mercoledì 22 febbraio 2023
Per l'ambasciatore italiano in Albania, Fabrizio Bucci, l'ingresso del Paese nell'Ue sarà un'occasione anche per le impres italiane
Quelli che hanno scoperto Lamerica: «L’Albania ora si merita l’Europa»
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«L’Albania, per me, è la ventunesima regione italiana. E quando farà parte dell’Unione Europea sarà per l’Italia una testa di ponte verso i Balcani occidentali. Cioè un mercato da quasi 30 milioni di abitanti». Fabrizio Bucci, ambasciatore italiano in Albania, non ha dubbi. Nella luminosa sede dell’ambasciata a Tirana, in rruga Papa Gjon Pali II, Bucci racconta perché il via libera ai negoziati di adesione all’Unione Europea del 19 luglio scorso costituisce «un’occasione imperdibile, per noi e per loro. Perché questo è un Paese che ha tantissime potenzialità. E la cooperazione ha un ruolo importantissimo».

«Italia e Albania – spiega l’ambasciatore italiano a Tirana – condividono una storia millenaria. Nel 44 A.C. Ottaviano Augusto seppe dell’assassinio dello zio Giulio Cesare qui in Albania, ad Apollonia, centro di studi mediterraneo. Nel 1.400 gli albanesi in fuga dagli ottomani arrivarono in Calabria e Sicilia. E i loro discendenti, gli arbereshe, ancora oggi riescono a intendersi con gli albanesi contemporanei. Anche se è come se oggi ci parlasse Dante Alighieri... A Cosenza c’è il loro Eparca, sono cattolici di rito orientale. Insomma, Italia e Albania hanno sempre avuto rapporti. Perfino nell’era stalinista di Enver Hoxha».

L’Italia, dopo il crollo di quel regime nel ‘91, è stata meta per tanti emigranti. Gli albanesi in Italia oggi cosa fanno?

Oggi ce ne sono 700 mila, molti col doppio passaporto. È la seconda comunità straniera in Italia. Ma i giornali, diversamente che in passato, ne parlano poco, perché sono ben integrati: imprenditori, medici, architetti. Sono circa 50 mila le aziende di albanesi. Si sono affermati anche nell’arte. Vede questo quadro qui nel mio ufficio? Acciaio e smalto blu, è opera di Helidon Xhixha, artista di Durazzo. Da ragazzo salì sulla Vlora con migliaia di connazionali. Sbarcò a Bari senza nemmeno le scarpe. Lavorando e studiando si è diplomato a Brera. Oggi ha lo studio vicino Novara, torna spesso in patria, ha esposto agli Uffizi e alla Biennale di Venezia, la moglie ha una galleria a Dubai. Una bella storia di integrazione e successo. L’immigrazione può portare benefici sia al Paese che la genera che al Paese che la riceve. Poi c’è anche una piccola minoranza dedita al crimine, ma abbiamo gli strumenti per combatterla.

Dopo l’implosione del regime, la cooperazione italiana ha portato aiuti di emergenza. Poi infrastrutture: ospedali, strade, acquedotti. Ora che il Paese ha uno sviluppo economico importante, ma disordinato, qual è il supporto dell’Italia?

Ci siamo fatti carico dell’Albania più di tutti e prima di tutti. Arrivai a Tirana da giovane diplomatico nel 1992 e ogni giorno a Durazzo arrivavano mercantili italiani di generi alimentari e medicinali. Fino al 1993 abbiamo letteralmente sfamato l’Albania che sembrava uscita da una guerra. L’Italia ha accompagnato questo Paese in un percorso trentennale. E nel 2019, quando sono tornato, ho trovato una nazione irriconoscibile: Tirana ha un milione di abitanti, infrastrutture e palazzi moderni. Ma questa crescita ha avuto i suoi costi: come spesso accade nelle democrazie post-regime, buona parte della popolazione non ha goduto dello sviluppo. Il reddito annuo medio pro capite è attorno ai 5.500 euro, gli stipendi 4 o 500 euro, le pensioni 100. La ricchezza è stata ridistribuita in maniera ineguale. La democrazia è in fase di consolidamento, un cantiere aperto.

L’Albania il 19 luglio 2022 ha avuto finalmente il via libera ai negoziati di adesione all’Unione Europea...

Sì, e la Commissione Europea ha stanziato per i sei Paesi dei Balcani occidentali fondi europei di preadesione: solo per connettività e infrastrutture 9 miliardi di euro. L’economia deve crescere perché aumenti il gettito fiscale e ci siano più fondi per lo stato sociale. Ma noi nel frattempo stiamo intervenendo in settori delicati: imprenditorialità giovanile e femminile, equilibrio di genere contro la discriminazione femminile. Con lo Iadsa sosteniamo iniziative sui territori. Senza dimenticare il ruolo fondamentale dei tanti ordini religiosi italiani presenti qui: due o trecento missionari che animano scuole, mense, orfanotrofi.

L’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (Aics) nei Balcani Occidentali, guidata da Stefania Vizzaccaro, l’anno scorso ha investito in Albania 243 milioni di euro in 36 progetti. Soprattutto nell’area culturale, per rafforzare i valori europei di democrazia, diritti umani, convivenza religiosa. La cooperazione italiana sostiene il progresso sociale?

È così. Con le ong, ad esempio, lavoriamo molto anche sui diritti di genere. Se dal punto di vista normativo l’Albania ha recepito tutte le direttive europee in tema - su 15 ministri del governo, 12 sono donne – nelle aree montuose sembra di stare nell’Italia degli anni ‘30. Ci vorrà tempo, ma il percorso è segnato e io sono fiducioso.

L’ingresso nell’Ue quindi è l’occasione preziosa per “costringere” l’Albania a fare il salto di qualità?

È il punto centrale. L’Italia ne ha sempre sostenuto l’ingresso nell’Ue. Ora Tirana è guidata da Bruxelles per il processo di recepimento di norme, procedure, regolamenti, standard europei. E si comincerà con la giustizia, la libertà di stampa, i diritti. I tecnici Ue stanno radiografando tutte le leggi, il Parlamento dovrà riformarle, da qui a una decina d’anni. Ma non si discute più se l’Albania farà parte dell’Ue, ma quando. L’Ue, prima di essere un mercato da mezzo miliardo di consumatori - che offre finanziamenti per infrastrutture e crea libertà di movimento per le persone, le merci, i servizi - è una comunità di principi e di valori democratici.

Quali sono i rapporti economici tra il nostro Paese e l’Albania?

L’interscambio tra Italia e Albania vale quasi un terzo di tutto l’interscambio albanese col mondo. Cioè il 20% di tutto il Pil dell’Albania, 3 miliardi di euro. Siamo il primo fornitore e il primo cliente. Qui ci sono 2.600 aziende italiane, la metà di tutte le aziende internazionali. Questo Paese è un pezzo di Italia. E c’è ancora tanto interesse di aziende italiane.

Perché investire in questo piccolo Paese?

Perché adesso comincia un’altra storia, quella dell’ingresso dell’Albania nell’Ue. Questo piccolo Paese può diventare per l’Italia la porta per verso i Paesi dei Balcani occidentali, con una popolazione che tra qualche anno raggiungerà i 30 milioni: Serbia, Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Macedonia, Montenegro. L’Ue ha stanziato per questi sei Paesi complessivamente quasi 30 miliardi di fondi di pre-adesione. Investirà soprattutto su le infrastrutture, i collegamenti ferroviari e stradali, le reti energetiche e i servizi digitali. Attraverso i Balcani passano le reti che portano energia da Est, dall’Azerbaijan verso il Mediterraneo. Il Tap passa in Albania. E altri gasdotti sono in progetto. Con queste reti, avere base in Albania significa essere presenti ed esportare in tutti i Paesi della regione. È una grande occasione. Tra 10 anni questa sarà una nazione europea. Io scherzando dico spesso che in Albania gli americani siamo noi. Nessuno qui fa quello che fa l’Italia. Siamo un paese leader e di riferimento. E qui c’è molta voglia di Italia.

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