mercoledì 30 giugno 2021
Attorno alle bellezze storiche e culturali del Paese c'è un'industria fiorente. Che spesso ha salvato l'economia nazionale. Un bene comune da tutelare
Venezia, una delle capitali della bellezza italiana

Venezia, una delle capitali della bellezza italiana - Pixabay

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Salverà il mondo, la bellezza? Beh, già sta facendo parecchio per salvare l’Italia: attiva infatti il 17,2% del Pil (dati 2019) come mostra il padiglione nella Biennale di Venezia dal titolo "Sapere come usare il sapere", frutto di uno studio di Banca Ifis i cui risultati sono presentati tramite un’installazione di Emilio Casalini: una mappa dell’ecosistema italiano della bellezza suddiviso in tre settori: il patrimonio storico-artistico e paesaggistico, i servizi a esso relativi, la produzione industriale legata al design.

Conferma l’importanza di queste attività il rapporto "Io sono Cultura 2019", in cui Carlo Sangalli, presidente di Unioncamere ed Ermete Realacci, presidente di Fondazione Symbola, scrivono: «Il Sistema Produttivo Culturale e Creativo dà lavoro a più di 1,55 milioni di persone, il 6,1% del totale degli occupati» in crescita rispetto agli anni precedenti. Il rapporto ricorda anche come l’importanza della bellezza sia sancita dall’articolo 9 della Costituzione (la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura... Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico): il che è un dato singolare e originale nel panorama delle leggi fondamentali moderne.

Ma allora non v’è contrasto, tra la libera gratuità della bellezza e la ricerca del profitto di cui si nutre l’economia? «Il punto di contatto – spiega l’esteta Sergio Givone – sta nella seduzione che esercita la bellezza. Quel che è attraente è anche economico, perché si offre e, per così dire, induce in tentazione. Oggi purtroppo siamo lontani dall’unità tra il buono, il vero e il bello dell’antichità, visto che il consumismo sposa l’effimero e confonde la bellezza con la performatività: già Dostoevskij conosceva il problema, tanto da sostenere che la bellezza sia il campo dove Satana e Dio si contendono il cuore degli uomini». Il che pone un busillis, confermato da una recente notizia: nel 2020, mentre ovunque crollavano gli introiti dei musei, Bernard Arnauld, proprietario del conglomerato francese del lusso LVMH (una pletora di marchi come Dior, Fendi, Bulgari, De Beers, ecc.) diveniva l’uomo più ricco del mondo superando i rampanti imprenditori di Silicon Valley: nella pandemia sono aumentati i consumi voluttuari di profumi, moda, gioielli. Il lusso è eccesso, qualcosa che nulla ha a che spartire con la necessità.

Ma in fondo non si trova anche la bellezza nel campo del non necessario? Non è anch’essa un "di più"? «Se l’arte e i musei sono superflui rispetto al mero sopravvivere – commenta monsignor Gianantonio Borgonovo, del CdA della più antica azienda attiva in Italia, la Fabbrica del Duomo di Milano – essi portano qualcosa di assolutamente necessario per una vita autentica. Non è un caso che nella Milano della finanza e della moda il luogo più visitato dai turisti resti la cattedrale. La cui grandiosità è frutto di gratuità: donazioni e opere accumulatesi nei secoli. Ed è proprio questo che tocca i cuori dei visitatori».

E così si apre lo spiraglio che dall’attrattività delle forme terrene può ricondurre a quanto le supera: l’Italia è un giacimento a cielo aperto di opere dal valore universale proprio grazie all’afflato religioso che ne ha motivato la realizzazione. Il che riguarda persino i paesaggi: le attività monastiche nel Medioevo hanno dato forma a intere, ampie porzioni di territorio. L’economista Stefano Zamagni richiama proprio tale condizione: «Siamo abituati ai beni culturali ovunque disseminati e quasi non ci rendiamo conto della ricchezza che rappresentano. Per cui è importante che la scuola educhi a conoscerli e valorizzarli. Non solo attraverso la storia del-l’arte, ma aiutando a incontrare la bellezza in tutte le sue manifestazioni. La bellezza va goduta e conservata: è giusto pagare per fruirne (non si spende tanto per lo shopping?) ma certo lo può fare solo chi è capace di comprenderne l’importanza. Se poi qualcuno non può permettersi di pagare, basta riconoscerglielo: con un sistema di tessere che consentano di fruire di musei e spettacoli a chi non ha disponibilità economiche. E anche in questo campo vale il principio della sussidiarietà: settore pubblico e privato collaborano per il bene comune ».

Esempio di tale collaborazione è dato dalle fondazioni. Tra queste una, la Fondazione Benetton, è nata per occuparsi del paesaggio: «La famiglia di imprenditori – spiega Luigi Latini, paesaggista e presidente della Fondazione – s’è fatta da sé partendo da un laboratorio nella periferia di Treviso. Una trentina di anni fa il capostipite Luciano s’è reso conto di come la campagna veneta fosse stata rovinata dall’industria. Per questo, per passione, ha dedicato la Fondazione a promuovere la cultura del paesaggio, raccogliendo assieme personaggi quali Gaetano Cozzi, Domenico Luciani, Lionello Puppi, Tobia Scarpa».

«Cultura e bellezza – chiosa l’antropologa Irene Baldriga – non vivono in un mondo astratto: son questione di benessere. Si sta male in un ambiente ostile, ma se si è circondati da bellezza, e la si sa riconoscere, ci si sente a proprio agio. E si lavora e si produce meglio. Anche qui c’è un importante elemento di collegamento tra bellezza ed economia. Per questo si richiede pianificazione e impegno per coinvolgere tutti: per esempio favorendo l’accesso ai musei anche di anziani, disabili, immigrati. Quelle museali sono istituzioni di educazione permanente, e valorizzano il territorio. Si pensi al ruolo del Museo Egizio per Torino, del Maxxi per Roma o del Madre per Napoli che permettono a tanti giovani di operare al loro interno e nell’indotto. Anche ristoranti, bookshop, gadget, sono strumenti che permettono e ampliano la missione dei musei. Il turismo culturale genera una ricchezza anche di carattere etico. Ne deriva un’economia circolare: cultura che stimola cultura, ricchezza che aumenta la ricchezza. Da tempo si dice che il patrimonio culturale sia il 'petrolio' italiano. È vero, ma soprattutto è fonte di benessere psichico e morale per i cittadini».

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