A bordo delle lance, sugli affluenti del Rio delle Amazzoni, è possibile raggiungere il villaggio indigeno di San Martin, in Colombia - Orsola Bernardo
Per gli indigeni la foresta è la madre selva ma il suo mondo sembra impenetrabile per chi viene da fuori, ci vogliono punti di avvicinamento, varchi d'ingresso. La comunità di San Martìn di Amacayacu è uno di questi. Dopo tre ore di navigazione sulle acque argillose del Rio delle Amazzoni e poi del suo affluente, il Rio de Amacayacu, tra mangrovie secolari e, se si è fortunati, le capriole dei delfini rosa, il villaggio indigeno di San Martìn accoglie il visitatore in sentieri erbosi e case dove sulle pareti c'è chi ha dipinto giaguari, tucani, donne e metamorfosi, figure mitiche delle tradizioni. Siamo nel lembo più meridionale della Colombia che qui incrocia i confini di Perù e Brasile, nel cuore del parco nazionale di Amacayacu, dove le comunità indigene hanno iniziato da qualche anno ad aprirsi all'ecoturismo. I Ticuna – il gruppo etnico più numeroso – organizzano camminate esplorative, raccontano storie locali, spiegano con grazia le proprie tecniche agricole o ittiche, gestiscono strutture ricettive dove si cucinano pesci di fiume, come avviene nelle colazioni dell'ostello Kowapana.
Una donna fa il bucato sull'argine del Rio de Amacayacu - Orsola Bernardo
«Lontano dalla selva noi ci sentiamo sradicati, siamo felici che i popoli non indigeni conoscano il nostro legame totale con la natura», racconta Florentino Orozco Gregorio, una delle guide locali e attivista del Mais - Movimento Alternativo Indìgena Y Social, mentre cammina tra i rigonfi tronchi di ceiba dentro la selva primaria. Ma c'è anche altro. I Ticuna sono un popolo transnazionale, che vive in tre Paesi sudamericani su ambo i margini del Rio delle Amazzoni. «Se rimaniamo isolati siamo più vulnerabili, se ci facciamo conoscere abbiamo più forza», spiegano gli abitanti del luogo che producono e vendono ai visitatori artigianato. Per loro, come per le altre ventisette etnie indigene dell'area, l'accoglienza turistica è anche una forma d’affermazione della propria esistenza. Il governo colombiano divide la popolazione in sei fasce di reddito e gli indigeni sono classificati fra i nullatenenti che dovrebbero beneficiare del welfare di Stato. Ma ciò non avviene, le circa cinquanta comunità della zona sono costantemente trascurate dalle autorità di turno del dipartimento dell’Amazzonia colombiana e del municipio di Leticia, il capoluogo. Quello della selva è un mondo anche acquatico dove le famiglie si spostano in barca lungo sinuosi affluenti, popolati dai più variopinti uccelli e pesci. E dove il cambiamento climatico sta creando fenomeni di piena e di secca sempre più estremi. In alcuni tratti, gli argini stanno smottando e i villaggi lungo il fiume devono arretrare.
Il centro "Salud para la Paz" in fase di completamento - Orsola Bernardo
«Dobbiamo ringraziare l'iniziativa della solidarietà internazionale per le poche infrastrutture che siamo riusciti a realizzare », continua Florentino. A San Martìn de Amacayacu l’energia si alimenta coi pannelli solari installati dopo l’interessamento di due visitatori spagnoli, l'acqua potabile s’ottiene grazie alla depurazione delle riserve piovane sui tetti, avviata col sostegno dall'Eu. E c'è anche la presenza italiana. Presto sarà aperto l'ambulatorio medico “Salud para la Paz”, progetto ideato dalla onlus Kenda con il contributo della Regione Puglia e delle raccolte fondi private. A creare le connessioni con Kenda è stato il parroco di San Sabino, don Angelo Cassano, oggi referente di Libera Puglia e che in passato, racconta, aveva avuto modo di visitare San Martìn e avviare qual-che primo piccolo intervento. «La dimensione spirituale è molto forte tra gli indigeni dell’Amazzonia e loro desideravano una nuova chiesa, ma ciò non era possibile col nuovo progetto che potevamo finanziare. Allora, dialogando, abbiamo deciso di realizzare un centro medico, capace di essere anche luogo di cultura ». Nella struttura si potrà dispensare la medicina istituzionale, grazie ai dottori inviati dall’Università di Leticia per il periodo di praticantato rurale. E ci sarà una stanza dove gli anziani di San Martìn praticheranno la medicina tradizionale, coi farmaci naturali della selva. Il centro farà da raccordo per le varie comunità dell’area, anche quelle del confinante Perù sull’altra sponda del Rio delle Amazzoni. Spiegano Mara Ferrara e Silvia Ernesto, presidente e socia cooperante di Kenda: «Oltre alle cure mediche generali, si provvederà alle punture da animali velenosi e ai rari casi di malaria e di dengue».
All'inaugurazione manca poco, le maestranze continuano a lavorare, intanto è già funzionale una barca, fornita sempre col progetto di Kenda, che accompagna i pazienti al primo piccolo ambulatorio disponibile, sullo scalo fluviale di Puerto Nariño, mentre il primo vero ospedale si trova nella lontana Leticia. In mezzo al villaggio di San Martìn de Amacayacu si erge imponente la maloka, il costrutto tradizionale che un tempo serviva da abitazione collettiva della comunità e che oggi è il luogo di ristoro nelle ore più assolate. Sotto il suo tetto di paglia ogni domenica si tengono i circuli de la palabra, dove le ottocento persone della comunità tirano fuori fino all'ultimo dubbio, per esempio: come gestire al meglio il nuovo ambu-latorio di Salude para la paz? Come aprirsi all'accoglienza dei turisti, senza squilibrare la propria armonia fondata su agricoltura e pesca? Quest’angolo della Colombia nei decenni è rimasto lontano dalla guerra civile delle Farc e oggi non è toccato dalle violenze del gruppo dissidente Emc che continua a tenere sotto assedio gli indigeni nei dipartimenti più a nord di quello amazzonico, dopo essersi rifiutato di sottoscrivere i trattati di pace del 2016, firmati dalle ex Forze Armate Rivoluzionarie. Così come intorno a San Martìn de Amacayacu non si percepisce la presenza del narcotraffico, andato scemando lungo i confini porosi tra Perù e Colombia con la fine dell’impero di Escobar.
Nella giungla sul lago Tarapoto in passato i narcos avevano aperto una pista aerea per i loro traffici ma, raccontano gli indigeni, lo spazio è stato bombardato dall’esercito durante la guerra ai cartelli locali. Oggi la spianata ospita Altamira, detto il paese delle chicas, perché ricca di donne. Alcune di loro sono impegnate a disputare un torneo di pallone, organizzato per l’anniversario della fondazione della comunità. Una signora offre ciotole di masato, bevanda di yuca fermentato, acidula, salina e dissetante. È un segno d’ospitalità anche per chi approda a conoscere la loro esistenza in osmosi col creato.