mercoledì 1 febbraio 2023
Riuscire a prelevare le ingenti quantità di acqua sotterranea potrebbe allontanare nuovi conflitti. Già oggi 153 Paesi condividono queste risorse E non mancano intese modello
Il futuro in una falda: dall'acqua può rinascere la cooperazione
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«Chiare, fresche et dolci acque», canta l’immortale verso petrarchesco. Ma in realtà, l’acqua dolce che più conterà per la vita sulla Terra resta nascosta in sottosuoli oscuri. Tanto che una delle maggiori sfide del secolo consisterà nel rendere visibili proprio queste risorse, anche quando si trovano alle frontiere fra più Stati, rischiando di provocare tensioni crescenti. Del resto, si intitola proprio «Groundwater: making the invisible visible» la campagna internazionale sotto l’egida dell’Onu che è appena culminata nel primo vertice internazionale sulla questione, tenutosi a Parigi presso l’Unesco. In tutto, circa il 99 per cento dell’acqua dolce planetaria allo stato liquido è sotterranea e la sfida di prelevarla diverrà ancor più inevitabile, dato che il bisogno d’acqua dovrebbe crescere di circa l’1 per cento l’anno nel prossimo trentennio. Anche l’agricoltura e l’industria, accanto ovviamente alle città grandi e piccole, restano assetate d’acqua sotterranea. Tanto per i diritti umani più elementari, quanto per l’economia, si tratta di una questione vitale. Concretamente, la comunità internazionale cerca di trasformare i bacini d’acqua sotterranea ai quattro angoli del pianeta in un fattore di progresso, di sviluppo, di cooperazione e di pace, anche per allontanare quanto più possibile lo spettro di future “guerre dell’acqua”. Di fatto, ciò permetterà pure di contrastare gli effetti del cambiamento climatico, che sta già riducendo l’acqua dolce disponibile in superficie, accrescendo dunque la dipendenza dell’umanità rispetto ai bacini del sottosuolo. Si pensi al caso dell’Africa subsahariana, dove le falde acquifere restano largamente non sfruttate. Qui, solo il 5 per cento dei sistemi d’irrigazione utilizza acqua sotterranea. Eppure, nella regione, circa 400 milioni di persone non hanno ancora accesso a servizi igienici di base. La posta in gioco è già oggi cruciale nelle aree rurali, spesso non raggiunte da condutture idriche e dunque in gran parte obbligate a ricorrere a pozzi ed altre infrastrutture per attingere acqua sottoterra. Per il momento, proviene dal sottosuolo circa la metà dell’acqua prelevata per usi domestici su scala mondiale. Ben 153 Paesi condividono acqua sotterranea con almeno un vicino. E in Europa, Africa e nelle Americhe, non pochi esempi di cooperazione dimostrano già che è possibile evitare future guerre dell’acqua. Si pensi all’accordo stretto fra Senegal, Gambia, Mauritania e Guinea Bissau nel 2021, quando i quattro Stati dell’Africa occidentale, nel corso di una conferenza ministeriale giunta dopo un ciclo di consultazioni regolari cominciate nel 2019, hanno deciso di includere l’acqua sotterranea in un precedente accordo di cooperazione a proposito dell’acqua dolce di superficie. Sempre in Africa, ma nell’emisfero australe, un altro patto promettente di cooperazione è stato siglato fra Sudafrica, Namibia e Botswana. «Vogliamo cooperare per condurre valutazioni e studi condivisi, come base per cercare di cooperare in tutti gli aspetti riguardanti la gestione dell’acqua», ha dichiarato a Parigi Kefentse Mzwinila, ministro per le Terre e l’Acqua del Botswana, a proposito del sistema acquifero Stampriet-Kalahari. Nel continente americano, un’analoga convergenza fruttuosa ha riguardato il trio Guatemala, El Savador e Honduras. Sempre nell’America Latina, è un esempio di cooperazione spesso citato pure la gestione, fra Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay, del sistema acquifero Guaranì, una delle riserve d’acqua dolce più importanti del pianeta. L’accordo venne firmato già nel 2010, fungendo da apripista su scala internazionale. In Europa, fra le cooperazioni virtuose più studiate, figura quella fra Svizzera e Francia, attorno alle risorse sotterranee nell’area attorno a Ginevra. Fra i progetti nel nostro Paese, invece, attira l’interesse internazionale la gestione del sistema acquifero della pianura di Sant’Alessio (Lucca), in corrispondenza del fiume Serchio. Le cooperazioni istituite a livello locale permettono la gestione sostenibile di un bacino che disseta 300mila persone fra le province di Lucca, Pisa e Livorno.

La tecnica per captare l’acqua è la cosiddetta filtrazione golenica indotta: in pratica, si tratta di predisporre pozzi a prossimità di un bacino d’acqua, in modo da sfruttare la filtrazione dell’acqua operata in modo naturale dalle sponde di laghi e fiumi. Ciò permette generalmente pure di ridurre la carica di virus, batteri e altri agenti patogeni presenti nell’acqua. In Europa, si tratta di una tecnica molto impiegata soprattutto in Germania, come nel caso di buona parte dell’acqua che si beve a Berlino. In tutti questi casi, fra le poste in gioco cruciali, spicca uno sfruttamento condiviso e sostenibile delle risorse, proteggendole pure dalle fonti d’inquinamento. In proposito, per il momento, lo scenario globale è piuttosto incoraggiante, dato che la qualità delle acque sotterranee è generalmente buona. Per salvaguardarne la potabilità, dunque, non occorrono trattamenti molto avanzati. In un sistema planetario in cui tante altre risorse paiono sottoposte a una pressione elevatissima d’origine umana, le acque sotterranee rappresentano invece ancora una risorsa abbondante, anche se occorreranno dappertutto investimenti ingenti per accrescere le conoscenze in vista di un prelievo efficiente e sostenibile. «Ci sono grandi lacune nelle nostre conoscenze», ha riconosciuto Steffi Lemke, ministra tedesca dell’Ambiente, intervenendo alla conferenza in Francia. Da parte sua, la collega sudcoreana, Han Wha-jin, ha sottolineato che «si tratta di un asset fondamentale per sviluppare le attività industriali». Nizar Baraka, titolare in Marocco del portafoglio per le Infrastrutture e l’Acqua, ha osservato: « Possiamo vincere questa sfida solo assieme, adottando un’etica della responsabilità». Ma per Calle Schlettwein, ministro namibiano dell’Agricoltura, «occorrono investimenti pubblici e privati a ogni livello ». In generale, nel continente africano, si tratta di una delle grandi sfide odierne: «L’acqua sotterranea è la principale e spesso la sola acqua per più del 75 per cento della popolazione africana», ha ricordato a Parigi Serigne Mbaye Thiam, ministro senegalese per l’Acqua. Proprio a Dakar, lo scorso marzo, è stato approvato, sotto l’egida dell’Onu, un “Blue deal” che ha ribadito le grandi linee guida per i prossimi decenni, legate anche all’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Fra le priorità, vi è la creazione di banche dati sull’acqua più dettagliate, aggiornate e condivise su larga scala: una tappa importante nel quadro di accordi di gestione al plurale, anche in modo da consentire sempre alle risorse idriche di ricostituirsi. La comunità internazionale ha dunque un’enorme opportunità da cogliere. La disponibilità d’acqua sotterranea e la necessità di condividere le conoscenze per sfruttarla possono rappresentare un fattore di pace altamente simbolico in un secolo che, al contrario, molti analisti prevedono costellato da tensioni potenziali.

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