Luca Dal Fabbro, presidente ESG European Institute e vicepresidente Circulary Economy Network
Che sia giunta l’ora in cui il capitalismo, come lo abbiamo fin qui inteso e sposato, dichiari il proprio fallimento nel realizzare un modello di sviluppo sostenibile, in cui la ricchezza generata sia ridistribuita secondo uno schema virtuoso a beneficio della collettività e nel rispetto dell’ambiente, è l’implicita (nemmeno tanto) premessa da cui muove ESG La Misurazione della Sostenibilità (Rubbettino Editore, 2022) con cui Luca Dal Fabbro, presidente ESG European Institute e vice-presidente Circulary Economy Network, andando ben oltre il recente mea culpa di Larry Fink, archivia, senza recriminazioni, né rimpianti, ma semplicemente in quanto esaurita, l’esperienza di quello che definisce 'turbocapitalismo'. L’alternativa storica, in cui Dal Fabbro è da tempo immerso, non è, nella sua prospettiva, un inevitabile sacrificio, ma piuttosto un radicale cambio di paradigma, soprattutto culturale, in cui il necessario cambiamento è strumento e opportunità per costruire organizzazioni – pubbliche e private– più solide e trasparenti, società più eque e comunità responsabili.
Più che di transizione l’ottica è quella di una rivoluzione copernicana. Le resistenze da parte dei nostalgici del business votato al mero profitto, come dei 'convertiti' sulla via di Damasco, saranno tali da mettere a rischio il complesso percorso trasformativo? Per metterci al riparo da probabili escamotage e blindare la credibilità stessa del New Green Deal, il più importante piano di investimento socio- economico, ambientale e culturale della Commissione Europea dalla sua nascita, occorre garantire la piena trasparenza e genuinità di tutte le operazioni e iniziative legate alla sostenibilità di imprese e finanza.
Il nodo, piuttosto dirimente – e, per questo, ancora insoluto – della standardizzazione dei criteri di misura dei parametri ESG è oggetto della sua pubblicazione, ma, da tempo, lei insiste sulla necessaria 'globalizzazione' e comparabilità di tali criteri. Perché è fondamentale 'quantificare' e verificare il cammino sulla strada del cambiamento? Gli standard internazionali a cui riferirsi non mancano, ma analizzare le metriche di misurazione ESG esistenti non basta: occorre un’operazione di semplificazione e oggettivazione che definisca un protocollo e un iter di raccolta unitario ed univoco dei parametri ambientali, sociali e di governance. Inoltre, l’adozione di criteri universalmente riconosciuti snellirebbe le attività di reporting da parte degli emittenti e incentiverebbe l’introduzione dei criteri ESG, accanto ai dati finanziari, in un bilancio integrato.
È realistico che imprese e fondi di investimento rendicontino il loro impatto non solo in termini squisitamente finanziari o di profitto, ma in relazione al 'valore' sociale e ambientale nel medio-lungo termine? Quanto sotto i nostri, e i loro, occhi evidenzia che, in un mondo globalmente interconnesso, la sola valutazione dei dati finanziari non riflette la bontà di un processo o di un’operazione nemmeno per il soggetto emittente; altri parametri, indicazione della realtà attorno a noi, sono imprescindibili: qualsiasi forma di organizzazione, pubblica o privata, se si esime dalle dinamiche della comunità in cui opera e non partecipa alla risoluzione di si interroga su priorità quali esaurimento di risorse naturali, impoverimento di biodiversità, gestione di rifiuti, sicurezza sul lavoro, risoluzione dei conflitti, politiche salariali, strategie anti-corruzione o tutela delle minoranze, restringe la propria prospettiva ad uno spazio senza prospettiva. In altre parole, la massimizzazione dei profitti degli azionisti non esaurisce né gli obiettivi dell’impresa e della finanza, né, tantomeno, le aspettative di un’intera comunità e delle future generazioni. Che una nuova consapevolezza avanzi è testimoniato dall’ascesa del modello di CSR (’corporate social responsibility’), che, ispirandosi alle '3P'– People, Planet, Profit – alla 'ricchezza' trasferisce un significato più rotondo, completato dalla creazione di valore sociale.
Ad oggi è, però, già prevista nella rendicontazione contabile l’autocertificazione della propria 'condotta' rispetto allo sviluppo sostenibile. Appunto. Attualmente, la valutazione è formulata sulla base dei rating di sostenibilità o ESG, certamente importanti per definire la linea di un’organizzazione, ma pur sempre calcolata da enti privati con framework proprietari.
Il che solleva legittimi dubbi di trasparenza.. Beh, per guidare le società in un percorso di rendicontazione strutturale e credibile occorre completare e condividere – con tutti i soggetti pubblici e privati – standard comparabili di reporting. Gli ultimi due anni hanno evidenziato la pervasività delle sfide attuali: la pandemia ha stravolto il mondo del lavoro e della scuola, ha imposto l’urgenza della transizione digitale, ha cambiato la percezione della crisi climatica e rischia di mettere in discussione la transizione energetico- ambientale sull’onda dei rincari dei costi delle materie prime e della questione della sicurezza energetica, acuiti dal conflitto russo-ucraino. In tutto ciò le problematiche economiche e tecnologiche risultano molto parziali, se non inserite in un orizzonte globale e di medio-lungo termine e rapportate alla dimensione di rischi e sfide in cui siamo calati.
L’imprevedibilità e l’accelerazione dei cambiamenti di scenario a cui siamo sottoposti ci impongono una discreta dose di elasticità: cosa intende con 'turbo fluidità'? Imparare a convivere e gestire al meglio la turbo-fluidità, vera cifra del nostro tempo, implica il contributo di tutti gli attori sociali. In questo contesto, i fattori ESG, aiutando a selezionare e condividere misurazione e monitoraggio degli obiettivi e del passo del cambiamento, possono fungere da cerniera nel costruire un dialogo schietto e terzo tra le parti. Ricavandone istituzioni e imprese più solide e trasparenti e società più mature.