mercoledì 13 dicembre 2023
La guerra degli anni Novanta ha lasciato fratture profonde e poche opportunità. Cresce però l’impegno delle associazioni locali per fare della formazione e dei finanziamenti un veicolo di sviluppo
Momenti di formazione per i ragazzi con la Ong Cod Jayce: l’organizzazione bosniaca è attiva per sostenere percorsi di riconciliazione e offrire opportunità lavorative ai giovani

Momenti di formazione per i ragazzi con la Ong Cod Jayce: l’organizzazione bosniaca è attiva per sostenere percorsi di riconciliazione e offrire opportunità lavorative ai giovani

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Jajce è una cittadina di 30mila abitanti nel cuore della Bosnia Erzegovina, incastonata su una collina, circondata dai boschi e attraversata da due fiumi che si uniscono ai suoi piedi. È conosciuta soprattutto per un’attrazione turistica principale, una cascata alta più di venti metri che si apre all’improvviso tra gli edifici, a pochi passi dal centro storico. A un primo sguardo, Jajce appare come un luogo incantato. Bisogna scavare più in profondità per constatare che in questa piccola cittadina si giocano sfide sociali ed economiche che riguardano tutta la Bosnia Erzegovina. La guerra fratricida che segnò tutto il Paese negli anni Novanta colpì direttamente anche Jajce: i bombardamenti, la distruzione, le fratture tra bosgnacchi, croato-bosniaci e serbo- bosniaci, i tre popoli che fino a quel momento avevano convissuto pacificamente sullo stesso territorio. Trent’anni dopo, Jajce sta ancora pagando i conti del conflitto. La disoccupazione tocca picchi del 45%, la corruzione è diffusa, le divisioni etniche vengono continuamente alimentate da una politica che spesso punta sul nazionalismo per ottenere più voti. Il risultato più visibile è uno spopolamento continuo del territorio, con giovani e famiglie che lasciano la propria terra per cercare fortuna altrove.

A raccontare con lucidità la situazione è Samir Agiæ, un volto conosciuto a Jajce. Alle spalle studi di pedagogia e un periodo passato in Germania, poi la decisione di tornare nella sua città natale. Oggi è il responsabile di Cod Jajce, una Ong che agisce soprattutto per portare riconciliazione lì dove la guerra ha lasciato profonde ferite e per dare opportunità ai giovani. L’associazione vive soprattutto grazie alla partecipazione a bandi europei, alle donazioni e a qualche finanziamento internazionale o locale. « Dopo un conflitto, non è sufficiente che la pace venga imposta dall’alto, deve coinvolgere tutta la società civile», dice Samir mentre camminiamo per le strade della sua città. Poi si ferma e racconta qualche aneddoto sulle vie, sugli edifici, sulla storia. «Vorrei che i miei figli avessero la possibilità scegliere se rimanere qui e non fossero costretti ad andare via per forza» dice ancora. Anche per questo con la Ong Cod ha fondato un “business center”, un centro per lo sviluppo di nuove attività imprenditoriali, un tentativo di abbattere il tasso di disoccupazione. Funziona così: grazie a specifici finanziamenti, viene data ai giovani la possibilità di sviluppare una propria attività, con un accompagnamento e un incoraggiamento da parte della Ong. Dal 2016, anno di nascita del centro, le startup avviate sono state più di 38: è un modello che funziona, tanto da essere esempio anche per altri territori. « Il progetto è nato come risposta della società civile alla grande emigrazione particolarmente intensa negli ultimi anni spiega Agiæ –. Moltissimi giovani sono disoccupati, l’educazione scolastica non tiene conto delle esigenze dal mercato del lavoro. Si finisce di studiare e si aspetta di essere chiamati da qualche grande azienda, magari dell’ex Jugoslavia. Noi abbiamo provato a invertire la rotta, prima ci siamo formati e poi abbiamo aperto percorsi per incoraggiare le persone a essere creative e libere e tanto coraggiose da far nascere una propria attività». I primi cinque progetti pilota sono partiti otto anni fa grazie anche ad alcuni fondi del governo britannico, spiega ancora Samir, «e sono stati di successo. Una ragazza ha fondato un’attività come fiorista e ha lavorato molto per allestire matrimoni, un altro ha aperto un’agenzia turistica, un altro ancora ha iniziato a produrre mobili».

Dopo un anno, le autorità locali hanno deciso di dare al “business center” una sede e di stanziare un finanziamento annuale. « Da quel momento il numero di startup è cresciuto moltissimo, è stato un risultato scioccante per una piccola cittadina come la nostra». Oggi la Ong emette dei bandi che permettono ai giovani di candidarsi e proporre una loro idea imprenditoriale o di essere coinvolti in tirocini, con una particolare attenzione alle categorie marginalizzate. L’ultima call è stata ad esempio per lavoratrici interessate a sviluppare progetti di economia circolare e protezione del territorio e riceverà finanziamenti anche dal governo sloveno. «Siamo ancora nella fase di selezione, potremo avviare cinque progetti ma le candidature che abbiamo ricevuto sono molte di più. È una buona notizia, significa che le persone hanno voglia di mettersi in gioco». Quali sono le sfide principali per il business center? «I fondi non sono sufficienti per fare tutto quello che le persone vorrebbero realizzare. Il contributo iniziale locale va dai 3mila ai 5mila euro e il feedback di tanti imprenditori è che se avessero un maggiore appoggio potrebbero fare molto di più e offrire possibilità anche ad altri ragazzi e ragazze. Ora stiamo lavorando con il governo locale per ottenere nuovi fondi da destinare alle startup già avviate, che hanno bisogno di espandersi. Ci piacerebbe poi andare al ministero dell’Educazione e proporre un rinnovamento del sistema scolastico ma questo è molto complicato, l’agenda educativa è la stessa da vent’anni e l’approccio è conservatore. In generale, è demotivante la situazione politica di tutto il Paese, spesso si alimentano le divisioni interetniche per avere consensi e questo è un ulteriore elemento che spinge le persone ad andarsene».

Buona parte del lavoro dell’associazione Cod si concentra proprio sulla riconciliazione: attività con i bambini di famiglie con background religiosi o culturali diversi, opportunità di gioco, studio delle lingue. Un approccio che non è apprezzato da tutti. «Ci è capitato di trovare le serrature dei nostri uffici bloccate e di essere osteggiati – racconta ancora Samir –. Noi siamo pochi, le cose da fare sono molte e l’emigrazione colpisce anche la nostra realtà, ci sono colleghi con molte competenze che a un certo punto sono costretti ad andarsene perché le condizioni di vita per la propria famiglia non sono più sostenibili. Sono sempre scelte difficili. I giovani sono legati alla propria terra e all’inizio sono motivati a rimanere, poi però arrivano le fatiche concrete e reali». Eppure le attività dell’associazione vanno avanti e attirano in questa piccola cittadina anche giovani dall’estero. «Si alternano diverse visite, a volte vengono a trovarci anche le scolaresche. In questo momento ospitiamo due ragazze tedesche, gestiscono corsi di lingua e ci aiutano con le attività per i bambini». Un legame più profondo sta nascendo anche con l’Italia: «Stiamo lavorando per essere accreditati tra le realtà dove i giovani italiani possono venire per fare servizio civile».

Mentre Samir conclude il suo racconto, arriviamo di fronte alle cascate. C’è un parapetto che permette di affacciarsi direttamente sull’acqua e a pochi passi c’è un altro edificio importante, il museo dell’Avnoj. Fu il luogo in cui nel 1943 si riunì il Consiglio antifascista di liberazione della Jugoslavia e dove si misero le basi per il futuro Stato jugoslavo, un ulteriore elemento che rese famosa la cittadina. Tracce di passato, segni della guerra e sfide per il futuro, a Jajce tutto è racchiuso in pochi metri quadrati.

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