mercoledì 22 maggio 2024
Adrienne Buller smaschera l’inganno del capitalismo verde, che consente a molte imprese di continuare a inquinare pagando per compensare il proprio impatto. «Meglio investire per conservare i cetacei»
Tredici dollari a testa per salvare le balene: «Così si ostacola chi vuole inquinare»
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«Singole aziende possano acquistare il diritto a continuare a inquinare, o a bruciare combustibili fossili, pagando qualcun altro per “compensarne” in qualche modo l’impatto. Spesso il tutto si concretizza nel piantare alberi, o nella conservazione boschiva». Già nella premessa del corposo saggio Quanto vale una balena. Le illusioni del capitalismo verde, tradotto in Italia da Add editore, Adrienne Buller smaschera senza mezzi termine il grande inganno che sta dietro a un certo ambientalismo delle imprese. Infatti il vero obiettivo è trovare «nuovi percorsi di profitto, ma con il minimo sconvolgimento dei nostri sistemi economici e stili di vita attuali, non importa se le azioni intraprese riducano effettivamente i danni, come affermano, o ne causino di nuovi. Le soluzioni del capitalismo verde sono incentrate sull’idea di perpetuare i processi, sistemi e rapporti economici catastrofici che hanno portato all’attuale stato di crisi (e, per giunta, gravemente attardato qualsiasi azione per arginarlo)».

Tuttavia, incalza l’autrice, «non dovremmo aver bisogno di catastrofi per convincerci ad agire in materia di crisi climatiche e ambientali, da decenni abbiamo solide prove scientifiche delle loro origini e traiettorie. Eppure, eccoci qua». Direttrice della ricerca presso il Common Wealth, un think tank progressista con sede nel Regno Unito focalizzato sull’economia politica della proprietà, specializzata in lavori sulle intersezioni tra sistema finanziario e crisi climatica ed ecologica pubblicati, tra gli altri, sul Financial Times e The Guardian, Buller si chiede: «Com’è possibile che, malgrado innumerevoli promesse e iniziative politiche e il sollevarsi della società civile, restiamo silenziosamente determinati a sacrificare vaste porzioni dei popoli e degli esseri viventi alle pretese di una minoranza potente e facoltosa?».

Finora la storia ha inanellato una serie di «sforzi inefficaci, distrazioni e devozione allo status quo», mentre «le crisi climatiche e ambientali stanno rispettando la loro promessa di strappare vita e mezzi di sussistenza proprio a chi ha avuto meno a che fare con la loro creazione». E qui arriva la spiegazione del titolo enigmatico: un gruppo di ricercatori del Fondo monetario internazionale si è chiesto quanto valesse una balena e «la stima conclusiva si è fissata sulla cifra tonda di due milioni di dollari a esemplare – solo per i grandi cetacei – per l’impressionante somma di mille miliardi di dollari per lo stock globale esistente. Il calcolo si fonda sul contributo degli animali al fatturato dell’ecoturismo (ironicamente dannoso per i cetacei stessi) e sulla loro abbondante capacità di smaltimento carbonico: nel corso della vita, una balena media intrappola l’equivalente di 33 tonnellate di anidride carbonica, più di quanto faccia un albero della stessa stazza».

Di qui il consiglio «di investire nella conservazione dei cetacei più che in altri metodi per smaltire la CO2. Il costo globale stimato per questo sforzo di conservazione è modesto: tredici dollari annui per ogni essere umano», ovviamente «senza spendere in infrastrutture enormi e costose». Ma le balene sono considerate una “specie sentinella” per «il nostro destino ecologico e climatico».

Nella prefazione Filippo Barbera, professore ordinario di Sociologia economica all’Università degli Studi di Torino, chiarisce come il modello del cosiddetto «capitalismo verde» sostenga che «il costo delle conseguenze dannose del capitalismo sull’ambiente deve essere trasformato in un prezzo e in merci scambiabili su mercati, così che agenti economici motivati dal profitto abbandoneranno le attività economiche a più alte emissioni in modo efficace ed efficiente. Servizi ecosistemici, capitale naturale, monetizzazione dei benefici, mercificazione dell’aria respirabile o dell’acqua potabile che la natura ci offre a titolo (attualmente) gratuito, sono i correlati necessari di questa impostazione». Che porterà, avverte Buller, a un drammatico punto di non ritorno.

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