023 che ha spalancato le porte – anche se solo in casi ben circoscritti – all’adozione aperta: in pratica il giudice può decidere che il minore, anche in caso di adozione piena, possa continuare a mantenere buoni rapporti con uno o più membri della sua famiglia d’origine. Ciò che sfuma talmente tanto il concetto di adozione da trasformarla in una sorta di affido. Ecco perché va accolto e rilanciato con convinzione l’appello di Walter Martini, presidente del Tavolo nazionale affido (19 associazioni) secondo cui è arrivato il momento di varare tutti insieme – associazioni, enti locali e ministeri competenti – un Piano straordinario sull’affido familiare in Italia, sul modello di quello che servì nel 2006 per la chiusura degli istituti. E nell’occasione – ha ripetuto rinnovando una proposta già più volte ventilata – «perché non pensare anche a una Giornata nazionale dell’affido da celebrare ogni 4 maggio?». La viceministra Bellucci, che per prima ne aveva parlato, è chiamata questa volta a non far cadere l’ipotesi. Come sarebbe opportuno concretizzare l’idea di Cristina Riccardi, vicepresidente del Forum che, confermando la volontà dell’associazionismo familiare di entrare a pieno titolo nella rete dei centri “per” la famiglia, ha proposto di definirli più opportunamente centri “della” famiglia. Non un possessivo ma un progetto di servizio e di impegno. Perché sostenere le famiglie, quelle che scelgono la strada dell’affido e dell’adozione ma anche tutte le altre, ha concluso il presidente del Forum, Adriano Bordignon, è scelta di giustizia e investimento per il bene comune, anche quando costa fatica.
© RIPRODUZIONE RISERVATA






