mercoledì 30 giugno 2021
I progetti per la "carbon capture" si stanno moltiplicando. La Commissione Ue, la Iea e anche l'Onu li sostengono. Gli ambientalisti sono scettici. E l'Eni ha un grande progetto su Ravenna
La corsa globale per catturare e sotterrare la CO2 in eccesso

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Sull’enorme vulcano di Mauna Loa, alle Hawaii, l’istituto oceanografico Scripps misura ogni giorno la concentrazione di anidride carbonica nell’aria. Lo fa dal 1958, quando il chimico Charles David Keeling iniziò questo tipo di misurazione, avviando quella che oggi è la più lunga registrazione diretta della quantità di CO2 nell’aria del pianeta. Inesorabile, il laboratorio hawaiano a maggio ha certificato che l’anidride carbonica in atmosfera ha raggiunto un nuovo record: 419 parti per milione.

Nonostante la pandemia abbia scatenato una crisi economica che ha prodotto (tra i pochissimi effetti collaterali positivi) un taglio del 5,8% delle emissioni globali, la CO2 in circolazione continua ad aumentare. Ci sono essenzialmente due modi per contenere la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera. Il primo è ridurre le emissioni. Il secondo è evitare che l’anidride carbonica emessa resti nell’atmosfera. La grandissima parte dello sforzo mondiale per contenere il riscaldamento climatico è concentrata sul taglio delle emissioni, che è indubbiamente la strategia più efficace. Negli ultimi anni si stanno però anche moltiplicando gli investimenti per progetti di “riassorbimento” dell’anidride carbonica. Non come alternativa alla riduzione della produzione di CO2, ma come soluzione di accompagnamento e di accelerazione della transizione energetica.

La concentrazione dell'anidride carbonica in atmosfera misurata a Mauna Loa, alle Hawaii

La concentrazione dell'anidride carbonica in atmosfera misurata a Mauna Loa, alle Hawaii - Scripps Institution of Oceanography

Come si cattura l'anidride carbonica

Togliere la CO2 dall’atmosfera è quello che gli oceani e gli alberi fanno da sempre. Replicare il loro fantastico lavoro è molto complicato. È dagli anni Settanta che sono iniziate le sperimentazioni di soluzioni di CCUS, sigla che sta per carbon capture, utilisation and storage, cioè cattura dell’anidride carbonica per l’utilizzo o lo stoccaggio. Normalmente l’anidride carbonica viene catturata irrorando con delle ammine fumi di scarico che contengono grandi quantità di anidride carbonica. Le ammine si legano alla CO2 e precipitano al suolo, quindi vengono scaldate e liberano la CO2, che viene catturata e trasportata in condotte o, se liquefatta, in autobotti o navi. La sua destinazione può essere un impianto per riutilizzarla o un deposito: giacimenti esauriti, formazioni saline, miniere di carbone non più sfruttabili, tutti luoghi isolati dall’atmosfera dove l’andride carbonica può essere iniettata e rimanere, spesso in forma solida, per secoli (uno studio pubblicato sulla rivista Nature stima che più del 98% di anidride carbonica stoccata rimarrà dove è stata messa per oltre 10mila anni).

Le tecniche della CCUS inizialmente si sono sviluppate per obiettivi non ambientali. L’anidride carbonica è uno dei gas che l’industria degli idrocarburi utilizza nei processi di “recupero assistito del greggio”: la CO2 catturata viene iniettata in giacimenti già ampiamente sfruttati per smuovere l’ultimo petrolio rimasto nelle rocce e riuscire a estrarlo. Oggi invece i sistemi per la cattura dell’anidride carbonica sono considerati uno degli strumenti da utilizzare per centrare gli obiettivi nella lotta al cambiamento climatico.

Dati International Energy Agency - Infografica Massimo Dezzani

Chi sostiene i progetti di carbon capture

L’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), tra i soggetti che sostiene lo sviluppo di queste tecnologie, elenca diversi casi in cui la CCUS può avere un ruolo centrale. Il primo caso è la riduzione delle emissioni di settori dell’industria pesante per i quali, al momento, non c’è altro modo di ridurre le emissioni. Il ferro, l’acciaio, la carta, il cemento e i fertilizzanti sono alcuni dei prodotti i cui processi produttivi comportano l’emissione di elevate quantità di anidride carbonica, che può essere “catturata”. Il secondo grande impiego della CCUS riguarda alcune delle materie prime della transizione energetica. Nel percorso disegnato dalla Iea per l’azzeramento delle emissioni entro il 2050 hanno un ruolo centrale i carburanti sintetici, il gas naturale e l’idrogeno. Tutte fonti che possono essere “alleggerite”, a livello di emissioni, grazie alla carbon capture. L’anidride carbonica è un ingrediente centrale nella produzione di carburanti sintetici e da qualche parte occorre raccoglierla. Nei giacimenti di gas, al contrario, deve essere rimossa prima di iniziare le attività di estrazione. Nella produzione di idrogeno, il cosiddetto idrogeno blu – quello prodotto a partire da fonti fossili ma con la cattura della CO2 prodotta – oggi ha un costo di circa la metà rispetto a quella dell’idrogeno “verde”, prodotto con energia rinnovabile.

La Iea non è isolata. Sono diverse le organizzazioni internazionali che sostengono la cattura dell’anidride carbonica nello scenario per la transizione energetica. Nell’ormai lontano 2005 l’Ipcc, il gruppo intergovernativo sul riscaldamento globale, in uno studio che ha coinvolto venticinque scienziati è arrivato alla conclusione che la CCUS può essere uno strumento per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni. Anche sulla base di quello studio, la Commissione europea ha inserito le tecnologie carbon capture nella sua strategia energetica. L’Unece, la commissione economica per l’Europa dell’Onu, a marzo di quest’anno ha invitato a un impiego su larga scala di queste tecnologie per permettere la decarbonizzazione dell’industria pesante.

Dati International Energy Agency - Infografica Massimo Dezzani

I 21 impianti operativi e i 30 progetti nuovi

Non è facile pensare a un impiego su vasta scala della CCUS, dal momento che gli impianti oggi operativi sono ancora pochi. Nel mondo sono 21 – quasi tutti in Nordamerica – capaci di catturare complessivamente 40 milioni di tonnellate di anidride carbonica all’anno (più o meno lo 0,1% delle emissioni annue globali). Il decano dei “cacciatori di CO2” è l’impianto di Val Verde, in Texas,
attivo fin dal 1971 a servizio dell’industria petrolifera. Gli impianti europei sono due, entrambi in Norvegia: uno di questi, quello
di Sleipner, è uno dei più grandi al mondo. Collegato a un giacimento di gas in mare ha già iniettato 20 milioni di tonnellate di anidride carbonica in un “acquifero salino”.

I costi per la cattura e lo stoccaggio sono molto variabili. Vanno dai circa 15-25 dollari per tonnellata di anidride carbonica in processi in cui c’è un’elevata concentrazione di CO2, come la produzione di etanolo o l’estrazione di gas naturale, a 40-120 dollari a tonnellata per gli impianti legati alla produzione di cemento o di energia elettrica. La cattura della CO2 direttamente dall’aria è attualmente la tecnica più costosa. Sono prezzi elevati ma già oggi il costo di una tonnellata di emissioni sul mercato europeo ETS è di oltre 50 euro. Le previsioni sono per valori oltre i 100 euro già nel 2030.

Con l’accelerazione del cammino verso l’obiettivo emissioni zero i progetti per la cattura della CO2 si stanno moltiplicando. Dal 2017 sono stati annunciati piani per 30 nuovi impianti, che potrebbero portare la cattura mondiale di CO2 a 130 Mt all’anno. In Europa, oltre alla Norvegia, sono molto avanti i Paesi Bassi e il Regno Unito: a maggio il governo olandese ha stanziato 2 miliardi di euro per realizzare il più grande impianto al mondo di CCUS nel porto di Rotterdam, Londra ha dedicato alla cattura della CO2 uno
dei 12 miliardi previsti per il suo piano verde.

Un impianto sul giacimento di Sleipner, in Norvegia

Un impianto sul giacimento di Sleipner, in Norvegia - Harald Pettersner, Equinor

Il progetto di carbon capture di Eni a Ravenna

Anche l’Italia si sta muovendo. L’Eni sta partecipando a progetti di CCUS nel Regno Unito, in Norvegia, in Libia e negli Emirati. Ha intenzione di costruire al largo di Ravenna il più grande centro di stoccaggio di anidride carbonica al mondo. I giacimenti di gas naturale esausti nel mare della Romagna, a 4mila metri di profondità, potrebbero contenere fino a 500 milioni di tonnellate di anidride carbonica, stima l’azienda. Il piano sarebbe quello di raccogliere la CO2 delle attività di Eni - che qui a Ravenna vorrebbe produrre idrogeno blu - ma anche di altre industrie della Pianura Padana e depositarla sottoterra.

Per ora il progetto è a livello di ingegneria: Eni sta valutando costi e tempi, con il vantaggio di potere contare su giacimenti che conosce molto bene. Per diverse settimane il progetto dell’Eni sembrava essere tra quelli a cui potevano essere destinate le risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Alla fine non se n’è fatto nulla, soprattutto per l’opposizione degli ambientalisti.

I dubbi degli ambientalisti

In un’analisi pubblicata a maggio insieme al gruppo di ricerca Energia per l’Italia, il Wwf ha definito la CCUS «una soluzione marginale nelle strategie di decarbonizzazione sulla quale non è opportuno indirizzare risorse pubbliche». «Io 10-15 anni fa ero la più aperte allo sviluppo di questa tecnologia, poi alcune cose mi hanno fatto cambiare idea – dice Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del WWF Italia –. Molti progetti si sono fermati alla fase sperimentale, gli economisti dell’energia hanno parlato di un sogno che si è tramutato in un incubo, in Italia è stata fatta una sperimentazione a Brindisi di cui non sa più nulla… Temiamo che si finisca per perdere tempo, spendendo tanti soldi senza arrivare da nessuna parte».

Per molti ambientalisti, WWF compreso, le società petrolifere puntano sulla carbon capture come sistema per tenere in circolo i combustibili fossili. Fonti di Eni respingono questo approccio: «Dal 2014 abbiamo avviato un percorso di decarbonizzazione per arrivare a emissioni zero entro il 2050. Abbiamo un approccio olistico, che sfrutta tutti gli strumenti a disposizione. Dall’energia rinnovabile all’efficienza energetica e con sistemi per il riassorbimento delle emissioni, che comprendo la protezione delle
foreste e anche la CCUS per quelle emissioni che non possono essere evitate. Altrove stanno accelerando sui progetti di carbon capture, sarebbe un peccato che l’Italia perdesse questa occasione per ostilità ideologiche».

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