martedì 10 marzo 2009
Per i vertici della Banca mondiale la ripresa passa dai due colossi.
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La crescita economica della Cina calerà a picco nel 2009. Gli Stati Uniti sono in profon­da recessione. Per abbattere la cri­si che affligge l’economia mon­diale, queste due superpotenze e­conomiche devono collaborare e diventare il motore del G20. Sen­za un forte G2, il G20 deluderà. Dobbiamo affrontare la realtà. La prima causa degli squilibri è strut­turale: se gli Usa hanno consuma­to troppo, la Cina ha risparmiato troppo. Per gli Stati Uniti il boom del consumo è stato incoraggiato da « bolle » nei mercati azionario e immobiliare, seguito dal collasso del tasso di risparmio. In Cina il di­savanzo a livello di risparmi è la conseguenza delle distorsioni strutturali nei settori finanziario, aziendale e delle risorse. Il tasso di risparmio della Cina, pa­ri alla metà del suo Pil, è decisa­mente superiore a quello degli al­tri Paesi. Ma questo non perché i lavoratori stanno risparmiando. Il tasso di risparmio delle famiglie, certo, raggiunge il 20% del Pil, co­me in India. Ma la fetta più consi­stente e inusuale è quella delle a­ziende. Piccole e medie aziende ci- nesi, che danno occupazione all’ 80% della forza lavoro, hanno scarso accesso ai servizi finanzia­ri, perché il settore è dominato da quattro grandi banche che servo­no soprattutto grandi compagnie. La mancanza di accesso ai servizi finanziari rallenta la crescita delle Pmi, quella dell’occupazione e ri­duce gli stipendi. In pratica la di­storsione dell’economia cinese consiste nel fatto che le piccole a­ziende hanno sovvenzionato le grandi aziende e i nuovi ricchi at­traverso stipendi e tassi di interes­se bassi. Una rivalutazione della moneta ci­nese non rappresenta lo strumen­to principale per affrontare i pro­blemi strutturali e i conseguenti squilibri. In realtà, la diplomazia economica tra Stati Uniti e Cina dovrebbe concentrarsi su altre due questioni In primo luogo i due Paesi do­vrebbero allearsi per prevenire u­na recessione globale protratta. Entrambi hanno annunciato pac­chetti di incentivi. Gli Stati Uniti stanno ancora optando per l’in­cremento dei consumi mentre la Cina spinge sugli investimenti. Se questa è una reazione naturale al­le preoccupazioni immediate, nel prossimo futuro gli Stati Uniti do­vranno incentivare i risparmi e gli investimenti e la Cina aumentare i consumi e non solo la capacità produttiva. La Cina sta preparan­do un secondo « pacchetto » di sti­molo che dovrebbe concentrarsi nel creare potere d’acquisto per i consumatori più poveri e allo stes­so tempo costruire infrastrutture « flessibili » a servizio delle aziende e infrastrutture « solide » per elimi­nare i colli di bottiglia che limita­no la crescita. La Cina sta anche cercando di rimediare al danno ambientale provocato da risorse sotto- costo. Da parte loro, gli Sta­ti Uniti dovrebbero persistere con le politiche monetarie di credito e di ristrutturazione dei beni per ri­generare il sistema finanziario. Ma entrambi i Paesi devono resistere il protezionismo e assistere i Pesi poveri, più vulnerabili. In secondo luogo, Cina e Usa do­vrebbero ridurre gli squilibri strut­turali consumi- risparmi in en­trambi i Paesi. Per raggiungere l’o­biettivo che i suoi leader si sono imposti, costruire « una società ar­moniosa » , la Cina deve migliorare la distribuzione dei redditi. La prossima tappa delle riforme ci­nesi dovrebbe concentrarsi nel ga­rantire più previdenza sociale, sti­pendi più alti, una maggiore effi­cienza nel settore dei servizi e più progetti « verdi » in modo da au­mentare consumi e importazioni. In particolare la Cina dovrebbe in­centivare il settore bancario a ser­vire meglio imprese piccole e me­die anche attraverso prestiti di mi­crofinanza. Dovrebbe aprire gli o­ligopoli, per esempio nelle teleco­municazioni, alla competizione. Una liberalizzazione ulteriore del commercio e degli investimenti renderebbe i mercati cinesi più competitivi e produttivi e ridur­rebbe le tensioni nel commercio. Senza grandi importazioni, la Ci­na rischia una ripida e dolorosa ca­duta nelle esportazioni. Gli Stati Uniti, da parte loro, devo­no riequilibrare i risparmi e con­sumi. Non si possono permettere un ritorno ai tempi della conces­sione massiccia di carte di credito per finanziare spese sfrenate. Do­vranno recuperare il controllo sul deficit di bilancio, in continua e­spansione, e investire in istruzio­ne, ricerca, sviluppo e tecnologia con un occhio aperto costante­mente su investimenti, idee e ta­lenti. Tali correzioni andrebbero di pari passo con la riduzione del ri­schio economico globale. Esisto­no forti incentivi comuni: gli Stati Uniti sono la destinazione princi­pale delle esportazioni cinesi; la Cina è il primo investitore stranie­ro nel debito del governo Usa. L’in­terdipendenza economica è forte. Gli squilibrio potranno essere ri­dotti solo gradualmente. Ma van­no affrontati. Un recupero che si fondi sugli incentivi ai consumi negli Stati Uniti e sul facile acces­so al denaro da parte dei rispar­miatori sfocerebbe in una reitera­zioni di errori, con conseguenze gravissime per i mercati e le poli­tiche globali. Anche se gli Stati U­niti sono in prima linea oggi verso la soluzione alla crisi, hanno la re­sponsabilità di forgiare l’economia di domani. * presidente della Banca mondiale ** capo- economista e vice presi­dente anziano della sezione svi­luppo della Banca mondiale Sopra a sinistra, il presidente della Banca Mondiale, Robert B. Zoellik A destra, Justin Yifu Lin
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