mercoledì 31 maggio 2023
Le considerazioni finali del governatore della Banca d'Italia, che a novembre completerà il suo secondo mandato di sei anni
Ignazio Visco, governatore della Banca d'Italia

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L’ultimo Ignazio Visco ha il sapore, inevitabile, del lascito. Dopo 12 anni in cui ha scrutato il Paese dall’osservatorio monetario di via Nazionale e ha visto l’inflazione tornare in doppia cifra, il governatore della Banca d’Italia legge le sue ultime “Considerazioni finali” e consegna una serie di messaggi forti su lavoro, conti pubblici (che non ammettono deroghe), Pnrr e demografia.

Trascorsi due mandati (il massimo possibile, lascerà a ottobre), il banchiere napoletano si appresta a congedarsi da un Paese che ha visto l’economia trovare una «rinnovata vitalità» e rafforzarsi anche più del previsto in questi 2-3 anni, malgrado il Covid e l’invasione dell’Ucraina (e non solo grazie ai sussidi pubblici), ma dove la precarietà e il lavoro mal pagato e di qualità medio-bassa continuano a farla da padroni. Mortificando proprio quei giovani ai quali, «meno condizionati dal passato» come sono, spetta «immaginare quel mondo» nuovo che ci attende, con le relative opportunità.

Per questo, davanti alla platea tornata a comprendere, dopo la parentesi della pandemia, i vertici del sistema economico (incluso il suo predecessore, ed ex premier e presidente Bce, Mario Draghi) Visco abbandona per una volta gli altolà sul rischio di una spirale salari-prezzi che non deve innescarsi: sottolinea anzi che finora «si è mantenuto moderato» e che, al contrario, nel 2022 la crescita delle retribuzioni è rimasta «nettamente inferiore all’inflazione», quindi con perdita del potere d’acquisto. Soprattutto, però, il governatore si schiera con nettezza mai vista a favore del salario minimo che, purché «definito con il necessario equilibrio, può rispondere a non trascurabili esigenze di giustizia sociale». Perché «la quota di giovani che dopo 5 anni ancora si trova» impelagata in lavori a termine «resta prossima al 20%». Decisamente troppo. Inoltre la flessibilità introdotta negli anni, a robuste dosi, nel mercato del lavoro non è stata «accompagnata da investimenti tecnologici adeguati», e quindi «la qualità del capitale umano è ancora insufficiente».

Un fenomeno, quello del lavoro sottopagato, che va pressoché di pari passo con quello della denatalità, vera “bomba” potenziale che insidia anche la tenuta dei conti pubblici. Perché nel 2040 la popolazione tra i 15 e i 64 anni si ridurrà di oltre 6,5 milioni di persone e un recupero dai livelli «particolarmente bassi del 2021» darebbe effetti «solo nel lunghissimo periodo». Nel frattempo, un contributo potrà venire dalla permanenza al lavoro oltre i 64 anni, assieme a quel lavoro femminile da noi ancora troppo basso. Ma non basta e servirà anche un «aumento del saldo migratorio», oltre il valore di 135mila unità l’anno previsto dall’Istat per i prossimi decenni.

Come da tradizione, il “numero uno” di Bankitalia non entra direttamente nelle questioni politiche. Ma il suo richiamo sul salario minimo ha il suono di un monito anche al governo Meloni, che contro di esso si è sempre schierato. E non è l’unico. L’annotazione più evidente è sul Pnrr, di cui Visco ricorda che rimane «un raro tentativo» per «definire una visione strategica per il Paese». Annota che «miglioramenti sono possibili», come chiede la maggioranza, ma ricorda che «bisogna tenere conto del serrato programma concordato con le autorità europee». Insomma, «non c’è tempo da perdere», anche per completare le riforme necessarie. In Italia come in Europa, dove Visco ricorda che «darebbe maggiore stabilità all’unione monetaria la gestione a livello europeo di una parte delle passività già emesse da ciascuno Stato membro».

Non meno netto è l’evidenziatore passato sulla prospettiva che vive il bilancio pubblico. Nell’ultimo biennio la mole di debito pubblico è stata contenuta, per via della crescita più sostenuta, ma rimane molto alta. Per questo, avvisa, ridurlo «è una priorità» ed «è necessario un ritorno a significativi avanzi primari». Ragion per cui «nei prossimi anni ogni eventuale aumento di spesa o calo di entrata non potrà prescindere dall’identificazione di coperture strutturali adeguate e certe».

Parole che non lasciano spazio a equivoci e che anzi Visco rafforza citando in modo esplicito le riforme del Fisco e dell’autonomia. Perché, rimarca ancora nelle conclusioni ribaltando luoghi comuni usati anche dalla politica, «problemi come il debito o l’adozione di stili di vita coerenti con la difesa dell’ambiente richiedono che la società li faccia propri, non perché ce lo chiede l’Europa, ma perché ci schermano dai rischi e dischiudono opportunità». Sul capitolo banche, archiviati i 10 anni in cui erano sotto il tiro dei mercati e dell’Europa, il governatore (che non fa riferimento alla tassazione sugli extra-profitti) afferma che gli istituti italiani sono «in condizioni sufficientemente buone». Ma ora, con la frenata economica in atto, la stretta della Bce che inizia a farsi sentire sui prestiti e sui tassi in crescita pagati ai clienti, serve «prudenza», anche se non si è verificata quella fuga dai depositi che è stata il detonatore delle crisi Svb e Credit Suisse. Visco chiude qui. Fra un anno toccherà a un altro. E in tanti indicano che sarà Fabio Panetta, oggi nel board della Bce.

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