mercoledì 31 gennaio 2024
Parità di genere, lo spot non basta
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Non è facile scrivere spot istituzionali di questi tempi. Senza testimonial, cabaret, tariffe stracciate, le pubblicità pescano nella retorica delle frizioni sociali, si affidano a un maestro del cinema come Giuseppe Tornatore e scelgono il tema del gender gap per convincere del proprio impegno sulla parità di genere. La storia si svolge all’interno di un labirinto, un uomo e una donna prendono percorsi diversi, perché la prima domanda divisiva sulle difficoltà di carriera separa immediatamente i due protagonisti. Lui trova la via d’uscita dopo pochi secondi, lei no: le domande successive incalzano in un crescendo di frustrazione e angoscia, il suo essere donna la penalizza fino al punto in cui di fronte a un muro che si staglia sul suo cammino, l’unica soluzione è sfilarsi la scarpa da usare a mo’ di martello per abbattere i mattoni che la ostacolano.

Nulla da eccepire, per carità, ma temo non basti un premio Oscar per rassicurare sulle proprie dichiarazioni d’intenti, per quanto la scelta di trasmetterle nel break pubblicitario in occasione del tradizionale discorso di fine anno del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, la dice lunga sulla malizia di chi pianifica. Mi limito a evidenziare due contraddizioni che depotenziano la struttura narrativa del racconto, la prima è dentro lo spot, la seconda è fuori dai secondi che passano sugli schermi della pubblicità. Nel climax della scarpa-martello si sceglie il rosso istituzionale come colore dell’elegante décolleté impugnato dalla protagonista, a nessuno (non è un maschile sovraesteso) è venuto in mente che le scarpe rosse da anni identificano in tutte le piazze d’Italia le vittime di femminicidio e che i due piani semantici così promiscui finiscano per banalizzare un oggetto simbolico che faticosamente sta provando a farsi strada nell’immaginario e che vede decine di associazioni battersi faticosamente ogni giorno, senza poter contare sugli investimenti della grande compagnia telefonica?

Comprendo che sia una finezza semiotica da addetto ai lavori, ma l’attenzione verso l’altro genere ha più che mai bisogno di piccole sensibilità quando si sceglie il mainstream per farsi belli, e anche questo ahimè non è un maschile sovraesteso. Perché c’è un bravo giornalista che in un suo Thread si è preso la briga di andare a verificare la compagine apicale di un’azienda che fa della parità di genere il suo nuovo totem pubblicitario ed ecco i risultati della sua ricerca: “CEO: maschio, presidente: maschio, vicedirettore generale: maschio, direttore risorse umane: maschio, direttore marketing: maschio, direttore finanziario: maschio, direttore commerciale: maschio”. Immagino siano tutti fuori dal labirinto ad aspettare che qualche signora compaia all’orizzonte, nell’attesa spero che inizino da una regista donna per girare il prossimo spot sulla parità di genere. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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