mercoledì 20 ottobre 2021
Carlo Budel ha scelto di fare l’oste ad alta quota. Nel suo rifugio si arriva solo dopo aver affrontato un dislivello di 1300 metri in mezzo alla neve
Carlo Budel ha scelto di fare l’oste ad alta quota

Carlo Budel ha scelto di fare l’oste ad alta quota

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Trascorre l’estate sulla Marmolada, a 3.343 metri sul livello del mare. Non è un turista estremo, è un 'oste' estremo per clienti estremi. Carlo Budel, 48 anni, nativo del Feltrino, qualche anno fa ha lasciato un lavoro sicuro in fabbrica per 'riciclarsi' come rifugista. Capanna Punta Penia è sicuramente il luogo più impervio. «Quest’estate è stata la più fredda in assoluto, è sempre nevicato, ad agosto si stava a meno 10, con il vento che soffiava a 120 all’ora », racconta Carlo che dal 6 giugno scorso ha concluso la stagione il 20 settembre. Nonostante il clima tutt’altro che estivo, molte persone sono transitate. «Alcune esperte, altre no – dice –. In questi anni ho visto di tutto, compresa gente con ciabatte e pantaloncini. Eppure io continuo a ripetere che la Marmolada non è per tutti. La via più breve per arrivare da me comporta 1.300 metri di dislivello. Serve l’attrezzatura e serve una buona guida». Dieci posti letto, 57 euro comprensive di cena, notte e colazione, 150 clienti in tre mesi. Una piccola attività economica, che si completa con la stagione invernale nei rifugi a più bassa quota. Ma se la gente affronta escursioni così impe- gnative per raggiungere le nevi perenni della cima della Marmolada, che cosa succederà, visto che il ghiacciaio sta scomparendo? Solo nel 2021 si è ritirato di 6 metri. «Sulla Marmolada c’è un tam tam mediatico, perché è molto conosciuta – afferma il glaciologo Franco Secchieri, autore del libro 'Clima e Ghiacciai-Il caso Dolomiti' (Gilberto Padovan Editore) –, è quindi diventata l’emblema di quanto sta succedendo, e cioè che tutti i nostri ghiacciai delle Alpi dagli anni ’80 sono entrati in una fase di ritiro. Così come tutti i ghiacciai della terra. E la curva di riduzione è esponenziale, si sta alzando parallelamente alla curva della temperatura.

I ghiacciai delle Dolomiti saranno i primi a scomparire perché le montagne non sono molto alte. Quello della Marmolada è ridotto in placche; dall’elicottero si vedono le superfici rocciose di separazione tra una placca e l’altra. Ci vogliono decine e decine di anni perché un ghiacciaio si rimetta in movimento, pertanto la tendenza ora è difficilmente contrastabile. I ghiacciai nascono, vivono e muoiono. Oggi stanno morendo e indietro non si torna ». In Italia ci sono 6.700 chilometri di piste in Italia alcune mantenute grazie agli innevatori e 1.500 impianti di risalita, tuttavia i dati di Legambiente dicono che solo l’11% dei turisti invernali è esclusivamente dedito allo sci da discesa, il 39% pratica sci da discesa più altre attività, il 48% sono non sciatori. «Sulla Marmolada sono già vent’anni che è scomparso lo sci estivo. Il problema non è solo ludico. Stanno cambiando gli habitat. Pertanto, se una volta si andava sul ghiacciaio a sciare, adesso alle stesse quote passeggiamo nei boschi. Ma un cambiamento così radicale che effetto potrà avere sulla salute? Sull’agricoltura? Sulla fauna? Il clima è sempre cambiato, ma oggi è la rapidità del cambiamento che è preoccupante». Ma il turismo non si ferma. Quest’estate e l’estate scorsa, complici anche le restrizioni da Covid, le Dolomiti sono state letteralmente prese d’assalto. E le prospettive invernali sono buone. «Una volta andare in montagna d’inverno senza saper sciare, significava noia. Oggi invece le alternative ci sono e piacciono – racconta Dario Ganz, fondatore del gruppo Facebook DoloMitici, nato nel 2008 e che conta 162mila iscritti –: per esempio, grande successo hanno le ciaspole (racchette da neve, ndr), che permettono di affrontare passeggiate immersi in panorami mozzafiato. Molti rifugi tengono aperto anche d’inverno, perché alcuni sentieri sono fruibili tutto l’anno». La pagina promuove anche progetti contro lo spopolamento della montagna, ma, precisa Dario «molti ci chiedono informazioni sulla pericolosità dei sentieri, questo non ci compete, noi li indirizziamo al soccorso alpino, o al Cai locale, ovvero agli Enti preposti».

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