mercoledì 12 ottobre 2022
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In un momento storico come quello attuale, contrassegnato dall’affermazione di crisi di carattere sistemico che rimettono in discussione i tradizionali modelli di sviluppo, sembra emergere una rinnovata consapevolezza di come le sfide che ci troviamo davanti, non possano trovare soluzioni adeguate attraverso la messa in campo di risposte individuali o agite da singoli attori. Al contrario, l’unica strada per uscire da una posizione meramente difensiva e formulare un nuovo ideale di futuro, è quella di scommettere su un agire corale caratterizzato da alleanze, collaborazioni e sperimentazioni inedite.

Interrogarsi sulle traiettorie di cambiamento che interesseranno le collettività nei prossimi anni, unitamente al protagonismo delle comunità, permette di osservare come le recenti crisi indichino l’inizio di una nuova e lunga transizione. Il pericolo maggiore riguarda l’ignorare il fatto che le 'transizioni' non sono mai neutrali. Esse possono infatti portare ad un effettivo miglioramento delle condizioni di vita di molte persone, così come peggiorare ulteriormente le criticità sociali e alimentare le disuguaglianze già in essere. Nel 1962 Gunter Anders pubblica L’uomo è antiquato, un saggio che ci riguarda molto da vicino. L’idea (anticipatrice dei tempi) che vi si trova è che l’essere umano è tale soltanto se qualcuno lo chiama in causa, se si preoccupa di lui. Diversamente dal cartesiano 'cogito, ergo sum', quel che si rende necessario diventa affermare: 'Cogitor, ergo sum' (mi si pensa, dunque sono). Una prospettiva radicale che richiede una visione antropologica e una tensione inclusiva nel delineare adeguate forme di governance per accompagnare le transizioni e combattere in maniere radicale e profonda le disuguaglianze. Su questo fronte il principio del mutuo riconoscimento trova tre principali ambiti di sperimentazione che permettono di connotare le trasformazioni in atto, evitando riduzionismi funzionalistici e neutralità tecnicistiche.

Il primo riguarda l’adozione del modello democratico e deliberativo per la presa delle decisioni e la definizione delle priorità. Democraticità che da un lato costituisce una rivendicazione etica in risposta alla logica del conflitto e al sentimento di intolleranza che matura in seno alle 'comunità rancorose'; dall’altro permette di evidenziare un ulteriore protagonismo dei soggetti dell’Economia Civile in quanto sono proprio essi a incarnare l’esempio più virtuoso della concreta possibilità di coniugare democraticità organizzativa, finalità mutualistica e solidaristica delle proprie azioni e realizzazione di attività economiche che garantiscono sostenibilità ed inclusione.

Il secondo riguarda la presenza di un Terzo settore capace di allestire contesti abilitanti, costruire infrastrutture sociali e disegnare economie secondo uno spirito di neo-mutualismo, giocando un ruolo strategico in questa fase cosiddetta 'di ripartenza' non solamente in termini di 'braccio operativo' per la messa a terra delle nuove policy, quanto anche in termini di luogo di pensiero per la definizione di proposte operative che ridisegnino gli assetti abituali tra gli attori territoriali. Il recente Action Plan for the Social Economy realizzato dall’Unione Europea descrive bene le potenzialità del settore tanto in termini di prospettive sulla creazione di valore, quanto in termini di prospettive sulla possibilità della nascita di nuovi ecosistemi per il governo delle transizioni. - Il terzo invece riguarda l’estrema urgenza di ridare al lavoro il proprio ruolo di attività volta alla piena realizzazione della persona rendendolo così allo stesso tempo giusto (cioè capace di offrire il potere d’acquisto necessario per provvedere alle proprie necessità) e decente (cioè capace di portare ad piena fioritura umana). Quando infatti il lavoro non è più espressione della persona, perché si non comprende più il senso di ciò che si sta facendo, diventa schiavitù. Come è stato per le origini dell’età moderna, allo stesso modo oggi, da più voci (si pensi ad Alec Ross, consigliere di Obama, Minouche Shafik, Direttrice della London School of Economics, a Jeremy Rifkin, economista di fama mondiale) ritorna il desiderio di interrogarsi su quali debbano essere i presupposti che fungano da fondamenta per la futura comunità umana e quale tipo di 'contratto sociale' debba riconoscerli e garantirli. A ben guardare però, forse oggi risulta più utile ragionare non tanto in termini di 'contratto' quanto piuttosto in termini di 'patto sociale'. La premessa infatti per la costruzione di risposte corali alle criticità sistemiche non può basarsi su codificazioni degli assetti relazionali tra gli attori eccessivamente rigide e formali. Il bivio è tra uno scenario caratterizzato da profonde tensioni sociali dove a governare sono gruppi di interesse miranti unicamente alla ricchezza personale, e uno scenario di prosperità inclusiva dove il futuro è il prodotto di uno sforzo collettivo. L’amministrazione condivisa, la rigenerazione a matrice comunitaria, le nuove economie che assumo il digitale e la prossimità come fattori abilitanti per alimentare impatto sociale e le infrastrutture sociali che stanno nascendo per ridisegnare il welfare su base territoriale, rappresentano i cantieri più rilevanti su cui impegnarsi e convincersi che un diverso ordine sociale è necessario per poter passare dalla 'diagnosi', alla concretezza della 'terapia'. Se è vero poi che il Terzo settore deve avere il coraggio di proporsi come 'asset-holder' ossia 'portatore di risorse' e non solo come 'need-holder', ossia portatore di bisogni, è altrettanto indispensabile che la politica maturi la consapevolezza che la vita democratica non riguarda solo le procedure, ma anche la definizione di uno spazio aperto (espressivamente deliberativo) che non può fare a meno di legami sociali, cittadinanza attiva, imprenditorialità sociale e mutualismo.

Solo aprendosi a reali processi partecipativi e sperimentando nuove governance territoriali, le risorse del Pnrr saranno in grado di trasformare la spesa pubblica (di cui una gran parte in forma di debito) in leva per uno sviluppo sostenibile e inclusivo. Diventa cruciale aprire una nuova 'fase contributiva' dove cittadini, lavoratori, imprese e istituzioni possano essere considerati soggetti protagonisti della ripartenza. Le nostre società hanno la necessità, più ancora che nel passato, di un Terzo settore forte e soprattutto pienamente autonomo dagli altri due settori. Questa evidenza emerge dal fatto che la condizione umana di oggi è connotata dalla transizione, iniziata mezzo secolo fa dall’individualismo di appartenenza, all’individualismo di singolarità. Questa metamorfosi dell’individuo nel 'singolo' va ponendo problemi inediti, primo fra tutti la contraddizione pragmatica secondo cui il singolarismo, mentre presuppone qualcosa di comune, vuole prendere le distanze da questa comunanza perché giudicata opprimente, omologante. Non è dunque difficile intuire le devastanti conseguenze pratiche di ordine sia politico sia socioeconomico che ne deriverebbero se non si trova il modo di incanalare su un diverso binario la nuova configurazione antropologica ed etica del sé. Per riuscirci occorre però fare uno sforzo collettivo invitando la politica a non farsi guidare dal cortotermismo e dal paternalismo, stimolandola a riconnettersi con l’esperienza reale delle comunità. Da qui l’emergere di domande che non è più possibile rimandare: come affiancare le istituzioni pubbliche nello sviluppo di modalità decisionali in grado di tenere insieme l’orizzonte di breve con quello di lungo periodo? Quali tipologie di governance si rendono necessarie per accompagnare e governare le grandi transizioni? Come alimentare una normatività giuridica con una visione antropologica positiva? Per immaginare nuove forme del vivere insieme, diventa allora essenziale assumersi il rischio di mettere in discussione gli assunti sui quali il vivere moderno, quantomeno in Occidente, è venuto a formarsi con la consapevolezza che proprio tale scelta rappresenta l’occasione migliore per far cadere quei tabù che tuttora vogliono convincere dell’impossibilità del cambiamento.

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